Red Dead Redemption: finalmente, la tanto attesa conclusione

La conclusione del viaggio di John Marston, la vendetta del figlio Jack: alla riscoperta di Red Dead Redemption

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Spoiler Alert
C’è un momento in cui la narrazione di Red Dead Redemption raggiunge la perfezione assoluta, una scena che parla, svela e dimostra molto più di quanto non facciano, o tentino di fare, decine e decine linee di dialogo, conversazioni, per lo più interne all’ultima manciata di missioni che compongono l’avventura principale, talmente ridondanti da rendere quasi patetici e prevedibili i cruenti finali che concludono il titolo Rockstar Games.

Bonnie MacFarlane, proprietaria del ranch che ha dato asilo ad un John Marston in fin di vita, fiera e schietta padrona di un’attività che orgogliosamente conduce ormai in prima persona, dopo aver incontrato e conosciuto Abigail, dopo aver salutato il pistolero che tanto ha fatto per aiutarla nei momenti di difficoltà e che non rivedeva da tempo, ha un attimo di esitazione. Guarda il carro su cui siede l’uomo allontanarsi, seduto di fianco alla moglie, e non riesce a staccare lo sguardo. Sospira, si rabbuia, prova invidia e sogna qualcosa che non potrà mai avere, accorgendosi (nuovamente) che quel sentimento che non credeva possibile, esiste, brucia, la lacera.

Molti esperti di storytelling concordano sul fatto che una trama cinematografica che funziona realmente, è una trama che ha bisogno di poche parole, che si spiega soprattutto attraverso le immagini, grazie alle reazioni dei personaggi. Il sottoscritto non è completamente d’accordo, ma è chiaro che l’ultimo segmento che compone la main quest di Red Dead Redemption comprovi la bontà del teorema di cui sopra.

[caption id="attachment_188815" align="aligncenter" width="1000"]Red Dead Redemption screenshot Era facile intuire che fine avrebbe fatto il povero John. Nonostante ciò, è impossibile non provare desolazione e tristezza per la sua morte[/caption]

Sì, perché sebbene basti un attimo di esitazione per svelare qualcosa che lo spettatore ha sempre sospettato, rivelazione, tra l’altro, condotta con estrema eleganza e maestria sul piano registico, gli sceneggiatori di Rockstar, al contempo, hanno pensato di ripetere decine di volte lo stesso dialogo per trasmettere sempre lo stesso messaggio: niente potrà più dividere John dalla sua famiglia perché la vecchia vita, fatta di crimini e continue fughe, con l’eliminazione di Dutch Van Der Linde, e conseguente liberazione della famiglia Marston dalle grinfie dei funzionari statali, è finita per sempre."Mentre i titoli di coda scorrevano sullo schermo, ho sfortunatamente provato un sincero senso di sollievo per aver finalmente portato a termine un’avventura che mi ha soddisfatto e appassionato davvero poco"

Che l’immagine di mamma, papà e figlio finalmente riuniti sia destinata a durare poco, lo si capisce praticamente subito, non appena ci si accorge che, nonostante la sconfitta del cattivone, o presunto tale, l’avventura prosegue. Come se non bastasse, la sensazione che John Marston sia un personaggio romantico, destinato a capitolare, la si ha sin dalle prime battute, se non prima, soprattutto se si è appassionati conoscitori del genere western, dove non mancano eroi perdenti.

Eppure, mentre si accompagna il figlio ad una battuta di caccia o si conduce la mandria al pascolo (di nuovo? Sì, purtroppo di nuovo), ogni dialogo, ogni conversazione, ogni parola è spesa nel patetico e ridondante tentativo di preparare il videogiocatore al momento in cui l’ultima promessa di John, quella di non separarsi mai più dal figlio, verrà irrimediabilmente e drammaticamente spezzata.

Al netto di una discreta regia, le continue ripetizioni dello stesso concetto hanno sortito l’effetto di alienarmi nel momento più tragico dell’intera vicenda, di trovare nella morte di Marston la consolazione di non dover più risentire certe frasi, di non dovermi più sorbire i capricci di un ragazzo, Jack, che alterna, spesso in maniera poco credibile, attacchi d’ira a gesti di sincero affetto verso il padre.

La seconda conclusione, se possibile, è ancor più insoddisfacente, sia sul piano registico, che su quello prettamente ludico. Il giovane, divenuto uomo, va in cerca di vendetta. Vuole la testa di Edgar Ross, reo di aver usato e tradito il genitore. Potrebbe essere l’incipit di un’emozionante caccia all’uomo, con conseguente sparatoria finale, ma il tutto si riduce ad una scialba, e noiosa, cavalcata da un punto all’altro della mappa, condita da un duello finale, senza alcun dubbio la meccanica di gameplay più deludente dell’intera produzione.

Dal tanto decantato finale di Red Dead Redemption, insomma, mi aspettavo certamente qualcosa di più.

Mentre i titoli di coda scorrevano sullo schermo, ho sfortunatamente provato un sincero senso di sollievo per aver finalmente portato a termine un’avventura che mi ha soddisfatto e appassionato davvero poco. Al gioco ho riconosciuto e vanno oggettivamente riconosciuti tutti i valori produttivi del caso. Personalmente, ho apprezzato la caratterizzazione del protagonista, ho applaudito agli scenari creati ad arte da un team ispiratissimo e abilissimo, ma mi sono anche scontrato con un gameplay fin troppo sacrificato, con passaggi narrativi poco convincenti, con una ripetitività delle missioni che si è palesa sin da subito.

Vista la ricchezza dei vari capitoli di GTA, contando anche quelli pubblicati precedentemente a Red Dead Redemption, non vale più di tanto l’accusa di aver scoperto questo gioco fuori tempo massimo, ad eccessiva distanza dalla sua release originaria, fattore che ha comunque causato un evidente invecchiamento del concept. Tanto meno si può subordinare eccessivamente il giudizio al personale apprezzamento per i western. Naturalmente, senza il giusto know how, molte citazioni e rimandi non si possono cogliere, ma la ripetitività di certi passaggi resta ugualmente.

[caption id="attachment_188814" align="aligncenter" width="1000"]Red Dead Redemption screenshot La caccia all’uomo di Jack non ha assolutamente nulla di epico, eroico o emozionante. Di NPC, in NPC, si scova l’ormai vecchio ed inutile Edgar Ross, nemico che si finisce comodamente con un patetico duello[/caption]

Paradossalmente, questa personale e deludente (ri)scoperta di Red Dead Redemption, non ha fatto altro che incrementare la mia dose di hype per il sequel. Sì, perché questo secondo tentativo di Rockstar Games promette di realizzare effettivamente tutto ciò che con il capitolo originale ha pur proposto, ma che ha messo nel piatto in uno stato incompleto, parziale, limitato. Quando mostrato nei trailer, quanto promesso dagli sviluppatori, lascia intravedere una maggior attenzione sotto il profilo del gameplay, che si espanderà e si inspessirà, fattore che dovrebbe garantire varietà e maggior interattività con scenario e NPC, caratteristiche che sono totalmente mancata al predecessore.

Il mio viaggio alla riscoperta di Red Dead Redemption, in conclusione, non è andato come sperato. Mi sono scontrato con un incipit azzoppato da fin troppe missioni ripetitive. Ho proseguito con un viaggio in Messico narrativamente più stimolante. Ho fatto i conti con un finale sulla carta emozionante, purtroppo sporcato e attutito da una costruzione narrativa inutilmente ridondante. Eppure qualcosa nella mia memoria di videogiocatore resterà, vuoi perché John Marston è indiscutibilmente un protagonista carismatico, vuoi perché certi scorci, certi panorami, scaldano il cuore. Un viaggio meno estasiante di quanto sperato, quindi, ma che non per questo mi pento di aver intrapreso. Non fosse altro perché mi permetterà di godermi meglio Red Dead Redemption 2.

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