Resident Evil: cosa aspettarsi dalla nuova serie Netflix

Resident Evil è un nuovo reboot per il franchise, non solo in termini narrativi ma anche di tono

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La prima cosa che dovete sapere di Resident Evil, la nuova serie Netflix che funge da sequel/remake/reboot/??? di un franchise che al cinema ha già regalato sei capitoli + un reboot andato male e probabilmente ormai morto e sepolto, è che c’entra poco con Resident Evil. Intendiamoci, gli elementi fondanti di tutte le storie della saga rimangono: la Umbrella, il T-virus, gli zombi che zombi non sono ma che trasmettono la loro condizione con un morso, un personaggio di nome Albert Wesker, una città che si chiama Raccoon City... Ma Andrew Dabb, che finora ha lavorato come scrittore a Supernatural e qui esordisce come showrunner e produttore, ha deciso di dare un’impronta completamente diversa alla sua visione di Resident Evil, trasformandolo in un ibrido tra un teen drama e un classico zombie movie alla Romero.

La seconda cosa che dovete sapere di Resident Evil è che, prima di scrivere questo pezzo di presentazione del progetto di Netflix, abbiamo avuto a disposizione per la visione solo metà della prima stagione (quattro episodi su otto, da 50 minuti ciascuno), che saggiamente si conclude con il cliffhanger più grosso dell’universo e con tutte le risposte alle domande accumulate fin lì che sfuggono all’ultimo istante, invitandoci a tornare più avanti.

Due storie principali in un'unica serie

Resident Evil è spaccata in due. Da un lato c’è la storia di Jade e Billie Wesker, che si trasferiscono insieme al padre Albert nell’inquietante e gentrificatissima città di New Raccoon City. Siamo nel 2022, a un quarto di secolo dal disastro della prima Raccoon City (in questo senso la serie è un sequel di tutti i videogiochi e dei film di Anderson) e la Umbrella ci sta riprovando, spostando i suoi migliori scienziati in questa nuova metropoli costruita sui laboratori sotterranei dove si studia la scienza malvagia. Tutto questo interessa però solo relativamente alla serie, che si concentra invece su Jade (la maggiore, quella più ribelle e sfacciata), Billie (timida, introversa, vestita e acconciata come Billie Eilish, sostanzialmente un suo clone) e sui problemi che queste due preadolescenti affrontano nella loro nuova scuola.

Senza girarci troppo intorno: siamo dalle parti del teen drama, che parla di bullismo, solitudine e dei dolori della crescita. Lentamente ma inesorabilmente questi problemi si incrociano con quelli ben più gravi legati al fatto che la Umbrella custodisce campioni di T-virus nei suoi laboratori; ma finché non accade un evento specifico, che da solo cambia tutta la direzione narrativa della stagione, Resident Evil tratta questi aspetti della storia come secondari, da tenere sullo sfondo mentre in primo piano ci sono due ragazze in crisi esistenziale. Mai Resident Evil, in nessuna sua forma, aveva dato così tanto spazio all’approfondimento psicologico a scapito dell’azione; elemento che aiuta sicuramente il formato seriale che dà la possibilità ai personaggi e alle situazioni di respirare, ma resta il fatto che la parte 2022 di questa nuova serie farà strillare di orrore un sacco di fan di lunga data, e provocherà reazioni sproporzionate (ci aspettiamo almeno tre diverse petizioni per cancellarla).

L’altra metà di Resident Evil, ambientata nel 2036 e incentrata sulla versione adulta di Jade, è quella più classicamente zombi, e farà sentire a casa chi dal franchise si aspetta soprattutto corpi ciondolanti che mangiano cervelli. Ce ne sono in abbondanza, anche se raccontati in modo molto diverso da come fa normalmente il franchise: c’è molta meno claustrofobia e soprattutto manca la sensazione di disastro imminente, messa in soffitta in favore di una più classica post-apocalisse romeriana nella quale gli zombi hanno già conquistato il mondo ma la civiltà non è ancora stata del tutto spazzata via. C’è poco Resident Evil classico e molto di, per esempio, La terra dei morti viventi, oltre che le ovvie palate di quel modello da cui è impossibile sfuggire che è The Walking Dead.

I punti di forza del progetto

È qui che Resident Evil si gioca le sue cartucce migliori dal punto di vista dello spettacolo, con assedi, inseguimenti, mostri giganti, alcuni classici trope del genere rivisitati per l’occasione e una protagonista (interpretata da Ella Balinska, la migliore del lotto insieme all’ovvio Lance Reddick) che tiene la scena senza fatica con la sola forza della sua incazzatura. Non aspettatevi però ville lussuose e abbandonate e infestate da cani zombi, o corridoi bui nei quali aggirarsi con terrore: in questo senso, anche l’altra metà di Resident Evil è poco Resident Evil, ma riesce a farsi perdonare a suon di budella.

Il dettaglio più importante, e che ci dà più fiducia, è il fatto che le due linee temporali vengono fatte convivere alla perfezione, alternandosi e a volte fondendosi con giochini di montaggio che dimostrano un certo grado di attenzione al dettaglio (sempre gradita). Domande e risposte sono equamente distribuite tra le due metà invece che essere concentrate in una delle due e somministrate sotto forma di spiegoni in dosi omeopatiche; il passato informa il presente ma ne è anche informato, e in questo modo Resident Evil mantiene sempre quell’aura di mistero che ti fa venir voglia di vedere “solo un altro episodio”. A noi ne mancano quattro: quando li avremo visti sapremo dirvi se l’edificio regge.

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