Questa è la via: cosa insegna il finale di The Mandalorian 2 alla Disney (e a noi)

Ora che The Mandalorian ha chiuso (e bene) il suo arco narrativo ci sono diverse lezioni da trarre per noi e per la Disney

Critico e giornalista cinematografico


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Spoiler Alert
Con il finale della seconda stagione di The Mandalorian sicuramente è finito qualcosa. Di certo è finita la trama che lega Din Djarin (il mandaloriano del titolo) a Grogu (Baby Yoda), e a giudicare dalla scena dopo i titoli di coda è finita la centralità di questo particolare mandaloriano, ci sarà uno sviluppo su Boba Fett e forse qualcos'altro su di lui (non è ben chiaro al momento). Soprattutto è probabile che dopo la chiusura di quest’arco e più di due anni di lavoro sia finito il coinvolgimento di Jon Favreau come lo abbiamo conosciuto fino ad ora. The Mandalorian cambierà ma del resto è cambiato già tra la prima e la seconda stagione, dopo il successo a sorpresa la Lucasfilm ha riportato all’ovile questa pecorella impazzita, facendo rientrare la sua storia nel più grande universo a furia di contaminazioni, presenze Jedi e una comparsata finale clamorosa. Da che invece erano quasi inesistenti nella prima stagione.

Se c’è una lezione da imparare da questa serie che ha rimesso la chiesa al centro del villaggio nel mondo di Guerre stellari è che inseguire affannosamente il pubblico grandissimo non fa bene a quello che è un universo molto specifico dotato di molte più regole di quelle che la Disney sia disposta ad accettare, e beneficia di storia piccole. La nuova trilogia (l’ultima) aveva un ottimo primo film che tuttavia non è stato accettato come si sperava e negli altri ha cercato di aggiustare e mettere pezze fino a distruggere tutto quel che di buono esisteva. Il desiderio di essere apprezzati da target diversi ha massacrato quei film. The Mandalorian invece sa qual è il proprio pubblico e vuol prendere bene solo quello. Che poi è la ricetta di qualsiasi buon film o serie.

the mandalorian save

A noi, o almeno a chi l’ha apprezzata, questa serie dovrebbe insegnare (se ce ne fosse bisogno) che il mondo di Guerre stellari non è così importante come crediamo. Questa serie non ha niente di Guerre stellari e al tempo stesso tutto. Sì è un western, come era parte della trilogia originale, ma è anche una serie che potrebbe essere epurata senza problemi di tutti i riferimenti alla saga e non cambierebbe nulla, è una storia molto convenzionale e molto molto ben eseguita alla quale è stato applicato un trucco per farla rientrare in quell’universo. E ci va bene chiamarla Guerre stellari solo perché è buona, se non lo fosse stato sarebbe stato semplicissimo derubricarla.
Al contrario la nuova trilogia con il suo trionfo di legami e lacci alla saga, con i personaggi originali e gli attori originali, con svolte importanti, morti e il prosieguo della lotta per la conquista della galassia, ci sembra bene poco Guerre stellari.

La verità è che chiamiamo “Guerre stellari” le storie ambientate in quell’universo narrativo che riescono bene e ci appassionano, non ciò che è davvero legato e fedele allo spirito della trilogia originale. Inutile stare a cavillare sui midichlorian della seconda trilogia, su Jar Jar Binks, Kylo Ren e Snoke. Il loro problema non è mai di non essere in linea con la saga ma semmai di non piacere. È 100 volte meno Guerre stellari il pianeta dei pescatori visto in questa seconda stagione o l’assalto al convoglio della penultima puntata. Ma visto che sono straordinari non ci importa.

Forse è ora di smettere di ragionare in termini di fedeltà allo spirito e più in termini di cosa ci piace e cosa no, cosa vogliamo vedere e cosa no.

The mandalorian artLa Lucasfilm invece dovrebbe aver imparato che una saga d’azione deve avere l’azione fatta bene e che non servono assolutamente delle proporzioni epiche per appassionare. Non serve cioè che si combatta per tutto il destino della galassia, basta combattere per un piccolo obiettivo personale, contro nemici non potentissimi ma solo ben armati. Non serve che ci siano allucinanti rivelazioni su legami familiari ma basta un nemico che si dimostri un buon amico perché mette la propria etica prima delle differenze di barricata.

La grande rincorsa ad una storia così immensa da non poter lasciare indifferenti ha lasciato tutti abbastanza indifferenti. Invece la piccola trama di un mandaloriano che scopre per la prima volta un affetto e non è disposto a sacrificarlo per soldi come ha fatto per tutte le cose della sua vita, è occasione per un’idea a suo modo eccezionale: prendere una storia convenzionale e andare a fondo con ogni singolo snodo.

the mandalorian assault

Quel che hanno fatto Filoni e Favreau con The Mandalorian è stato raccontare una storia tipica da film allargandola in una serie, dilungandosi su fasi solitamente spiegate in breve. Andare a recuperare la posizione dove trovare il personaggio da salvare di solito prende pochi minuti, invece qui è pretesto per un episodio intero in cui fare azione, come lo è una sosta per riparare l’astronave in cui si incontrano personaggi che poi diventeranno alleati (solitamente dura 10 minuti, qui 40 con due scene d’azione immense). Anche il rischio di una sosta in una caverna piena di ragni mostruosi diventa una puntata epica. Perché il protagonista è l’azione e da lì discende tutto il resto.

Ah! e poi un'altra cosa: la colonna sonora. Finalmente una colonna sonora bella, con un tema forte, con un legame al sound storico ma anche una personalità invidiabile, usata nei momenti che servono e capace di condurre e fidelizzare.

Questa è la via.

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