Registi in rovina
La scorsa settimana abbiamo analizzato gli attori che hanno rovinato la loro carriera. Ma anche tra i registi non mancano gli esempi di ‘ascesa e caduta’. Scopriamo insieme otto nomi deludenti, cominciando da Martin Brest, Jonathan Demme e Terry Gilliam…
Come per gli attori, meglio specificare subito alcuni parametri di questo articolo. I registi in questione devono aver mostrato opere interessanti e importanti in una fase precedente della loro carriera: questo non è un elenco di incapaci, anzi i nomi citati hanno contribuito (chi più, chi meno) in maniera importante al mondo del cinema.
Inoltre, una delle caratteristiche più comuni in questa lista è la difficoltà di molti registi di accettare il sistema produttivo con cui lavorano e/o di amministrare bene i budget a loro disposizione. D’altronde, se il cinema è arte, è anche industria e la capacità di gestire al meglio rapporti e denaro, come in qualsiasi altro lavoro ‘dirigenziale’, è fondamentale in una carriera.
Infine, se una caduta fa sempre male, un crollo da altezze vertiginose è ancora più impressionante. Insomma, maggiore il livello raggiunto, maggiore la delusione per i successivi fallimenti. E ricordatevi sempre che, per la natura di queste ‘classifiche’, è più un innamorato deluso che parla, piuttosto che un critico feroce…
Ecco quindi la top eight, in rigoroso ordine decrescente per aumentare la suspense:
E’ sicuramente il nome di minor talento che compare in questa lista e la sua inclusione lascerà scettico qualcuno (proprio perché non è apperentemente degno di ‘sedere’ allo stesso tavolo degli altri). Ma la carriera di Martin Brest non va assolutamente sottovalutata. Dopo una pellicola molto apprezzata come Vivere alla grande (1979), il grande successo arriva con Un piedipiatti a Beverly Hills (1984), che dirige in maniera impeccabile. Il suo film successivo è anche il suo (piccolo) capolavoro, la deliziosa commedia on the road Prima di mezzanotte, sicuramente uno dei migliori ruoli di De Niro negli ultimi vent’anni.
La svolta nel 1992, con Scent of a Woman. Alcune scene sono effettivamente molto valide (e il tanto atteso Oscar ad Al Pacino è un importante riconoscimento per il film), ma si avverte qualche scricchiolio in fase di sceneggiatura e un po’ troppa retorica.
Ed ecco che gli ultimi due film di Brest riescono nell’impresa di ricevere un massacro critico e di ottenere un totale insuccesso al botteghino. Se nel primo caso, Meet Joe Black (1998), il fallimento è dovuto soprattutto ad un budget esorbitante e ad un’alchimia non riuscita tra i due protagonisti (Brad Pitt e Claire Forlani), il secondo ha fatto storia. Difficile ricordare una pellicola più vituperata dell’ormai mitico Gigli, con l’accoppiata Ben Affleck-Jennifer Lopez, anche se, a dire il vero, ci sono stati flop molto più costosi (Pluto Nash per Eddie Murphy o Amori in città... e tradimenti in campagna per Warren Beatty). E difficile continuare una carriera dopo aver fatto quel film…
7 – Jonathan Demme
Tra il 1991 e il 1993, Jonathan Demme è stato senza dubbio il regista più apprezzato di Hollywood. Prima Il silenzio degli innocenti vince cinque Oscar (quelli più importanti: film, regia, sceneggiatura, attore e attrice protagonista, impresa avvenuta solo due volte in precedenza), impresa ancora più notevole se si considera che è un horror, genere non certo molto amato dall’Academy. Due anni più tardi, Demme, che era rimasto molto turbato dalle proteste delle associazioni omosessuali contro la rappresentazione del serial killer de Il silenzio degli innocenti, risponde con Philadelphia, che, anche se venato di una certa retorica, segna una tappa importante nel rapporto tra Hollywood e diritti civili (oltre a far vincere a Tom Hanks il suo primo Oscar). Ma queste sono solo le tappe più note di un ottimo percorso, fatto di pellicole come Una vedova allegra… ma non troppo, Qualcosa di travolgente e Stop Making Sense con i Talking Heads, sicuramente uno dei film concerto più importanti di sempre.
Cosa è andato male allora? Beloved, l’adattamento del romanzo Amatissima del premio oscar Toni Morrison, rappresentò un progetto molto ambizioso, ma anche un clamoroso fallimento e costò critiche pesanti alla protagonista Oprah Winfrey (decisamente più a suo agio come conduttrice di talk show). Da lì, remake inspiegabili (The Truth about Charlie, da Sciarada) e rifacimenti più sensati, ma non certo all’altezza dell’originale (The Manchurian Candidate, da Va’ e uccidi). Demme si è fatto apprezzare in questi anni per diversi documentari (The Agronomist e Neil Young: Heart of Gold), ma sarebbe bello rivederlo tornare in forma nei lungometraggi di fiction…
6 – Terry Gilliam
Watchmen, Good Omens, Don Chisciotte e A Tale of Two Cities sono solo alcuni dei tanti progetti di Terry Gilliam che, per un motivo o per un altro, non hanno visto la luce negli ultimi dieci anni, magari dopo anni di gestazione. E’ un caso? Assolutamente no e le ragioni che stanno dietro a questi mancati lavori sono quelle che portano Terry Gilliam in questa classifica. Non è tanto lo scadimento qualitativo delle sue opere, infatti, a portarlo qui, considerando che i film che fa rimangono sempre molto ambiziosi (anche se sarebbe ingeneroso paragonare I fratelli Grimm e Paura e delirio a Las Vegas ad opere decisamente più innovative come I banditi del tempo o Brazil), quanto la sua incapacità (a tratti, francamente, stupidità) nell’accettare le regole del gioco. Attualmente, Gilliam si diverte molto a fare l’antihollywoodiano per eccellenza (con frasi ad effetto contro la Mecca del Cinema, che ovviamente la critica italiana spaccia per perle di saggezza). Ma quando le cose a Los Angeles andavano bene, con film apprezzati (La leggenda del re pescatore e L’esercito delle 12 scimmie), che incassavano buone cifre e venivano onorati agli Oscar, non sembrava assolutamente impossibile il rapporto con questo demonio tentatore. La realtà è che Terry Gilliam è convinto di essere un genio (cosa non falsissima, peraltro) e che qualcuno dovrebbe dargli sempre 50 milioni di dollari (almeno…), lasciandogli carta bianca, senza dover rispondere a nessuno (cosa un po’ più complicata…). Una delle sue ultime dichiarazioni (“non mi frega niente se i produttori di Tideland recuperano i loro soldi o meno”) fa capire il suo rapporto con chi lo finanzia. Insomma, più che chiedersi perché lavori così poco e non riesca a realizzare i suoi progetti, ci si domanda come riesca ancora, ogni tanto, a fare un film. Speriamo che metta giudizio con gli anni e che non continui a sprecare il suo talento, ma non mi farei troppe illusioni…
5 – Alan Parker
Nel primo decennio della sua carriera, sembrava che Alan Parker, per qualche strana sorta di decreto ministeriale, non potesse realizzare un film insignificante o un insuccesso. Questo è il suo ruolino di marcia, dal 1976 al 1988 (credeteci o meno, non ho omesso niente): Piccoli gangsters, Fuga di mezzanotte, Saranno famosi, Spara alla luna, The Wall, Birdy – le ali della libertà, Angel Heart – ascensore dell’inferno e Mississippi Burning - le radici dell'odio. Per carità, non sono tutti film straordinari, qualcuno magari non è invecchiato benissimo, ma è impossibile dire che, al momento della loro uscita, non fossero stati tutte (chi più chi meno) delle pellicole evento. Eppure, per qualche strana ragione, da Commitments (1991, il suo ultimo buon film) in poi, la tendenza si è invertita e Parker sembra poter fare solo brutti film. E’ difficile dire quale tra Morti di salute (1994), Evita (1996), Le ceneri di Angela (1999) e The life of David Gale (2003) sia stato stroncato maggiormente dalla critica, anche se poi di grandi flop commerciali (parlerei semplicemente di insuccessi) non ce ne sono. Ma l’impressione è che l’energia e la passione di Alan Parker (che lo rendevano una sorta di Oliver Stone britannico, con cui aveva collaborato per Fuga di mezzanotte) siano svanite nel nulla…
4 – Michael Cimino
Quando una pellicola viene definita il peggior flop della storia del cinema, non è difficile capire il momento in cui è cambiata la tua carriera. Dopo il pregevole esordio di Una calibro 20 per lo specialista (1974), con la fantastica coppia Clint Eastwood-Jeff Bridges, Cimino aveva raggiunto il grande successo con Il cacciatore, che nel 1979 fece incetta di Oscar e lasciò negli spettatori un ricordo indelebile per diverse scene entrate nella storia del cinema. Ma l’egocentrismo del regista (una caratteristica comune a molti suoi colleghi del periodo) portò al disastro. Come rivelò in seguito uno dei produttori, quando si arrivò sul set de I cancelli del cielo non era solo la sceneggiatura a non essere pronta (cosa non certo inusuale), ma addirittura le spese di budget. Mancavano i cavalli o le attrezzature, insomma le cose più elementari per fare un film western. Tra riprese lentissime (in media, Cimino girava in una settimana quello che avrebbe dovuto fare in un giorno o due) e spese truffaldine (il regista convinse la produzione ad investire molti soldi per sistemare per una scena importante un terreno, che in seguito si scoprì essere di sua proprietà), il budget lievitò a 42 milioni di dollari (per chi fosse interessato, c’è un ottimo libro di Steven Bach a riguardo, Final Cut, da cui prende il nome questa rubrica). E se è falso dire, come fanno molti, che I cancelli del cielo significò il fallimento della United Artists (che, più semplicemente, venne venduta alla MGM), sicuramente da lì in poi Cimino non riuscì più a risollevarsi. Se L’anno del dragone (1985) era apprezzabile, Il siciliano (1987) e il remake Ore disperate non lasciarono grande traccia.
Sono dieci anni che Michael Cimino non dirige un film. Ma se i risultati devono essere come quelli del banalissimo (anche in senso puramente estetico) Verso il sole (1996), allora è difficile sentire la sua mancanza…
3 – Brian De Palma
Come per Cimino, anche per De Palma la distanza tra il massimo successo e il suo fallimento è molto breve. Ma andiamo per ordine. Il regista si fa conoscere negli anni settanta prima per alcuni film d’autore (invecchiati maluccio, ma sintomatici dell’epoca) e poi per alcune fortunate pellicole horror (in particolare, Carrie, lo sguardo di Satana). All’inizio degli anni ottanta, il suo stile diventa un marchio di fabbrica, con pellicole incredibilemente visionarie come Vestito per uccidere e Omicidio a luci rosse (la scena dell’ingresso nel locale di Craig Wasson, con Relax dei Frankie Goes to Hollywood in sottofondo, è da storia del cinema). Ma De Palma, intanto, mostrava di saper gestire bene il rapporto con Hollywood con pellicole più impegnative come il rifacimento di Scarface (ormai un classico) e la commedia Cadaveri e compari (uno dei suoi numerosi omaggi ad Alfred Hitchcock). Nel 1987, arriva il suo massimo successo critico e commerciale (almeno, per quanto riguarda pellicole veramente sue, non di attori celebri). Gli intoccabili è un meccanismo ad orologeria perfetto, con una sceneggiatura impeccabile (David Mamet in stato di grazia), un cast fantastico (non solo Sean Connery e Kevin Costner) e una regia perfettamente in bilico tra necessità narrative e sprazzi d’autore (tra cui, la famosissima scena delle scale alla stazione, citazione de La corazzata Potëmkin). Ma dopo l’altalenante Vittime di guerra, De Palma si cimenta con un testo sacro, Il falò delle vanità di Tom Wolfe. Il risultato, benché non così fallimentare (non solo per lo straordinario piano sequenza iniziale), venne massacrato da tutti. In realtà, negli anni seguenti De Palma darà vita ad un classico come Carlito’s Way (1993) e a un enorme successo commerciale come Mission Impossible (1996, anche se ovviamente i meriti al botteghino sono sicuramente più da assegnare a Tom Cruise). Ma da qual momento, solo sonori flop, come Omicidio in diretta, Mission to Mars, Femme fatale e il recente Black Dahlia. E anche a livello tecnico, non emoziona più come una volta. Difficile dire se il prequel The Untouchables: Capone Rising (previsto per il 2008), sia più promettente o preoccupante…
2 – Francis Ford Coppola
Forse è il regista che ha fatto i migliori film degli anni settanta, considerando i due episodi de Il padrino, La conversazione e Apocalypse Now. Proprio quest’ultimo, che sembrava dover essere un disastro per i numerosi problemi produttivi (ritardi, inondazioni e infarti sul set), si rivelò invece uno dei suoi maggiori successi, commerciali ed artistici. In realtà, il grande flop arriva nel 1982, con Un sogno lungo un giorno, ma non sembra essere questo il punto di svolta della sua carriera, considerando che poi arriverà un successo (non solo commerciale, ma anche per la lungimiranza nel casting, visti gli attori che fa emergere) come I ragazzi della 56° strada. Forse, più che i risultati non all’altezza delle aspettative di Cotton Club, Peggy Sue si è sposata e Giardini di pietra, è nel 1988 che arriva il colpo definitivo, con Tucker, un uomo e il suo sogno. Non ci vuole uno psicanalista di fama per trovare le analogie tra il protagonista della storia (un’idealista in anticipo sui tempi) e lo stesso Coppola e per questo l’insuccesso deve essere stato ancora più pesante. Da lì, un episodio imbarazzante di New York Stories, Il padrino parte terza (indegno se rapportato agli altri due, semplicemente mediocre di suo), un film incomprensibile come Jack (qualcuno deve avergli detto che con Robin Williams non si poteva fallire), un risultato deludente con L’uomo della pioggia (qualcuno deve avergli detto che con John Grisham non si poteva fallire) e la regia (non accreditata, in sostituzione di Walter Hill), di Supernova, non certo un lavoro che il Coppola degli anni settanta avrebbe accettato. E non basta certo il grande successo di Dracula per riequilibrare la situazione.
Quel che è peggio, è che ormai Coppola sembra più interessato a darci altre 18 versioni di Apocalypse Now (dopo che la Redux, di cinquanta minuti più lunga, spezzava decisamente la magia dell’originale, soprattutto con la lunghissima scena nella piantagione), piuttosto che pensare a progetti futuri. E la piantasse di dirci che ha trovato i soldi per Megalopolis per la ventesima volta. Ormai, non ci crede più nessuno…
E arriviamo così al nostro vincitore assoluto, che altri non è che…
1 – Woody Allen
Diciamo che il recente Scoop è un ottimo biglietto da visita per primeggiare nella nostra classifica. Riporto alcune frasi utilizzate nella recensione di quel guazzabuglio:
Beh, forse è il caso di ricordare una dichiarazione del regista di qualche anno fa. “Ora sono molto più rilassato. Se sono le sei di sera, ho fatto una scena che non mi convince del tutto e ci sono i Knicks da vedere, io mi accontento del primo ciak e vado alla partita”. Ora, è evidente che Allen deve aver trovato qualche altra forma di interesse (sia perché i Knicks attuali non sono proprio un piacere, sia perché ormai i film li gira a Londra), ma il livello di professionalità è rimasto lo stesso.
E’ da Crimini e misfatti (1989, mica ieri) che non fa un film all’altezza della sua fama (e del suo, passato, valore), con qualche discreta (ma nulla di sconvolgente) eccezione come Pallottole su Broadway o Harry a pezzi. Tuttavia (ma forse la ragione del suo scadimento qualitativo è proprio questa), continua a fare un film all’anno, con sceneggiature sempre più raffazzonate e una regia sempre più affrettata (d’altronde, ci sono i Knicks da vedere o forse, ora, il Chelsea). I punti più bassi? Senza dubbio Celebrity (in cui Kenneth Branagh fa il solito alter ego alleniano, in uno dei peggiori esempi di miscasting degli ultimi trent’anni), La maledizione dello scorpione di giada (in cui uno sfigato investigatore quasi settantenne conquista ancora donne che potrebbero essere sue figlie e nipoti) e appunto la sua già citata ultima fatica (si fa per dire).
D’altronde, se la gente continua a prenderti sul serio, perché non continuare a ‘fregare i soldi e scappare’?
Come avevo scritto per Scoop:
In tutto questo, ci sarebbe da capire come molti critici europei (soprattutto italiani, of course) lo prendano ancora sul serio. Si può forse pensare che non vogliono accettare la fine di un mito o che le battute esistenzialiste (ormai moscissime) di questo autore li facciano sentire molto intellettuali. Ma, probabilmente, è più facile continuare a versare fiumi di inchiostro per un ‘has been’ piuttosto che cercare i nuovi Woody Allen tra i registi e interpreti trentenni…