Red Dead Redemption, la riscoperta del capolavoro Rockstar Games non inizia come sperato
Dai primi incarichi per conto di Bonnie MacFarlane, sino all’attacco al fortino di Bill Williamson: alla riscoperta di Red Dead Redemption
Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".
All’epoca, lo dico senza alcun timore, lo trovai noioso, ripetitivo, per certi versi contraddittorio, tutti giudizi e sensazioni che, unitamente all’acquisto di una PlayStation 4 fiammante, mi portarono ad abbandonarlo anzitempo, impedendomi un’analisi completa e minuziosa di quello che, quasi all’unanimità, viene riconosciuto come un capolavoro senza tempo, uno dei migliori giochi della passata generazione di console.
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Eccomi, dunque, con il sorriso stampato sulla faccia e tutte le buone intenzioni del mondo mentre accetto i primi incarichi della bella Bonnie MacFarlane, determinatissima e vigorosa proprietaria di un ranch non molto lontano dalla piccola cittadina di Armadillo; ed eccomi, sempre armato di tutte le buone intenzioni del mondo, mentre spero con tutto me stesso che presto non avrò più a che fare con cavalli imbizzarriti da domare, incendi da spegnere e bestiami da ricondurre nei recinti.
Su una cosa non c’è alcun dubbio: Rockstar Games, anche in questa situazione, ha ribadito e sottolineato, se ce ne fosse ancora bisogno, quanto non sia affatto disposta a scendere a compromessi, soprattutto quando si tratta di restituire il feeling, l’atmosfera degli scenari prescelti per le proprie avventure. Esattamente come GTA: San Andreas ci ha fatto innamorare della California degli Anni ’90, così immersa e avvolta dalla cultura Hip Hop da risultare eccessiva, Red Dead Redemption non fa alcuno sconto al videogiocatore, “costringendolo” a vivere come un vero cowboy, come un autentico pistolero di inizio Novecento che, per esempio, non può pretendere di accorciare più di tanto le lunghe cavalcate che gli permettono di spostarsi di avamposto in avamposto.
L’America presentataci nel gioco è un luogo selvaggio, ampiamente disabitato, in cui l’umanità è ben lontana dall’avere il controllo della situazione, per quanto già in rampa di lancio grazie alle meraviglie e ai benefici apportati dell’industrializzazione."Red Dead Redemption impone regole ferree per mantenere coerente il setting, anche a costo del puro divertimento"
Eppure, c’è poco da fare, ci si sposta su “lenti” cavalli, i centri abitati sono di piccole dimensioni, le bocche di fuoco in proprio possesso sono relativamente poche e, vero svantaggio in termini ludici, si assomigliano un po’ tutte. Red Dead Redemption, in soldoni, impone regole ferree per mantenere coerente il setting, anche a costo del puro divertimento, di quell’immediatezza e spensieratezza che invece contraddistingue, da sempre, la serie di GTA.
Bisogna appassionarsi o essere appassionati all’ambientazione western, imparando a lasciarsi cullare dagli splendidi colori che dipingono panorami mozzafiato, spettacolo offerto dalla natura che può distogliere il videogiocatore dalla pesante consapevolezza di avere a che fare con l’ennesima cavalcata che condurrà alla successiva location, accompagnando un personaggio che procede più lentamente di noi, rendendo il viaggio ancora più lungo, interminabile, noioso.
Sì, perché questo primo assaggio della produzione Rockstar Games mi sta deludendo. Fermo restando che parliamo pur sempre di un gioco dai valori produttivi altissimi, che si fregia di un art design strepitoso e di una colonna sonora orecchiabilissima, non mi sto affatto appassionando ad un gioco dai ritmi così bassi, che propone, tra l’altro, fin troppe missioni simili tra loro.
Ad esclusione delle terribili commissioni elargite da Bonnie MacFarlane, lasciando da parte le corse dei cavalli, anch’esse tutt’altro che adrenaliniche per usare un eufemismo, si tratta quasi sempre di raggiungere una determinata location ed eliminare ogni presenza ostile. Il problema non sarebbe neanche questo, tanto più che sparare regala grosse soddisfazioni, ma va inserito in un contesto più ampio in cui sorgono altre problematiche.
Abbondano checkpoint schizofrenici, dove in caso di morte bisogna sorbirsi nuovamente la lunga cavalcata che conduce al luogo della sparatoria; inutili spostamenti tra una location e l’altra solo raramente accorciati e sostituiti da cut-scene; una certa incoerenza narrativa di fondo tale per cui, il nostro buon samaritano, è fin troppo incline a prestare aiuto a chiunque, nonostante l’emergenza del compito affidatogli dal Bureau of Investigation.
[caption id="attachment_185293" align="aligncenter" width="1000"] Personaggi come l’Irlandese o Nigel West Dickens strappano più di una risata. Se il plot, attualmente, soffre di qualche buco di troppo, i dialoghi, come da tradizione Rockstar Games, vantano una brillantezza ed un’ironia di fondo da applausi.[/caption]
La sensazione, dopo queste prime ore in compagnia di Red Dead Redemption, è che Rockstar Games abbia creato una splendida ambientazione, storicamente coerente e visivamente vibrante, che funge da meraviglioso sfondo ad un gioco cronicamente privo di contenuti. Le missioni ripetitive, le lunghissime cavalcate nel bel mezzo del nulla, le assurde e spesso inconcludenti missioni secondarie in cui si incappa, danno la parvenza di un titolo con il fiato corto, tenuto in vita da una mappa sproporzionata e dall’innegabile carisma del suo protagonista.
Il viaggio è ancora lungo, tuttavia. Probabilmente, molte delle cose scritte in questa prima parte del mio personalissimo diario di bordo verranno confutate proseguendo l’avventura proposta in Red Dead Redemption. O per lo meno, è quello che mi auguro con tutto il cuore.
Alla prossima puntata.