Resident Evil, vent’anni fa il film che resuscitò gli zombi

Resident Evil uscì nel pieno di un periodo di stanca per il genere, che nel 2002 venne rivitalizzato da Paul W.S. Anderson (e non solo)

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Ci sono buone probabilità che stiate leggendo queste parole dalla prospettiva di una persona che non è fan dei Resident Evil di Paul W.S. Anderson: nonostante gli ottimi risultati al botteghino, gli adattamenti cinematografici della saga si sono sempre scostati troppo dagli originali videoludici per accontentare tutto il fandom, e a vent’anni dall’uscita del primo capitolo (che in Italia si festeggiano proprio oggi) il film viene ricordato soprattutto per averci regalato la prima vera versione della Milla Jovovich che conosciamo oggi – quella che anche quando è vestita con un abito da sera sa menare le mani come poche persone al mondo. Per il resto, Resident Evil viene più spesso criticato che lodato: “non c’entra nulla con il videogioco!” si dice. “Non ha l’atmosfera giusta!”. Eppure con il senno di poi non si può non riconoscere al film di Anderson un merito che va al di là delle sue mere qualità cinematografiche: quello di aver fatto tornare di moda gli zombi.

Nel 2002 lo zombie movie era in profonda crisi d’identità – tutto sommato perdonabile, considerando che il genere era nato più di trent’anni prima e in tutto quel tempo aveva fatto fatica a trovare un vero erede dell’inventore di tutta la baracca, cioè George Romero (NB la storia è più complicata di così e ve l’avevamo già raccontata qui, ma per questa volta accontentiamoci della semplificazione). Gli anni Novanta in particolare avevano segnato un declino clamoroso di un sottogenere dell’horror che fino al decennio precedente aveva continuato a sfornare, se non capolavori, per lo meno ottimi prodotti.

Sono pochissimi i film di zombi dei Nineties che vale la pena ricordare ancora oggi. C’è Braindead di Peter Jackson, che oltre a essere un capolavoro è anche la prova che il genere stava abbandonando le sue aspirazioni politiche per virare decisamente sulla commedia. C’è la saga di Plaga Zombie, proveniente dall’Argentina e dunque lontana quanto Braindead dalle logiche hollywoodiane. Ci sono soprattutto tantissime piccole produzioni con budget ridicoli: non un problema di per sé, ma la dimostrazione che il mainstream horror non era più interessato ai morti viventi e preferiva concentrarsi su altro (in particolare sull’orrore adolescenziale post-Scream, vero protagonista della seconda metà degli anni Novanta).

È in questo panorama desolante (almeno per i non-morti) che si colloca, proprio all’inizio del millennio in corso, l’ingresso di scena di Resident Evil. Inizialmente pensato (nel 1997) come progetto da affidare a George Romero in persona, il quale aveva anche scritto una sceneggiatura (oggi custodita negli archivi del regista presso l’Università di Pittsburgh) e aveva già fatto vedere qualcuna delle sue idee in uno spot girato per Resident Evil 2 (il videogioco), il film comincia a passare di mano in mano, con il rischio di finire dritto nel c.d. development hell, quello spazio dell’anima nel quale agonizzano i progetti cominciati e mai finiti. A salvarlo ci pensa Paul W.S. Anderson, che si era già guadagnato la fama di “regista di film tratti da videogiochi” grazie a Mortal Kombat: l’inglese prepara uno script tutto suo e lo propone a Constantin Film, detentrice dei diritti ancora in cerca della persona giusta a cui affidare Resident Evil.

I risultati li conoscete: Anderson è un autore con personalità e faccia tosta, e invece di affidarsi al metodo classico di adattamento di un videogioco (che prevede di replicare pedissequamente le sequenze di gameplay più famose per far felice il fandom accorso al cinema) decide di plasmare una storia tutta sua. Nella quale c’è un po’ di tutto, dalle cospirazioni di Big Pharma alle intelligenze artificiali ribelli, ma ci sono soprattutto gli zombi. I quali, però, ricordano solo vagamente quelli romeriani, e qui sta la chiave di volta di tutto Resident Evil: le persone infette dal virus T sono veloci, feroci, aggressive, violente, intelligenti come bestie molto intelligenti. Non sono cadaveri ambulanti che puntano tutto sui numeri e sulla loro ineluttabilità: sono predatori, e il film una gigantesca caccia all’uomo nei corridoi di un laboratorio segreto sotterraneo.

Contemporaneamente a tutto questo, a poche centinaia di chilometri di distanza (Resident Evil è stato girato in Germania), un altro signore inglese stava lavorando a un progetto a base di infetti. Parliamo di 28 giorni dopo, un film con parecchie cose da dire ma che verrà per sempre ricordato come “il film con gli zombi che corrono”. 28 giorni dopo è visto da molte parti come una rivoluzione, il film che ha rivitalizzato il sottogenere cambiando il suo mostro di riferimento e rendendolo più letale; sostenere questa cosa significa fare un torto a Paul W.S. Anderson, che aveva avuto circa la stessa idea, e allo stesso franchise di Resident Evil, al quale Alex Garland, sceneggiatore del film di Boyle, si era esplicitamente ispirato per la sceneggiatura.

28 giorni dopo e Resident Evil sono quindi due facce della stessa medaglia, due tentativi di reinterpretare un genere le cui regole erano scritte nella pietra da trent’anni per scoprire se cambiandole si potessero raccontare storie nuove e diverse. Si può discutere della bontà della loro intuizione, quello che non si può discutere è che dopo il 2002 i film di zombi hanno ricominciato a funzionare, e persino ad avere una personalità: senza Resident Evil non avremmo avuto gli zombi che corrono, ma probabilmente non avremmo avuto neanche film come REC, Pontypool o Maggie, tre modi diversi e originali di affrontare il genere che senza la svolta del 2002 avrebbero fatto molta più fatica a trovare finanziamenti.

Non avremmo avuto neanche Shaun of the Dead, scritto da uno convinto che gli zombi non debbano mai correre, e probabilmente neanche una serie magnifica (e dimenticata) come Dead Set, che invece prendeva gli zombi corridori e li integrava alla perfezione in una classica storia di assedio e non-morti. E ovviamente non avremmo avuto tutti gli altri Resident Evil, ma se questo sia un bene o no lo lasciamo decidere a voi. Noi ci limitiamo a fare gli auguri al film di Paul W.S. Anderson, e ovviamente a ringraziarlo, perché grazie a loro abbiamo avuto altro vent’anni di zombi, e vent’anni di zombi sono meglio di vent’anni senza zombi.

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