Rambo 2 – La vendetta alza il volume a undici

Rambo 2 – La vendetta fa tutto quello che il primo capitolo si rifiutava di fare, ma sempre tenendo bene a mente il messaggio politico dietro alla storia di John Rambo

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Rambo 2 – La vendetta è su Netflix

Una delle domande più difficili nel mondo del cinema action è questa: cos’è esattamente Rambo 2 – La vendetta? È il sequel perfetto di uno dei migliori rappresentanti del genere, che come ogni buon sequel riprende gli spunti del primo capitolo e li allarga, riproponendo e arricchendo la stessa struttura di base? È un tradimento del personaggio? È Sylvester Stallone che abbandona le ambizioni autoriali per arrendersi al massacro all’urlo di “la gente vuole questo, non i monologhi lacrimevoli”? È un film di destra, reaganiano, americacentrico e interventista, una rivisitazione ideologicamente inaccettabile della guerra del Vietnam? O è al contrario un film fortemente critico verso l’establishment degli Stati Uniti e più in generale verso chiunque consideri i soldati come pezzi di carne sacrificabili invece che come esseri umani? La risposta a tutte le domande precedenti è probabilmente “sì”.

Rambo 2 e James Cameron

Rambo andò straordinariamente bene al box office, incassando otto volte il suo budget e convincendo Sylvester Stallone a riprendere il personaggio in un sequel, per scrivere il quale Sly richiese di avere un certo controllo creativo e autoriale così da poter gestire il personaggio di John Rambo come meglio credeva. La prima idea su cui venne costruito Rambo 2 fu quella di affiancargli questa volta una spalla invece di farlo imbarcare una missione solitaria, e la prima stesura di questa idea venne affidata a un tizio ancora relativamente sconosciuto, che aveva cominciato a farsi un nome un anno prima con un film abbastanza famoso intitolato Terminator. Esatto: la storia di Rambo 2 è stata scritta da James Cameron, e se volete qui trovate la prima versione della sua sceneggiatura, che Sly lesse e giudicò, per parafrasare un buon punto di partenza e poco più.

Potete leggere qui alcune sue dichiarazioni a riguardo, nelle quali Stallone spiega che “Cameron ha talento, ma...”: ma la sua storia metteva da parte l’aspetto politico del primo film per puntare tutto sull’azione, e affiancava a Rambo una spalla esperta di tecnologia (praticamente Die Hard 4). E invece per Stallone la politica è sempre stata centrale nei film di Rambo: secondo lui era importante che alcuni personaggi, Trautman e Murdock su tutti, fossero chiaramente di destra, perché servivano come contrasto alle posizioni di Rambo, perfettamente neutrali e interessate solo alla salute, fisica e mentale, di un gruppo di persone (i soldati di ritorno dal Vietnam) traumatizzati dagli eventi che avevano vissuto e dimenticati da quello stesso Stato che li aveva mandati ad ammazzare e farsi ammazzare. Per cui Stallone prese la sceneggiatura di Cameron, disse “OK, ora ci penso io”, si armò di penna rossa e bianchetto (immaginiamo noi) e riscrisse la storia di Rambo 2 come se la immaginava lui.

Rambo 2 Sly

Rambo 2 e il Vietnam

“Come se la immaginava lui” è poi la (più o meno) logica conseguenza di come andavano le cose nel primo film: Rambo si chiudeva con John Rambo perdonato dal colonnello Trautman per le sue intemperanze, ma comunque condannato dal sistema. E quindi Rambo 2 comincia con Sylvester Stallone che spacca le pietre, ai lavori forzati come punizione per le sue gesta in quel di Hope, Washington. È ancora Trautman (sempre Richard Crenna), l’unico vero amico che gli è rimasto al mondo, a cavarlo dai guai, facendogli un’offerta di quelle che non si possono rifiutare: se compi una missione per noi, l’ultima della tua vita, lo giuro, verrai perdonato, e potrai tornare un uomo libero. Di che missione si tratta? Questa è, crediamo noi, una delle poche eredità rimaste di Cameron, uno che nei suoi film ha spesso infilato personaggi danneggiati che sono costretti a tornare nel luogo dove hanno subito il trauma: John Rambo viene spedito in Vietnam, dove, gli dicono, ci sono ancora soldati americani che vengono dati ufficialmente per morti ma che sono in realtà prigionieri di guerra dei Viet Cong. “Liberali” gli dicono Trautman e il burocrate Murdock (Charles Napier) “e sarai libero anche tu”.

Ovviamente le cose non sono così semplici, e tutte le complicazioni vanno in un’unica direzione: gli Stati Uniti d’America stanno cercando un’altra volta di fregare John Rambo, e di ingannarlo con la promessa di una ricompensa che in realtà è, o dovrebbe essere se lui non fosse il soldato migliore dai tempi dell’invenzione della guerra, una punizione, se non una condanna a morte. I prigionieri esistono, ma l’America vorrebbe far finta di nulla per non dover spendere valanghe di soldi e capitale politico per liberarli; e la missione ha in realtà il duplice scopo di insabbiare definitivamente questa faccenda e di levarsi dai piedi Rambo, che viene spedito da solo in mezzo alla giungla vietnamita in un territorio che brulica di Viet Cong e di soldati sovietici. John Rambo, in teoria, non dovrebbe uscirne vivo, solo che si scordano di avvertirlo e quindi lui fa quello che gli viene meglio: portare a termine la missione.

Sly

Come il primo, ma di più

Pur svolgendosi dall’altra parte del mondo e affiancando a Rambo una controparte femminile (l’agente Co Bao, interpretata da Julia Nickson, l’unico personaggio della saga di Rambo che riesca a fargli aprire un po’ il cuore), Rambo 2 ricalca fedelmente la struttura del primo capitolo. Al posto dei boschi dello stato di Washington c’è la giungla del Vietnam (che in realtà è la Thailandia), e al posto della polizia locale ci sono i soldati di non uno ma due eserciti nemici; ma l’impalcatura è sempre quella: John Rambo, soldato infallibile, si ritrova in una situazione di grossa crisi – sbaglia il lancio con il paracadute, perde tutta la sua attrezzatura e deve cavarsela con quello che trova – e ne esce grazie alla sola forza dei suoi bicipiti e del suo essere un intero esercito compresso in una singola persona.

E come il primo film, anche Rambo 2 fa un uso originale e intelligente del setting: dove First Blood usava un’ambientazione che normalmente associamo a piacevoli gite primaverili, pic-nic e altre amenità (la montagna, i boschi, le cascate) e la trasformava un campo di battaglia, il film di George Pan Cosmatos prende un luogo nel quale il nostro eroe ha già combattuto e lo svuota di ogni significato. Nel Vietnam di Rambo 2 la guerra è già finita, tutto quello che rimane sono gli avanzi, le vittime dimenticate; non c’è più nulla per cui combattere, tanto è vero che la missione stessa di John Rambo è pensata per fallire, non per essere portata a termine. Ma tutto questo al protagonista non interessa: lui è stato addestrato per fare una cosa sola, la fa meglio di chiunque altro e continuerà a farla anche in un teatro spettrale come era il Vietnam dei primi anni Ottanta. Non importa che sia tutta una mascherata, che la missione sia organizzata per fallire, che dall’altra parte della radio ci sia una persona che darebbe un braccio pur di vedere Rambo morto e sepolto: a lui è stato detto di fare una cosa, e lui la fa, perché così fanno i bravi soldati.

https://www.youtube.com/watch?v=sD32CjAuwlc

Sangue e sanguisughe

Tutte queste considerazioni teoriche evaporano un po’ quando, dopo circa 35 minuti di film, John Rambo fa la sua prima vittima. È il primo vero omicidio che vediamo compiere al personaggio (l’unica vittima del primo film muore per uno sfortunato incidente), ed è il segnale che, se Rambo era una prova generale, una finta guerra personale senza cadaveri non per caso ma per precisa scelta, Rambo 2 mette il supersoldato in un contesto nel quale uccidere è inevitabile, e addirittura auspicato dallo stesso governo che l’ha mandato in missione. È forse la vera grande debolezza del film, che mette da parte per un attimo tutte le riflessioni sui veterani e il PTSD per gridare a squarciagola un liberatorio “America, fuck yeah!”, ma è anche il motivo per cui Rambo 2 è diventato un classico: se Rambo ci aveva fatto intuire di che cosa fosse capace il suo protagonista, il sequel ce lo illustra con dovizia di particolari e piogge di proiettili.

È violentissimo, cruento, con scene di tortura infinite a base di sanguisughe e coltelli negli occhi, anche spaventoso – ci sono momenti nei quali Stallone sembra il mostro di un horror più che un soldato –, sicuramente esagerato e sopra le righe, a tratti anche a livelli cartooneschi (al povero Steven Berkoff viene riservata una morte spettacolare quanto ridicola); ma è anche un manuale d’istruzioni scritto da Sylvester Stallone su come si riempie la scena a colpi di bicipite e sguardi furiosi e carichi d’odio, che procede a passo rapido verso un massacro finale divertente, quasi gioioso – qualcosa che al primo capitolo mancava, e che segna forse la vera, fondamentale differenza tra le due opere, o meglio tra il primo film della saga e tutti i successivi – ma comunque sempre in linea con il messaggio che Sly voleva trasmettere. Una sintesi quasi perfetta, nella quale l’ago della bilancia cominciava però a pendere verso quello che Rambo sarebbe diventato con i capitoli successivi; un nuovo inizio, o l’inizio della fine, a seconda di come vedete Rambo 3 e John Rambo.

Ma questa è un’altra storia, come diceva Michael Ende, e andrà raccontata un’altra volta.

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