Ready Player One: il mondo come mash-up e rappresentazione

A pochi giorni dall'uscita nelle sale di Ready Player One, proviamo a immergerci in alcuni gangli dello "spielbergverse" alla ricerca di spunti e suggestioni cari al grande cineasta americano.

Redattore su BadTaste.it e BadTv.it.


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Righine sulle divise

Sai perché gli Yankees vincono sempre? Perché gli avversari non riescono a staccare gli occhi dalle righine delle loro divise”. È ciò che Frank Abagnale senior rivela a suo figlio Frank William Abagnale junior in Prova a Prendermi. Quelle parole sono una sorta di lezione di vita “spielberghiana”. In effetti, il grande regista americano è uno dei pochi nomi ad aver dato vita a un aggettivo - spielberghiano - anche per via della sua capacità di farsi contemporaneamente pensatore e prestigiatore, di comunicare una propria visione antropologica indirizzando l'occhio del pubblico esattamente dove il mago vuole che lo sguardo dei presenti si vada a poggiare.

Si scriverà e leggerà molto su Ready Player One: "inno alla cultura pop", "celebrazione della settima arte", "lettera d'amore al cinema e ai videogiochi" e via discorrendo. Tutte diciture plausibili ma anche molto parziali: l'adattamento per immagini del romanzo di Ernest Cline è innanzitutto un'ulteriore dimostrazione del valore che Spielberg attribuisce a quelle "righine sulle divise" di cui parla il padre di Frank. Il numero assolutamente elevato di citazioni e di riferimenti presenti nel film non è altro che quella giostra di "righine" accattivanti di cui lo stesso Spielberg si serve per far emergere - ancora una volta - la centralità dell'esperienza umana dei protagonisti: anche in un mondo dominato dall'esperienza virtuale, siamo sempre noi a dover fare la differenza uscendo dagli schemi, smettendo di fissare le "righine" e iniziando a giocare - e a vincere - davvero.

Prova a Prendermi Come Fly With Me

Anche perché, nella visione spielberghiana del mondo, quelle "righine" che distraggono gli avversari sono essenzialmente i dettagli che la gente guarda mentre è inconsapevole che qualcosa di straordinario sta effettivamente accadendo. Un po' come se qualcuno mettesse in piedi un parco con dei dinosauri senza accorgersi che le creature hanno iniziato a riprodursi in maniera incontrollata. Nelle storie che il cineasta ama raccontare, a vincere sono coloro che hanno la capacità di abbracciare il senso del meraviglioso senza perdere completamente quello della realtà. Quando in Jurassic Park John Hammond promette a Ellie di riconquistare quanto prima il controllo del parco, la saggia paleobotanica esclama "Non avete mai avuto il controllo, è ancora tutta un'illusione!". È in momenti come quelli - incastonati all'interno di un grande spettacolo - che sul pubblico piomba una doccia fredda che è la pietra angolare del racconto. Uno dei messaggi che ricorre nel libro di fiabe spielberghiano è che incubi e meraviglie sono due facce della stessa medaglia: a fare la differenza sono sempre le persone. Anche una situazione da incubo come rimanere bloccati per mesi nel terminal di un aeroporto può diventare l'avventura di una vita e dare l'occasione a un narratore di spiegare l'idea di nazione che ha in mente. È anche per questo che chi asserisce che Spielberg ami "alternare film di intrattenimento a film impegnati" - delineando una cesura tra le due cose - non ha essenzialmente capito la peculiarità del cineasta americano.

Fate il vostro gioco

Se proprio si volesse trovare un qualche albero genealogico nel quale inserire Ready Player One, si potrebbe pensare al frutto di un curioso incontro tra Prova a Prendermi e Chi Ha Incastrato Roger Rabbit di Robert Zemeckis. La disinvoltura con la quale, all'interno di Oasis, Wade Watts modifica il suo avatar Parzival pare la disinvoltura con la quale - in un mondo assolutamente reale - Frank Abagnale Jr. diveniva un medico o un pilota semplicemente indossando un camice o un cappello. Era così che - complice l'ingenuità di un'epoca intrisa di ottimismo - Frank poteva assumere identità multiple senza neanche aver bisogno dei fatidici occhialoni di Clark Kent, pronti a trasformare un alieno dagli straordinari poteri in un timido e goffo reporter. In un'epoca intrisa di pessimismo, invece, la realtà virtuale è la "macchina" che cerca di legare realtà e immaginazione "barando", cioè trasportando l'individuo in un luogo fittizio più interessante del non-luogo reale. La virtualità del domani sembra voler disperatamente imitare la capacità di una funzione matematica di stabilire un legame tra variabili, un ponte tra dominio e codominio: Oasis, non a caso, offre la possibilità di "elevare al quadrato o al cubo" variabili smaccatamente umane come eccentricità o carattere, consegnando alle persone un aspetto diverso grazie al quale sentirsi più a proprio agio. Così, se sei gracile puoi diventare possente e - all'occorrenza -  se sei timido puoi diventare spigliato. Poco importa come tu sia veramente, nessuno lo saprà mai. In sostanza, se nella realtà è divenuto impossibile "giocare" (anche sporco, come faceva Frank Abagnale negli anni 60), è invece possibile farlo in un mondo fittizio dove puoi barare per evitare di "restarci male" e di sbattere contro il muro di inerzia che delimita il tuo presente.

Paperino Daffy Duck Chi Ha Incastrato Roger Rabbit

Allo stesso tempo, Oasis è molto simile alla Cartoonia di Roger Rabbit. La parola d'ordine è mash-up: mettere insieme l'impossibile a partire da tutto ciò che è divenuto iconico. Era così che nella città dei cartoni potevamo scorgere sullo stesso palcoscenico Paperino e Daffy Duck o imbatterci tanto in Dumbo quanto in Betty Boop, nei pinguini di Mary Poppins, in Marvin il Marziano o in Picchiarello. Cartoonia era un grande universo cinematografico e televisivo senza marchio o, se volete, un maxifranchise vivente a proprietà intellettuale diffusa. Anche il film di Zemeckis faceva perno su una ricerca: la caccia al testamento di Marvin Acme. Il proprietario dei terreni sui quali sorgeva Cartoonia, ucciso in circostanze misteriose, lasciava un'ultima grande beffa pronta tuttavia a essere fonte di salvezza per tutti i cartoni. Similmente - come mostrato nei trailer - il James Halliday di Mark Rylance tira le cuoia lasciando al mondo una grande caccia al tesoro ("Se mi state guardando, sono morto"). Il suo Oasis è un universo nel quale addormentarsi rimanendo svegli, che richiama l'idea del cinema come "vita senza i momenti noiosi". Ma nel futuro mostrato nel film non è alla noia che occorre sfuggire: in un mondo nel quale non c'è "essenzialmente più nessun posto dove andare" la vita virtuale sembra davvero il modo più diretto di rimediare alla malaugurata idea di essere stati messi al mondo. Mash-up e rappresentazione di sé sono allora i pilastri sui quali poggiare un'esistenza parallela e speculare nella quale essere nostalgici, paradossalmente, di tempi che non si sono mai vissuti: Wade idealizza gli anni 80 non certo perché li ricorda (è nato nel 2026) ma perché sono stati un decennio nel quale realtà e spettacolo hanno delineato una prospettiva di ottimismo e di benessere. Nel 1986 Ronald Reagan, nel discorso sullo Stato dell'Unione, disse davanti all'intero Paese "Dove stiamo andando non c'è bisogno di strade".

Futuromics

Spielberg ripete spesso che il futuro è già arrivato: i germi di una realtà come quella di Ready Player One effettivamente ci sono già, ma non è detto che le cose siano necessariamente già scritte o che la realtà stessa non possa riservare ghiotti colpi di scena, inaspettati plot twist o semplicemente direzioni più banali di quelle che ci piace immaginare. Ce ne siamo accorti nel 2015, nell'anno in cui è arrivato il "futuro" di Marty e Doc di Ritorno Al Futuro. A 30 anni dal film di Zemeckis, Michael J. Fox e Christopher Lloyd si sono prestati a uno sketch azzeccatissimo durante il Jimmy Kimmel Live. Vedendo lo smartphone di Kimmel, Doc esclama "Un piccolo supercomputer! Questo dovrebbe consentire agli astrofisici di risolvere equazioni complesse!". Kimmel replica "Sono sicuro di sì, ma noi lo usiamo essenzialmente per inviarci delle faccette buffe".

Certo è che nel film con Tye Sheridan e Mark Rylance risulta difficile ignorare un legame con l'attualità, nascosto tra le righe dei richiami al glorioso passato degli eighties. Fatte le dovute distinzioni, una fetta importante dell'esperienza virtuale dei nostri giorni - imperniata sull'idea di "condividere" con gli altri il proprio quotidiano - si svolge in spazi nei quali un numero sempre più elevato di persone non racconta spontaneamente la propria vita, ma costruisce artificialmente l'immagine della vita che vorrebbe. A oggi, fiumi di profili virtuali cercano di "mettere in scena" esistenze idilliache nelle quali storytelling e personal branding "fatti in casa" cercano di costruire (a volte anche con risultati disastrosi) l'immagine o l'idea alla quale si desidera essere associati. Un numero sempre più elevato di persone, anziché raccontare il proprio quotidiano, lo gonfia, lo altera o ne crea uno posticcio nel tentativo di apparire più interessante. Vale la pena provare a riflettere su quale potrebbe essere il passo successivo, nel quale un'umanità insoddisfatta avrà la possibilità di creare spazi sempre più realistici nei quali sguinzagliare a briglia sciolta tanto il meglio quanto il peggio di sé. Non è la prima volta che Spielberg accenna ai possibili effetti di un'idea simile. Una sorta di piccolo Oasis "in miniatura" c'era anche in Minority Report: il Rufus Riley di Jason Antoon era a capo di un centro nel quale i clienti - previa generosa elargizione in denaro - potevano vivere in virtuale esperienze che nella vita reale sarebbero state improbabili o impossibili, dal vincere un premio prestigioso fino all'uccidere il proprio capo (omicidio che - date le premesse del film - non avrebbero potuto compiere, venendo fermati dalle previsioni dei precognitivi e arrestati prima di tentare il delitto, da cui la necessità di optare per il virtuale). Se siamo alle porte di un'epoca nella quale meccanica e programmazione andranno a plasmare realtà artificiali, tanto virtuali (Ready Player One) quanto fisiche (Westworld), parte del discorso si sposta sui possibili scenari nei quali un'umanità frustrata dal presente, come reazione, finisce per crearne uno finto a proprio uso e consumo. È una prospettiva che richiama il punto di vista del Cypher di Joe Pantoliano in Matrix: il personaggio tradiva Morpheus chiedendo all'Agente Smith di essere riprogrammato nel mondo virtuale senza poter ricordare di trovarsi in un mondo fasullo. "Morpheus ti ha liberato!" gli ricordava Trinity. "Liberato? Questa la chiami libertà?".

È qui che, tuttavia, entra in gioco il particolarissimo rapporto tra Spielberg e quel corpus disomogeneo di riferimenti riassunti sotto la riduttiva etichetta di "cultura pop". L'idea alla base della positività di fondo di Oasis è la stessa idea che si sviluppa dopo la "consegna" di un film dalle mani del suo creatore alla disponibilità del pubblico. Il fatto che una propria storia diventi "patrimonio" di altri è tanto soddisfacente quanto spaventoso. "È difficile lasciar andare un film" ha dichiarato spesso il regista, proprio a ricordare che - una volta consegnato al pubblico - in qualche modo il racconto smette di essere una proprietà esclusiva del suo narratore plasmandosi sulle infinite variabili di coloro ai quali è rivolto. È la riprova che l'immaginazione è contagiosa: la fiction genera fan-fiction. Da questo punto di vista, pur contenendo frotte di personaggi iconici, Oasis è anche il grande riscatto di tutto ciò che non è ufficiale, che non è canonico, o anche che in teoria non ha necessariamente troppo senso logico - come scalare l'Everest con Batman. "I dolci non devono avere un senso, devono essere buoni" ricordava Charlie alla presenza di Willy Wonka. L'Oasis, dunque, non è Matrix proprio perché è utilizzato come rifugio dai suoi utenti per alleviare le sofferenze del presente (per essere, in sostanza, buono come una tavoletta Wonka), e non per dominare il mondo nascondendo in maniera truffaldina la verità al genere umano. È per questo che, in Ready Player One, Oasis "è importante" ed è un patrimonio da salvaguardare anziché da distruggere. Il chiassoso e coloratissimo mondo architettato da Halliday e "riempito" dagli utenti è il deposito nel quale abbiamo riposto il meglio di ciò che la nostra immaginazione ha partorito prima che il mondo (reale) andasse in vacca. "Salvate Oasis, salvate il mondo!" è una frase che, non a caso, risuona al culmine di uno degli ultimi trailer, facendo coincidere ciò che abbiamo immaginato con ciò che siamo e che, in potenza, possiamo essere. Mostrando agli spettatori un anarchico marasma nel quale sguinzagliare personaggi, scenari o accadimenti noti al pubblico, Ready Player One ha sempre e comunque scelto ostinatamente di fare perno sulle situazioni e non sulle citazioni.

Lo spettacolo spielberghiano, ancora una volta, è uno strumento all'interno del quale veicolare contenuti. Un concetto che il dottor Emmett Brown riassumeva in maniera chiarissima e immediata: "Dovendo trasformare un'automobile in una macchina del tempo, perché non usare una bella automobile?".
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Ready Player One vede nel cast Tye SheridanOlivia Cooke (Samantha Evelyn Cook/Art3mis), Ben Mendelsohn (Nolan Sorrento), Simon Pegg (Ogden Morrow), T.J. Miller (iR0k), Win Morisaki (Daito), Philip Zhao (Shoto) e Mark Rylance (James Halliday).

L’opera scritta da Ernest Cline, ambientata nel 2045, descrive un pianeta Terra inquinato, sovrappopolato e privo di fonte energetiche. L’unico svago per la popolazione terrestre si trova in un universo virtuale chiamato OASIS.

Ecco la sinossi:

Nel 2045, anno in cui il mondo sta per collassare sull’orlo del caos, le persone hanno trovato la salvezza nell’OASIS, un enorme universo di realtà virtuale creato dal brillante ed eccentrico James Halliday (Mark Rylance). A seguito della morte di Halliday, la sua immensa fortuna andrà in dote a colui che per primo troverà un Easter egg nascosto da qualche parte all’interno dell’OASIS, dando il via ad una gara che coinvolgerà il mondo intero. Quando un improbabile giovane eroe di nome Wade Watts (Tye Sheridan) deciderà di prendere parte alla gara, verrà coinvolto in una vertiginosa caccia al tesoro in questo fantastico universo fatto di misteri, scoperte sensazionali e pericoli.

Prodotto da Warner Bros. Pictures, Village Roadshow Pictures e DreamWorks Pictures, Ready Player One vede alla produzione Donald De Line (con la sua De Line Pictures), Dan Farah e Kristie Macosko Krieger. Bruce Berman figura come produttore esecutivo.

L’uscita è prevista per il 28 marzo 2018.

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