Registi in rovina – parte seconda

Qualche settimana fa vi abbiamo proposto un elenco di registi che, dopo aver ottenuto grandi successi critici e commerciali, sono caduti in crisi. Ecco quindi altri tre nomi che in quella lista ci stanno benissimo…

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3 – Lawrence Kasdan
Gli anni ottanta per Lawrence Kasdan sono stati da incorniciare. Incomincia il decennio con un paio di sceneggiature che danno vita a due dei film più amati della storia: Guerre Stellari – L’impero colpisce ancora e I predatori dell’arca perduta. Da sole, basterebbero per trovare un posticino nella storia del cinema, considerando il numero infinito di pellicole che, nei venticinque anni successivi, copieranno da questi modelli. Nel 1981 passa alla regia e il risultato è l’acclamatissimo Brivido caldo. Si tratta forse di una pellicola un po’ sopravvalutata (l’originalità non è proprio a livelli stratosferici) e magari molti la ricordano soltanto per le scene di sesso tra Kathleen Turner e William Hurt, ma la confezione è di notevole fattura. Nel 1983, il film che lo consacra definitivamente: Il grande freddo. D’accordo, per chi mastica un po’ di cinema indipendente, non è difficile riscontrare tracce del John Sayles di The Return of the Secaucus 7, ma tutto è perfetto (anche la scelta di tagliare le scene di Kevin Costner) nella sceneggiatura, nel cast e nella regia. Successivamente, Silverado e soprattutto Turista per caso confermeranno il suo talento, peraltro in grado di spaziare dalla fantascienza al film d’avventura, dal noir al western, dal racconto corale alla storia romantica. Eppure, dall’inizio degli anni novanta qualcosa inizia a non marciare per il verso giusto. Non è facile trovare il momento preciso in cui la sua carriera inizia a cadere in picchiata, ma probabilmente l’insuccesso di Wyatt Earp (che perde nettamente la sfida al botteghino contro la pellicola sullo stesso tema Tombstone, uscita l’anno prima) è il punto di svolta. Seguiranno gli stanchissimi French Kiss e Mumford, ma il peggio deve ancora venire.
Dreamcatcher, del 2003, è senza ombra di dubbio uno dei peggiori adattamenti di opere di Stephen King (e dire che la lista non è certo breve). Di più, è talmente brutto (e ridicolo) da far pensare che non ci sia speranza per un ritorno alla gloria di uno dei migliori registi e sceneggiatori degli anni ottanta…

2 – John Woo
A un ingenuo produttore americano che gli chiese se John Woo era in grado di dirigere film d’azione, un ironico Quentin Tarantino rispose di “sì, così come Michelangelo se la cava a dipingere soffitti”. Il paragone potrà anche essere iperbolico, ma è indubbio che negli anni ottanta, a Hong Kong, questo regista abbia rivoluzionato il genere, rendendo il sangue e le sparatorie qualcosa di terribilmente affascinante a livello visivo (ma senza mai dimenticare che la violenza non è un gioco). Dai due episodi di A Better Tomorrow (il sequel è uno dei pochi nella storia del cinema a poter essere giudicato superiore all’originale), passando per l’epico (e forse leggermente sopravvalutato, ma comunque validissimo) Bullet in the Head, per arrivare al pirotecnico Hard Boiled (forse la sua pellicola più esplosiva e coreografica) e soprattutto a The Killer (molto probabilmente il suo capolavoro), John Woo ci ha fatto pensare che non ci fosse nulla di meglio che mettere insieme i polar di Jean-Pierre Melville e i musical di Hollywood dell’epoca d’oro. All’epoca (complice la mancanza di dvd e di Internet) John Woo era un segreto per pochi iniziati, ma di alto livello. Basti pensare alla coppia di (ex) sposi James Cameron-Kathryn Bigelow, che hanno scopiazzato decisamente dal talento di Hong Kong (la scena del fucile nascosto nelle rose in Terminator 2 per il primo; una marea di inquadrature di Point Break riprese pari pari per la seconda).
Molti considerano l’inizio della fine il suo arrivo a Hollywood. Francamente, non sono d’accordo. Senza tregua, nonostante il ‘fardello’ Van Damme, è un film gradevolissimo e girato perfettamente, anche se con mezzi economici non eccezionali. Broken Arrow è sì deludente, ma non certo un disastro, anche perché il successo di quel film gli permette di girare Face/Off. Che è, senza ombra di dubbio, il miglior prodotto di questo regista a Hollywood. La storia sarà anche improbabile (eufemismo), ma le interpretazioni di John Travolta e Nicolas Cage, delle scene d’azione fenomenali e un finale di rara intelligenza lo rendono uno dei migliori prodotti commerciali degli anni novanta.
Mission Impossibile 2, nonostante i gravi ritardi nelle riprese (che costano, tra le altre cose, la parte di Wolverine a Dougray Scott) e un risultato artistico decisamente mediocre, è comunque un successo. Ma probabilmente i contrasti con la produzione (e lo stesso Cruise) hanno ripercussioni sulla sua carriera, considerando anche che gli stessi problemi si ripropongono in Windtalkers, brutta realizzazione di una buona idea di partenza. La differenza è che la pellicola è un disastro al botteghino e porta Woo verso strade strampalate, come Paycheck (difficile capire i punti di contatti tra il regista e Philip K. Dick).
John Woo, insomma, non è riuscito a ripetere negli Stati Uniti i risultati straordinari ottenuti in patria. Speriamo che il ritorno in Cina con l’ambizioso progetto The Battle of Red Cliff segni una svolta in positivo…

1 – John Landis
Di tutte le crisi di cui abbiamo parlato, quella di John Landis è forse la più sorprendente. Per quasi quindici anni, è riuscito a creare pellicole divertenti e intelligenti, peraltro con budget quasi sempre non altissimi. A differenza di molti altri registi trattati in questa rubrica, non si è mai considerato un autore che può fare quello che vuole. Eppure, da ormai quindici anni non ne azzecca una.
Se nel 1977 Ridere per ridere (il suo secondo lungometraggio) lo pongono all’attenzione di pubblico e critica, sarà Animal House a lanciarlo (assieme con il protagonista John ‘Bluto Blutarsky’ Belushi) nella stratosfera. Vetta che, incredibilmente, supererà negli anni successivi. Nel 1980, infatti, darà vita ad una delle pellicole più amate della nostra generazione, quel Blues Brothers che ormai è un mito. L’anno successivo dimostrerà invece di non essere soltanto in grado di sfornare commedie, grazie al meraviglioso Un lupo mannaro americano a Londra, che dà nuova vita al genere horror (o forse, comedy-horror). Nel 1983, Landis riesce nell’impresa di girare il videoclip più famoso della storia (Thriller di Michael Jackson) e Una poltrona per due, strepitoso adattamento della storia biblica di Giobbe trasportata ai giorni nostri e rivista in chiave razzial/economica.
Ma è nel 1982 che avviene il fatto che cambierà la vita di John Landis. Durante le riprese de Ai confini della realtà (pellicola ad episodi realizzata da celebri registi e ispirata alla nota serie televisiva), muoiono, a causa della caduta di un elicottero, tre persone, tra cui due bambini che non erano inseriti ufficialmente nel cast e che non avrebbero potuto lavorare di notte. Il processo a Landis (e ad altri quattro membri della troupe) terminerà soltanto nel 1987 (incredibilmente, con un’assoluzione per tutti, nonostante le evidenti responsabilità della produzione) e ovviamente influirà molto sulla vita del regista.
Landis riuscirà ancora a tirar fuori qualcosa di buono (soprattutto l’irresistibile Tutto in una notte, del 1985, e in parte Il principe cerca moglie, del 1988), ma la magia sembra scomparsa.
Gli anni novanta saranno infatti una serie infinita di pellicole sbagliate e di prodotti su commissione discutibilissimi (peraltro, di scarsissimo successo). Tra le prime, figura Amore all’ultimo morso (in cui l’idea è di realizzare un altro horror moderno, ma i cui risultati non sono certo all’altezza di Un lupo mannaro americano a Londra) e Delitto imperfetto. Ma sono soprattutto le seconde a impressionare negativamente. C’era proprio bisogno di sperimentare il talento comico di Sylvester Stallone e di metterlo accanto a Ornella Muti (ehm, non proprio la coppia del secolo) in Oscar? Qual era l’obiettivo nel realizzare il terzo episodio di Un piedipiatti a Beverly Hills, serie che era già chiaramente morta al secondo capitolo? E d’accordo la disperazione, ma arrivare a fare un sequel de I Blues Brothers significa proprio toccare il fondo.
Landis attualmente si diverte ad andare in giro per l’Europa e a lamentarsi dei produttori americani che non lo fanno lavorare. Mentre, con un pizzico di onestà, dovrebbe ammettere i suoi fallimenti e cercare di risalire la china…

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