Red Sparrow, un thriller mediocre con una grande Jennifer Lawrence
Red Sparrow è un monologo di Jennifer Lawrence, che brilla in una storia di spie sexy troppo intricata e cervellotica per coinvolgere
Quando uscì nel 2012, Hunger Games fu un caso di proporzioni ciclopiche, che andavano al di là dei suoi meriti cinematografici, e lo trasformarono in uno dei prodotti decisivi per definire l’estetica (una delle) della nostra epoca. Fa strano quindi che appena otto anni dopo la luminosissima stella di Jennifer Lawrence, che venne definitivamente illuminata proprio grazie al suo omonimo Francis Lawrence, sia finita ancora a brillare, sì, ma fioca, offuscata, annebbiata dal film che le sta intorno: parliamo di Red Sparrow, un thriller di di miarbolante mediocrità con una protagonista che non si può permettere e la cui esistenza può essere spiegata solo contestualizzandolo (e facendoci aiutare da quella volta che Oprah intervistò Jennifer Lawrence).
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Red Sparrow e la CIA
Visto che questo pezzo parlerà soprattutto di Jennifer Lawrence, ci sembra giusto aprire ricordando la persona senza la quale Red Sparrow non esisterebbe: Jason Matthews, autore del libro da cui è tratto il film, uno che prima di scrivere ha lavorato per 33 anni per la CIA come reclutatore di asset stranieri, in Europa, Asia e nei Caraibi; terminata la sua carriera spionistica, Matthews ha deciso di raccontarla in tre libri che seguono le vicende della spia russa Dominika Egorova e dell’agente della CIA in missione estera Nate Nash. I romanzi di Matthews sono una lettura affascinante, perché l’autore, che ha fatto quel mestiere per una vita intera, non cade mai nella tentazione di romanzarlo, e ne racconta la realtà quotidiana, fatta di tedio, ripetitività e attesa che succeda qualcosa, con dovizia di particolari e la chiara impressione di sapere di cosa sta parlando.
Red Sparrow e il sexpionage
Ma tutto quello che interessa di Red Sparrow, non solo a chi guarda ma prima di tutto a Francis Lawrence, è Jennifer Lawrence. Sul suo talento speriamo che le discussioni siano finite: è un’attrice completa e in grado di fare sostanzialmente tutto, e qui interpreta un personaggio che recita di mestiere, e che è scritto per portarci a dubitare di lei anche nei suoi momenti di maggiore fragilità – starà mentendo per ingannarci? La sua Dominika non nasce così: è una ballerina del Bolscioi che subisce un infortunio tremendo, che le stronca la carriera e con essa stronca anche i finanziamenti della compagnia teatrale che le permettono di avere un appartamento e di pagare le cure della madre. Lo zio Putin le fa così un’offerta che non può rifiutare: una piccola missione di spionaggio, niente di serio, se non fosse che diventa in realtà una cosa serissima e Dominika finisce per diventare testimone di un omicidio di Stato, e deve scegliere se subirne le conseguenze o se accettare la seconda offerta che non può rifiutare da parte dello zio Putin.
L’offerta è: dimenticati chi sei e diventa una Sparrow, un’agente segreta addestrata a una scuola che si specializza in quello che in inglese si chiama sexpionage, cioè l’arte di estrarre informazioni utilizzando tecniche di seduzione e la generosa dotazione di forme gradevoli alla vista fornita dalla natura. Ci sono Sparrow maschi e Sparrow femmine, e ovviamente c’è la Sparrow ribelle che non obbedisce agli ordini della matriarca Charlotte Rampling, ma che siccome è nipote di una persona importante (zio Putin, appunto, che è il vicedirettore dell’SVR, l’agenzia russa di intelligence che si occupa di esteri) viene promossa, e le viene assegnata una missione che la porterà a interagire con Joel Edgerton e a scoprire che la vita della spia russa non è poi un granché.
Soprattutto Jennifer Lawrence
Tutto questo, in particolare la parte in cui Dominika è un’agente segreta di proprietà dello stato russo, significa all’atto pratico che Lawrence (Francis) prende Lawrence (Jennifer) e la sottopone a qualsiasi cosa: umiliazioni, torture, violenze, tentativi di stupro. E Lawrence (Jennifer) accetta senza problemi che Lawrence (Francis) la metta in scena spesso vestita sexy, quasi sempre seducente, a volte nuda, a volte torturata, e in una sequenza particolarmente efferata sia nuda sia torturata, e pure in modi orribili. Non è la prima volta che succede nella storia del cinema, ma quello che dovete ricordare è che qualche anno prima dell’uscita di Red Sparrow, nel 2014, Jennifer Lawrence fu non l’unica ma forse la più famosa tra le attrici di Hollywood le cui foto private vennero sottratte da iCloud e diffuse un po’ ovunque su Internet. Nell’intervista a Oprah linkata più in alto, Jennifer Lawrence è la prima a tracciare un collegamento preciso tra quella violenza e la sua scelta di accettare il ruolo di Dominika: «Ho avuto paura di fare film sexy o sessuali fin dal 2014 [...] quando ho accettato Red Sparrow è stato come riprendermi indietro qualcosa».
In altre parole, Red Sparrow è stato per Jennifer Lawrence un modo per esorcizzare quell’invasione della sua privacy e trasformarla in un pezzo di cinema e in un’arma; non solo abbraccia con entusiasmo l’ipersessualizzazione del suo personaggio, ma tutte le volte che sceglie di mostrarsi nuda lo fa in contesti che di sexy non hanno nulla: mentre viene torturata, violentata, umiliata pubblicamente dalla sua insegnante. È come se sfidasse chi guarda a trovarla ancora sexy, anche in condizioni pietose, e c’è più di un parallelo tra la sua vicenda e quella di Dominika, entrambe segnate da un incidente traumatico e che ha cambiato la loro vita: non è difficile capire perché abbia accettato il ruolo, e perché ci abbia messo più impegno di quanto ce ne abbiano messo Francis Lawrence e il resto del cast. Meno male che c’è lei, perché altrimenti Red Sparrow sarebbe veramente poca cosa.