Resident Evil e l’inarrestabile ossessione di essere sempre alla moda

Di Resident Evil, in Resident Evil, Capcom ha (quasi) sempre saputo interpretare i trend del momento

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


Condividi

 

Pur restando fondamentalmente fedele a sé stessa, la saga di Resident Evil non si è mai arroccata attorno a meccaniche o scelte di design immodificabili ed irrinunciabili. L’identità ontologica del brand di Capcom, tra i più noti ed apprezzati, non a caso, da una moltitudine di videogiocatori, è volubile, pur mantenendo un alto grado di riconoscibilità.

Non serve cercare il minimo comun denominatore dei molteplici episodi che compongono Resident Evil. Anche scartando gli spin-off, non esiste una costante. Non lo è certamente il gameplay, non lo sono i protagonisti, né tanto meno i nemici da combattere, visto che persino gli zombie, in un paio di occasioni almeno, hanno ceduto il passo a minacce di ben altra natura.

A ben vedere l’unica caratteristica che non è mai venuta a meno nella serie è la voglia di restare al passo con i tempi, un’ossessione che la rende tutt’oggi attualissima, ma che si è anche concretizzata in un paio di scivoloni che hanno messo in seria discussione la ragione d’esistere dell’IP.

Il capostipite, tanto per cominciare, è stato realizzato con l’intento di rispondere alla crescente voglia di produzioni mature, che strizzassero l’occhiolino ai film. Le inquadrature fisse, gli sfondi prerenderizzati ricchi di dettagli, l’atmosfera che si respirava nella gigantesca magione che andava esplorata da parte a parte, i dialoghi recitati nelle scene d’intermezzo, tutte feature che andavano esattamente in questa direzione.

[caption id="attachment_192850" align="aligncenter" width="1000"]Resident Evil Outbreak screenshot Anche gli spin-off della saga hanno sempre cercato di inseguire ed imporre nuovi trend. La serie Outbreak, per esempio, anche in tempi non sospetti ha puntato fortissimo sul gioco online[/caption]

Complice una potenza di calcolo maggiore delle console allora sul mercato, esplose, anche grazie a Resident Evil ovviamente, la moda per i survival horror, tendenza che incentivò Capcom a realizzare altri due capitoli “alla moda”, senza cambiare di una virgola la fortunata formula appena concepita e varata.

Alle soglie del 2005, tuttavia, il mondo era enormemente cambiato rispetto ai magici Anni ’90 e anche per Resident Evil fu tempo di cambiare pelle. Gears of War, di cui pur già si sentiva l’eco, avrebbe debuttato più un anno dopo, rivoluzionando a modo suo il genere degli sparatutto in terza persona, ma l’idea di spostare la telecamera sopra la spalla dell’avatar fu merito del titolo Capcom, publisher capace di intuire con anticipo il cambio di tendenza e, soprattutto, di accogliere con favore le idee di design di uno dei suoi uomini di punta, lo stimatissimo Shinji Mikami che di lì a poco, ironia della sorte, avrebbe divorziato dalla casa che gli permise di raggiungere fama e notorietà.

Il ritmo “indiavolato” e la spiccata agilità di Leon e nemici seppero convincere un pubblico certo stordito dalla pesante rilettura operata al genere dei survival horror, ma intrinsecamente ormai assuefatto da sistemi di controllo enormemente più reattivi e da esperienze più votate all’azione.

Questa deriva action, come ben sappiamo, è co-fautrice del più grande insuccesso della storia del brand, quel Resident Evil 6, anch’esso figlio delle mode del momento, che sfortunatamente venne a comporsi come un mostro di Frankenstein, putrefatto e marcescente in ogni sua parte costituente. La saga, del resto, veniva già da un mezzo passo falso, lo scialbo Resident Evil 5, e l’idea degli sviluppatori, di per sé intrigante, fu quella di offrire un’esperienza sfaccettata, polimorfa, potenzialmente indirizzata ad un target ampissimo e variegato.

Fu proprio il desiderio di universalità, lontano figlio, forse, dell’allargamento di mercato reso possibile dal successo interplanetario di Nintendo Wii, a condannare un’esperienza a suo modo “catchy”, visto l’alto numero di volti noti ai fan coinvolti nella messa in scena, ma all’atto pratico poco attenta ai dettagli, raffazzonata, narrativamente parlando paradossale, quando non tragicomica.

Con Resident Evil 7 c’è un altro grande stravolgimento. La rincorsa e definizione di nuovi parametri, tuttavia, non si palesa esclusivamente nella prima persona, l’ossessione per gli FPS, nel 2017, è già tramontata da tempo, quando nello sbandierato pieno supporto alla realtà virtuale, ennesima tecnologia che, se ancora fatica a penetrare il mercato, di certo ha già dato prova di poter lasciare il segno.

[caption id="attachment_192851" align="aligncenter" width="1000"]Resident Evil The Umbrella Chronicles screenshot Con The Umbrella Chronicles, Capcom ha cercato di interpretare, a modo suo, la mania per i controller dotati di infrarossi ed accelerometri[/caption]

In tutto questo, Resident Evil 2, in uscita il prossimo 25 gennaio, non è altro che l’ennesimo espediente di Capcom per cavalcare i trend del momento, utilizzando la sua saga di punta come strumento per comunicare con le masse, comprenderne i desideri, offrirgli ciò di cui ha bisogno.

Questo remake, del resto, si insinua tra la nostalgia ed il desiderio di recuperare antiche perle del passato che caratterizza una generazione intera. Capcom, se non altro, ha dato nuovamente prova della sua caparbia, rimaneggiando pesantemente il gameplay, aggiornando potentemente l’aspetto grafico, modificando persino la trama del suo vecchio capolavoro. Non una remastered, insomma, quanto un ammodernamento, un rifacimento quasi totale che dimostra, ancora una volta, tutta la voglia di Resident Evil di restare al passo con i tempi.

Perché la nostra voglia di zombie è inestinguibile, ma noi e persino il nostro modo di intendere i videogiochi cambia e si evolve. Per fortuna, Capcom questo lo sa molto bene.

Continua a leggere su BadTaste