Renzo Martinelli, Barbarossa e i soldi pubblici

20 milioni di euro di budget, 400.000 euro di incassi nel primo weekend italiano. Un flop per Barbarossa di Martinelli, che pone molti interrogativi sull'operazione, sui proclami di fare cinema per il pubblico e sulla politica che invade il grande schermo...

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Rubrica a cura di ColinMckenzie

Normalmente, su Badtaste non parliamo di politica, partendo dall'idea che il nostro pubblico viene qui per un argomento preciso, mentre se vuole affrontare questioni 'sociali' ha tante altre possibilità. Ci sono però situazioni in cui i due campi, come purtroppo succede spesso in Italia, si confondono inestricabilmente ed è impossibile non affrontarli entrambi.

Il caso di Barbarossa è decisamente emblematico. Il film è stato prodotto da Rai Fiction (con un contributo Mibac di 1,6 milioni di euro), che lo trasmetterà in due puntate l'anno prossimo, ed è costato complessivamente 30 milioni di dollari, quindi circa 20 milioni di euro (e non 30 milioni di euro, come riporta erroneamente qualcuno). Va detto che oggi su Il Giornale Martinelli parla di soli dieci milioni di euro di budget, più due per la promozione, ma francamente risulta molto strano che queste cifre (nettamente inferiori a quelle presentate per settimane) vengano segnalate soltanto ora. Già in partenza, era difficile non avere dei dubbi, considerando le ragioni per cui bisognava fare questo prodotto, come indicava bene questa intercettazione tra Berlusconi e Saccà (a circa 2'45'' dall'inizio).

E già qui, francamente, siamo su un terreno minato. Fare un prodotto che viene etichettato come 'leghista' (vero o falso che sia) significa tenersi fuori un buon 80-90% di pubblico, che magari potrebbe anche essere interessato a una pellicola epica in stile Braveheart, decisamente meno a un prodotto politico che è lontano dalle proprie idee. Si capisce poco quindi l'enfasi con cui il regista Renzo Martinelli si vantava di aver fatto una tournèe 'padana' con Bossi per presentare il suo film, come se la giudicasse una buona pubblicità per tutti i non 'adepti'.

E infatti, i 400.000 euro ottenuti nel primo fine settimana (con una media per sala decisamente sconfortante) fanno pensare a un probabile totale di poco più di un milione alla fine del passaggio in sala, quindi (tolte le percentuali degli esercenti) una cifra probabilmente insufficiente a pagare anche solo le spese promozionali del lancio. E meno male che, come sostiene il regista, era stato "affidato a una nota agenzia pubblicitaria il compito di realizzare un trailer e una campagna che punti a quel pubblico giovane delle multisale nel Centro Sud, che non sa nulla di politica ma vuole film mainstream, cioè epicità, battaglie e masse in movimento". Il centro sud evidentemente aveva altro da fare, ma anche a nord non è che si siano proprio buttati in massa, considerando che dei circa 5 milioni di votanti/simpatizzanti leghisti ne sono andati al cinema finora 50-60.000, a differenza di quanto sosteneva il regista ("So che la Lega ha già venduto duecentomila euro di biglietti per questo film").

Per onestà intellettuale, va ricordato come si tratti di un prodotto televisivo, che verrà sfruttato sia in Italia (dalla Rai) che all'estero nei Paesi dove è stato venduto. Il problema è che è veramente difficile pensare che l'interesse sul piccolo schermo sia molto superiore a quello riscontrato al cinema. Insomma, da Firenze in giù non credo che si starà attaccati al televisore per vedere le imprese dell'eroe padano amato dalla Lega. Fa 'piacere' quindi che un quotidiano come Libero, che nel recente passato ha massacrato tanti film prodotti con l'aiuto dallo Stato prendendone in esame soltanto i ricavi in sala, si sia ricordato che Barbarossa è stato venduto bene al mercato di Cannes. Magari è anche vero (anche se sarebbe meglio portare cifre precise), ma certo che la coerenza non è proprio notevole.

Così come fa ridere (ma questo da anni, come abbiamo già scritto qui e qui) sentire parlare continuamente Martinelli del bisogno di fare cinema per il pubblico, esigenza che a suo avviso lui soddisferebbe perfettamente. Eppure, i suoi film (a parte Vajont) sono stati flop catastrofici e visti da quattro gatti. Come spiegare allora dichiarazioni recenti come "Ai festival ci vanno film con un tipo di linguaggio che la critica riconosce, mentre fatica a capire il mio stile perché lo ritiene poco italiano, spurio, troppo orientato al mercato" o "Verrebbe meno così il meccanismo perverso del cinema assistito, dove lavorano gli amici degli amici, i film non incassano e il regista pensa alla sua visione del mondo e non al mercato".

E fosse questa l'unica incoerenza. Le riprese sono state realizzate in Romania, cosa assolutamente normale per una produzione che vuole risparmiare, un po' meno per qualcosa che viene pagato dallo Stato (anche con il canone Rai) e francamente risibile come cosa da proporre alle 'genti del Nord'. E i pezzi de Il riformista e del Corriere ("Una signora lamenta che gli accenti degli attori non siano lombardi, «con tutte quelle esse sibilanti da Centro-Sud", scrive Aldo Cazzullo) fanno capire bene il clima strano che si respira di fronte a questa operazione. Così come non aiutano certe promozioni su giornali amici, se poi si scopre provenire da persone che evidentemente devono molto alla Lega. Il risultato finale è che, se queste sono le basi del polo milanese che dovrà raccontare storie al cinema, così come della propaganda che vuole difendere l'operazione, c'è da iniziare a rimpiangere certi sprechi storici di Cinecittà e dintorni...

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