Radio Bart e l'amore dei media per le tragedie
A partire da L'asso nella manica e una vera storia americana I Simpson cristallizzano come i media si cibano di tragedie
Questo articolo è parte della rubrica Tutto quello che so dalla vita l’ho imparato da I Simpson in cui ogni settimana rivediamo, raccontiamo e celebriamo i 50 episodi della serie che riteniamo più significativi.
Radio Bart - Terza stagione, episodio 13
LISA: “L’idea di un bambino intrappolato in un pozzo ha messo in risalto tutta la bontà e l’amore dell’intera collettività. Quando scopriranno che li hai presi in giro ti tagliuzzeranno con lamette arrugginite”.
Per quanto possa essere difficile a credersi c’è stato un periodo, tra gli anni ‘10 e ‘20 del ‘900, in cui l’esplorazione delle caverne era un business. Un business per turisti così florido da dare vita a quelle che furono note come le Kentucky Cave Wars, per la scoperta, il possesso e la gestione di caverne facilmente accessibili. Durante questo periodo Floyd Collins, nel tentativo di scoprire e aprire una nuova caverna, finì intrappolato là dentro. I tentativi di salvataggio furono ampiamente riportata dai giornali, fu la prima grande storia di questo tipo ad essere veicolata dalla nuova tecnologia dell’epoca: la radio. La frenesia intorno all’evento, l’emotività che suscitò e il finale tragico (Floyd morì), fecero epoca così tanto che 25 anni dopo nel 1951 Billy Wilder girava L’asso nella manica, filmone con un Kirk Douglas in forma smagliante, che raccontava di un giornalista che si trova a riportare di un uomo intrappolato in una caverna, speculando e rallentando il salvataggio per prolungare e aumentare il successo dei suoi reportage.
L’asso nella manica è un vero classico e uno dei film più importanti su questo tipo di mediatizzazione degli eventi tragici. Matt Groening lo conosceva benissimo e lo spiegò per filo e per segno a Jon Vitti quando, per la terza stagione di I Simpson, commissionò un episodio con questa trama. Il dettaglio assurdo è che nel 1991 quel film era così difficile da trovare che Vitti non lo vide fino a dopo aver scritto la puntata.
Bart finge di essere un bambino intrappolato e la città si mobilita per salvarlo. La storia l’aveva tutta messa a posto Groening, Vitti ha poi scritto materialmente l’episodio (e tutte le sue mille gag eccezionali) basandosi parzialmente anche sul caso più recente di Jessica McClure, bambina di un anno e mezzo che nel 1987 (3 anni prima della stesura dell’episodio e 4 prima della messa in onda) finì in un pozzo e il cui salvataggio mobilitò l’intero paese per 45 ore. Con successo. Un caso simile sia per eventi, sia per lo psicodramma nazionale mediato dalle televisioni e dai giornali, a quello italiano di Vermicino (che tuttavia era del 1981).
Le storie di persone e ancora di più di bambini finiti nel pozzo erano nell’immaginario comune e soprattutto lo era la maniera in cui i media coprivano il tutto. Nasce così una puntata memorabile, il cui bersaglio sono sia i media sia le celebrità che poi orbitano intorno a simili eventi.
Si parte con il compleanno di Bart, la sua festa e i regali. La festa in sé già è eccezionale, si tiene in una sala giochi/ristorante che si capisce essere un “festificio”, un posto specializzato in feste per bambini con persone dentro costumi da pupazzi e dei robot animatronic che funzionano malissimo. Si chiama Weasel’s ed è una parodia dichiarata della famosa catena americana Chuck E. Cheese. La carrellata con cui vediamo i bambini giocare è precisissima, ognuno è intento in attività da bambino e come sempre nelle prime stagioni dei Simpson non c’è un angolo dell’inquadratura che sia tirata via.
Quando arrivano i regali di Bart sono tutti una delusione. Regali che a lui non possono interessare, regali non appropriati o semplicemente deludenti. Si va da un etichettatore fino ad un cactus e poi al geniale completo di giacca e cappello uguale a quello di Martin per poter andare in giro come dei gemelli. L’epitome del concetto stesso di regalo deludente. Solo Homer ha davvero fiducia nel proprio regalo, perché l’ha visto in una pubblicità e si è fatto subito convincere che fosse eccezionale.
Era una pubblicità andata in onda durante uno stacco di Soul Train, trasmissione realmente esistita composta di ragazzi e ragazze che ballano, davanti alle quali Homer sbava così tanto che vediamo il riflesso di ciò che guarda nella sua bava, un dettaglio folle di messa in scena che, lo ha raccontato lo stesso Brad Bird (responsabile di questo tipo di animazioni) erano frutto del desiderio di pensare un’animazione radicalmente diversa dal solito. In quella pubblicità vede un microfono che si collega alla radio AM, oggetto realmente esistito e commercializzato in uno spot praticamente identico a quello che si vede in I Simpson. Sì chiamava Mr. Microphone e lo fabbricava la Ronco. Non era l’unico modello di microfono collegato alla radio ma fu il più famoso anche per quello spot.
Bart non ne comprende immediatamente le potenzialità, gli preferisce l’etichettatore di Patty e Selma (con cui etichetta tutto con la scritta “proprietà di Bart Simpson” anche l’ultima birra di Homer che la vorrebbe bere ma “è rimasta una sola lattina di birra ed è di Bart!”) e lo usa per bloccare la finestra. In realtà ne capirà presto le potenzialità usandolo per far credere a Homer che siano arrivati i marziani, a Marge che Maggie parla, per sentire le conversazioni della sorella, per fare scherzi alla sig.ra Caprapall e soprattutto per far credere a Rod e Tod che Dio parli con loro e farli camminare attraverso il muro e poi farsi consegnare i loro biscotti. Al termine di questa serie di scherzi, calerà la radiolina nel pozzo e fingerà che un bambino sia intrappolato. Lo scherzo mobilità il paese, i media e la polizia.
Bart inventa un nome finto per il bambino, Timmy O’Toole, e tutti sembrano voler fare qualcosa per tirarlo fuori. Tentativi grotteschi che ingrandiscono il giro intorno alla storia.
Ad un certo punto Homer sentendo Bart ridere dell’impegno e dell’emotività intorno al piccolo Timmy lo riprende dicendogli che “Timmy è un eroe!” e quando Lisa gli chiede in che senso lui risponde: “Beh… è caduto in un pozzo, che è molto di più di quel che tu hai fatto”. Sembra ovviamente un paradosso tipico da Homer, che si lascia trascinare dalla retorica intorno all’evento, ma è realtà. Floyd Collins, l’esploratore di caverne che rimase intrappolato nel 1925 e non fu mai salvato, è stato definito sulla sua tomba “Il più grande esploratore di caverne mai esistito” senza meriti apparenti.
Solo tramite una figura come Homer sarebbe possibile fare satira su questo atteggiamento glorificatore che esiste intorno agli psicodrammi mediati dai mass media. L’elevazione ad eroe di una vittima, solo per il suo essere vittima, è una pratica che vediamo tutt’oggi accadere.
Ancora più satirico è l’annuncio che fa Kent Brockman di un gruppo di celebrity “che solitamente si tengono alla larga dalle cause di moda” che ha registrato una canzone intitolata “Mandiamo il nostro amore giù nel pozzo”. A capitanarli c’è il più spietato, cinico e avido di tutti: Krusty. Il primo ad aderire è Sting. Doppiato effettivamente da Sting.
È difficile dire quanto Sting avesse capito della satira che veniva fatta, o quanto magari fosse d'accordo con essa. Sting infatti non era parte del gruppo di musicisti che avevano promosso e cantato nel singolo i cui proventi andarono in beneficenza “We Are The World”, non era cioè direttamente coinvolto in queste forme di umanitarismo che mettono gli artisti sotto il riflettore. La produzione originariamente aveva contattato un altro cantante che era anche stato parte di “We Are The World”. Solo che si rifiutò di partecipare. Era Bruce Springsteen.
Sting oltre a doppiare il suo personaggio canta anche la canzone che dice: “siccome non possiamo tirarlo fuori allora faremo la seconda cosa migliore che possiamo fare, cantare, cantare, cantare”. C’è anche Telespalla Mel ed è la prima volta che si sente la sua voce.
Intorno al pozzo si crea un vero e proprio circo, con ammissioni a pagamento e anche Grattachecca e Fichetto hanno un episodio in cui cadono nel pozzo, alla fine del quale c’è un cartello “dedicato a Timmy O’Toole” che intenerisce pure Lisa. Ci vorrà che il cane dei Simpson rubi il microfono per far pensare a tutti che Timmy sia regredito ad uno stadio animale di bambino lupo e per far capire a Lisa che è tutto uno scherzo di Bart. È lei infatti a ricordare a Bart che ha lasciato l’etichetta Proprietà di Bart Simpson sulla radio e che quello lo incastrerà.
Così con in sottofondo il tema di Beverly Hills Cop (prima volta che viene usato, cosa che da qui diventerà un classico) Bart si reca nel pozzo per riprendere la radio ma finisce intrappolato per davvero, chiedendosi: “Cosa ho fatto per meritare questo?”.
La città ce l’ha con la famiglia, non vuole pagare per il macchinario che lo tirerà fuori, il sindaco Quimby cambia orientamento decidendo di lasciarlo lì, il singolo “Mandiamo il nostro amore giù nel pozzo” crolla al 97esimo posto della classifica, la stampa preferisce altre storie più interessanti come uno scoiattolo che somiglia a Abramo Lincoln e Kent Brockman sentenzia: “È giunto il momento di puntare il dito e tutti sono d'accordo contro i genitori del ragazzo”.
Questo è il vero finale della puntata, cioè il fatto che l’opinione pubblica si mette dalla parte delle tragedie solo quando le vittime gli sono simpatiche, nel momento in cui la vittima è qualcuno di antipatico questo non fa più notizia e se non fa più notizia nessuno si interessa (addirittura Kent Brockman proclama un’edizione straordinaria del notiziario ma per riportare il fatto che è stato assassinato lo scoiattolo che somiglia a Abramo Lincoln). Il punto di tutto è come ognuno tragga un po’ di vantaggio da una disgrazia che smuove l’emotività del pubblico.
Ovviamente la puntata avrà un altro finale, una coda positiva in cui vedendo l’impegno dei genitori nel cercare di tirare fuori Bart tutti si metteranno a scavare, anche Sting perché “un mio fan ha bisogno di me” (nonostante Marge non ricordi che Bart abbia mai comprato un suo disco).
Dopo la messa in onda questa puntata è diventata una delle più famose in assoluto proprio per il modo in cui riesce a raccontare molto bene una dinamica dei media che è sotto gli occhi di tutti e continuamente, come ogni mezzo e ogni trasmissione si abbeveri di grandi fatti di cronaca tragici, amplificandone l’emotività per il proprio tornaconto.
Tale è l’eco e la fama della puntata che è tornata d’attualità 25 anni dopo, nel caso di Frida Sofia. Era una bambina 12 anni rimasta intrappolata nei resti di una scuola crollata in seguito ad un terremoto nella zona Puebla del Messico nel 2017. I media accorsero a raccontare i salvataggi, specialmente lo spietato network televisivo chiamato Televisa. Dopo due giorni, contando e facendo l’appello dei bambini della scuola sopravvissuti, si scoprì che Frida Sofia non esisteva, era tutto frutto di equivoci, di una cattiva comunicazione e alcune incomprensioni. Tuttavia televisioni e giornali in quei giorni avevano sostenuto di aver sentito la voce e visto le piccole dita della bambina sotto le macerie. La storia fu paragonata direttamente a Radio Bart e Azteca, il network televisivo rivale di Televisa, programmò una replica della puntata dei Simpson tirando esplicitamente un paragone.