Quentin Tarantino a Roma: "I miei personaggi recitano sempre per salvarsi la vita. Ma non so perchè"

Accompagnato da Michael Madsen, Kurt Russell e da Ennio Morricone, Quentin Tarantino ha Roma ha presentato The Hateful Eight e risposto ad alcune domande

Critico e giornalista cinematografico


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Quentin Tarantino è arrivato a Roma per la conferenza stampa di The Hateful Eight, assieme a Michael Madsen e Kurt Russell. Inoltre vista la location l’ha raggiunto anche Ennio Morricone.

Seduti sul tavolone della conferenza sembrano tutti molto a loro agio. Il regista gestisce i due attori con un misto di rigore amicizia, se ogni tanto scambia qualche battuta con Kurt Russell, scoppiando d’improvviso a ridere, dall’altra parte regola le intemperanze di Michael Madsen, gli precisa il vero scopo di alcune domande o gliele ripete se non le ha sentite bene. Infine si premura di versare dell’acqua ad Ennio Morricone seduto accanto a lui. È perfettamente in controllo della situazione, sa cosa rispondere e non teme niente. L’impressione è decisamente quella di un uomo sicuro di sè, le risposte anche alle domande provocatorie non faranno che confermare l’impressione. Come ogni volta del resto.

La conferenza inizia e riusciamo a fare la prima domanda direttamente al regista:

È arrivato all’ottavo film e guardandoci indietro possiamo vedere come nelle sue opere ci sia sempre qualcuno che finge, qualcuno che recita, che dissimula la propria identità. Sono film in cui i personaggi recitano o parlano di recitare. In quest’ultimo poi è ancora più vero.
C’è qualcosa in questo meccanismo che le piace particolarmente?

QT: È molto vero, continua ad accadere film dopo film. O c’è qualcuno sotto copertura o finge di essere quel che non è, escono sempre personaggi la cui sopravvivenza dipende da quanto riusciranno a mistificare la propria identità. Ma non so perché. Forse solo in Pulp Fiction non era proprio vero, c’era giusto il personaggio di Bruce Willis...

Beh Vincent Vega e Jules prima di entrare a recuperare la valigetta si dicono a vicenda “Entriamo nei personaggi”...

QT: Giusto, non so perché ma mi piace come espediente drammaturgico, credo che alla fine i miei personaggi siano dei bravi attori che amo mettere alla prova. La cosa più interessante è che però non sempre i personaggi che recitano bene sopravvivono. Shosanna che è bravissima a recitare non ce la fa, mentre Aldo Raine che invece non riesce a recitare, sa essere solo ciò che è, sopravvive.

Secondo lei la battaglia tra digitale e pellicola è come quella tra indiani e cowboy?

QT: È un paragone che mi va bene, mi auguro solo che la pellicola non faccia la fine degli indiani anche se devo dire che hanno combattuto fino all'ultimo e ne hanno fatte vede di tutti i colori.

Il suo film ha diverse cose in comune con La cosa di John Carpenter, non ultima la musica di Morricone e la presenza di Kurt Russell, è un’opera che ha tenuto a mente in fase di scrittura?

QT: È vero, sia The Hateful Eight sia La cosa sono storie che contengono la paranoia e un gruppo di personaggi intrappolati in una stanza che non possono andarsene e nessuno può fidarsi degli altri. E poi c'è la neve. Inoltre c'è un altro punto di contatto. Con questo film volevo fare una versione western di Le Iene che a sua volta era molto influenzato da La cosa, dunque non mi stupisce che nel fare una versione western Le iene sia finito a suggerire atmosfere da La cosa, penso che i tre film abbiano un legame simbiotico.

Morricone: Va notato che la musica originale scritta da me è una musica drammatica di certo ma mai sentita in altri film, c'è qualcosa che forse sfugge ad un primo ascolto. La caratterizzazione di certi brani sta tutta sulla timbrica di determinati strumenti, due fagotti iniziano il brano poi la tuba e poi le trombe e poi le voci che fanno certe cose che sono caratteristiche mie, ma non l'avevo mai composta cosi in altri film. Riascoltate i due fagotti, bisogna capire la drammaticità che diventa ironia com’è carattere dei film di Quentin.

Kurt: Io sono felice di essere stato in due film musicati da Morricone, due diretti da Tarantino e 5 di Carpenter. Sono un ragazzo fortunato.

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Cosa ne pensa del boicottaggio degli Oscar?

QT: Mi sarebbe piaciuto che Samuel L. Jackson avesse ricevuto una candidatura, magari non posso dirlo in certi termini ma è quel che penso. Quanto al boicottaggio io non sono stato candidato a nulla ma fossi stato candidato sarei andato di sicuro.

Kurt: Anch'io

I suoi film partono sempre da un genere ma poi finiscono altrove, come li progetta?

QT: È vero, mi faccio attirare da un genere ma so che purtroppo potrò fare solo un certo numero di film nella mia vita e ogni volta cerco di farne entrare 5 in uno solo. Devo ammettere che come amante di film ho sempre adorato quelli che affrontano più di un genere, credo che se ci riesci puoi dare al pubblico un grande intrattenimento e più storie per lo stesso prezzo. Mi riconosco anche un certo talento nel riuscire a fare da giocoliere con i toni dei film.
Riguardo la metodologia di scrittura devo dire che la verità è che dipende dal film, alle volte pianifico tutto, altre mi faccio trasportare e altre ancora mi rendo conto di cosa è successo quando vedo il film finito. Quando ho scritto questo film sapevo di stare scrivendo un western e sapevo che al tempo stesso era una specie di opera di Agatha Christie. Fino a che non l'ho editato però non mi sono accorto che era anche un horror, per via dell'effetto cumulativo del film. Non potrei esserne più felice, penso sia fantastico.

Il prigioniero è sempre stato una donna fin dall’inizio? Come mai tratta così male l’unica donna del film?

QT: Sì il prigioniero dall'inizio era una donna fin dall’inizio ma non è una motivazione di sceneggiatura, poteva essere un uomo e chiamarsi Big Bill Shelley e pesare 150 chili, se pensi a com’è il film, sbarazzandosi di Daisy e mettendoci un gigante maschio non cambia niente nella storia, ogni aspetto rimane lo stesso perchè lei non è un oggetto sessuale come non lo sarebbe stato un uomo. Ma quando mi chiedi perchè l'unica donna viene così malmenata è una questione di sceneggiatura, è la metodologia del boia. Se tu facessi il suo lavoro da così tanti anni picchieresti i tuoi prigionieri per tutto il loro percorso, perchè non vuoi che scappino, si ribellino o ti colpiscano e sai che lo farebbero e di certo. Tutto questo non cambia per una donna.
Voglio aggiungere anche un'ultima cosa: potevo farne un uomo di quel personaggio ma mi piaceva che fossa una donna perchè mi piaceva come complichi tutto: la storia, le emozioni e il modo in cui tu guardi il film.

Spesso ha affrontato temi storici riflettendo sui valori che rispecchiavano, è stato così anche per The Hateful Eight?

QT: Credo che i miei ultimi due film Django e Bastardi senza gloria siano più dei film sui valori della storia rispetto a questo. La verità è che questo film è diventato politico, non ho iniziato a scrivere "Una diligenza si fa strada in un paesaggio innevato" pensando a temi politici, però poi in seguito ho cominciato a riflettere su come la storia rispecchiasse la divisione tra stati rossi e blu [repubblicani e democratici ndr] che è vera in America anche oggi. Poi abbiamo iniziato a girarlo il film e sentivamo le notizie che uscivano, tornavamo a casa le guardavamo al notiziario e poi tornavamo sul set e ne parlavamo. Così la storia che raccontavamo ci sembrava sempre più rilevante di giorno in giorno. Alle volte sei fortunato, scrivi e ti colleghi a qualcosa che è nello zeitgeist.

Michael Madsen: Penso che il film risolva più problemi di quelli che crea. Puoi vedere il film di Quentin e guardarlo come fosse Rio bravo, puro intrattenimento, oppure pensare che affronta problemi politici, sta tutto nell'occhio di chi guarda.

KR: Credo che i film di Tarantino creino una tela di ragno e sono contento di aver fatto un film con queste idee dietro. Una volta c'era l'idea che pure se eri insignificante avresti avuto la tua opportunità di aver giustizia in tribunale.
John Ruth, il mio personaggio, onora una pietra fondante della legge americana, cioè che ognuno ha il suo giorno in tribunale e mi piace come alla fine del film, dopo che scopre che la storia della lettera di Lincoln è falsa, non dice ad un nero quello che un personaggio come lui avrebbe potuto dirgli, e mi piace che proprio per quello in seguito la tela sia completata da un uomo di colore che onora la maniera di John di intendere la legge. Un nero che esce dalla schiavitù onora il il sistema del boia, impiccando la donna.

MM: Quando lessi la prima volta al sceneggiatura pensai che era fantastico che Lincoln scrivesse a quell'uomo volevo crederci davvero. Penso sia stato davvero coraggioso Quentin poi a cambiare e inventarsi che era una lettera finta e Sam è stato pure coraggioso ad accettarlo, anche perchè fosse stata vera la lettera questo avrebbe fatto del suo personaggio un eroe, ma nessuno è un eroe nel film. Ho visto la recitazione di Kurt in quella scena, poteva dire di tutto invece dice solo: "Sei un bugiardo", ho visto la sua testa e penso che abbia centrato il punto, per me è stata la parte più forte del film.
La famiglia in cui sono cresciuto era davvero razzista, mio padre ormai è morto e non amava la mia carriera da attore, molti film che ho fatto non gli interessavano, ma The Hateful Eight lo voleva vedere e sono contento di dirgli che suo figlio ha fatto qualcosa di buono. L’avesse visto forse avrebbe potuto imparare qualcosa.
[Finita la risposta Tarantino gli dà un’amichevole pacca sulla spalla ndr]

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A questo punto prende la parola Enrico Ghezzi.

Per chi non lo conoscesse Enrico Ghezzi è un critico molto noto e molto importante, uno dei più determinanti nella storia recente della critica italiana. Ha scritto libri e pubblicato su diverse testate ma più che altro ha lavorato su Rai Tre. È stato co-creatore di Blob (la trasmissione televisiva) e di FuoriOrario, la rassegna di film notturna che va avanti da più di vent’anni 4 notti a settimana e che ancora conduce in prima persona. Proprio in questa trasmissione è diventato famoso per le sue introduzioni ai film lunghe e intricate, complesse e spiazzanti. Il suo modo di esporre non è mai facile da seguire ma con esso è capace di dire quel che nessun altro dice.

Per questo quando ha preso la parola ed ha iniziato un discorso molto complesso sullo sprecare film, sprecare pellicola e storia (ma inteso in senso positivo, come uno spreco “meraviglioso”) e sul rapporto della luce e dell’ombra nelle scene, nessuno si è stupito ma molti sì sono spaventati di quanto questa “domanda” sarebbe potuta durare. Dopo qualche minuto Ghezzi è stato richiamato all’ordine ed ha concluso con un interrogativo molto secco citando un film poco noto, Uomini selvaggi di Blake Edwards, che gli ricordava The Hateful Eight, chiedendo se Tarantino lo avesse in mente. Tarantino, ovviamente conosceva anche questo film:

QT: Non amo molto Uomini Selvaggi perché è troppo snob, però amo la scena del poker, sembra uscita da un mio film, perché una partita diventa un conflitto mortale, con gli uomini che rilanciano sempre di più fino all’esplosione. Se non sbaglio anche Blake Edwards aveva detto che quella era la scena più bella che avesse mai girato. Concordo con la tua ipotesi sulla storia che abbiamo fatto: è vero che è divisa in due parti, un prima e un dopo con l'intermezzo che coincide con il passaggio da giorno e notte. La tempesta che infuria fuori è come il mostro di un film di mostri, sta lì sopra la baracca aspettando di divorare chi tenta di scappare. Più fa buio, più fa freddo, più il mostro è forte e tu vedi il respiro dei personaggi mentre parlano, quel respiro che di giorno non si vede mentre di notte ogni parola fa uscire il vapore del respiro. Una cosa bella resa possibile consentita dal grande fotogramma a 70mm è il fatto che ci sono sempre due piani, il primo piano e lo sfondo, chi sta parlando e chi sta dietro, sia Daisy o Joe Gage. Lo spettatore riesce quasi sempre a vedere dove sono tutti nel palco e questo spero dia una forza maggiore alla suspense.

Infine c’è stato uno scambio di battute tra i figli di Sergio Leone che con la Leone Film Group hanno portato The Hateful Eight in Italia e Tarantino. Raffaella Leone ha iniziato ringraziandolo e dicendosi

certa del successo di questo film, perché io sono una fan. Probabilmente mi viene da lontano e forse mi viene dalla similitudine con i film di mio padre da quel medesimo rispetto per il pubblico che aveva mio padre, dalla competenza che ha in comune con lui. Quelli di Quentin non sono mai film superficiali ma grande cinema, un genio come ne nascono pochi, ci sono tanti grandi registi lui e una cosa diversa.
So che spesso Tarantino sul set chiede “una leone” [è un’espressione con la quale il regista intende dire un’inquadratura molto ravvicinata dei soli occhi di un personaggio, tipica dei primi film di Sergio Leone ndr], beh sono certa che mio padre fosse vivo chiederebbe “una Tarantino”.

QT: Dirò una cosa di più, nel film c’è un’inquadratura in cui Kurt e Jennifer vanno verso Michael Madsen e hanno la macchina da presa a filo di piombo, in verticale sopra la testa come fossero guardati dall’alto. Sul set lo chiamavamo “il punto di vista di Sergio”.

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