Quella casa nel bosco merita una serie TV
Quella casa nel bosco è l’horror definitivo, ma è anche un flm con una ricca mitologia che ci piacerebbe vedere approfondita
Quando anche questo secolo sarà finito e si stileranno le classifiche dei film più belli degli ultimi cento anni, nella sottocategoria horror farà quasi certamente capolino anche Quella casa nel bosco di Drew Goddard (e Joss Whedon, come vedremo). Uscito nel 2012 dopo una lunga e travagliata gestazione, venne salutato da più parti come il meta-horror definitivo nonché il film dopo il quale non avremmo più guardato al genere con gli stessi occhi; le cose non sono andate esattamente così – ma questo Goddard e Whedon lo sapevano fin da subito –, il che non toglie nulla al valore di Quella casa nel bosco, che riesce contemporaneamente a essere una commedia molto divertente, un teen slasher con i fiocchi, un’opera di decostruzione del genere fatta da due persone che lo amano, e anche una finestra aperta su un mondo affascinante, del quale nel film scopriamo pochissimo e che (fatecelo dire per una volta) meriterebbe di venire approfondito a parte, magari in una serie TV dedicata.
Quella casa nel bosco e la strana coppia
Andrew Goddard detto Drew è uno dei migliori sceneggiatori sulla piazza, ed è uno che deve la sua carriera al suo ex capo e ora amico Joss Whedon. Il suo primo lavoro, infatti, è per la TV: nel 2002 scrive cinque episodi della settima stagione di Buffy l’ammazzavampiri, tra cui l’acclamatissimo Conversations with Dead People, e l’anno dopo entra a far parte della squadra dello spin-off Angel. Da lì è tutta in discesa: Goddard lavora con JJ Abrams ad Alias (della quale scriverà il finale di serie) e Lost, si butta anche nel cinema scrivendo la sceneggiatura di Cloverfield, e nel 2012 arriva anche il debutto alla regia, proprio con Quella casa nel bosco. Per il quale Goddard torna a fare squadra con Whedon, che in questa vecchia intervista racconta che “il film è una lettera d’amore piena d’odio” verso un genere che i due amano molto: l’horror, ovviamente, che con il tempo, sempre secondo Whedon, si è “de-evoluto da horror a torture porn, una lunga serie di momenti di sadismo”.
Quella casa nel bosco è due film in uno
Forse facciamo prima a spiegarvi di cosa parla Quella casa nel bosco; tenete conto che tutto quello che scriveremo ora viene rivelato entro i primi dieci minuti di film (oltre che anticipato addirittura nel trailer), ma che in un certo senso potrebbe essere considerato uno spoiler. Per cui, se proprio non volete sapere nulla (e Quella casa nel bosco punta molto sull’effetto sorpresa), fermatevi qui, godetevi il film e poi tornate. Fatta questa avvertenza, possiamo cominciare. Ci sono due storie che corrono parallele dentro Quella casa nel bosco. La prima è uno slasher che più classico non si può: un gruppo di adolescenti belli e simpatici decide di passare un weekend nella capanna nei boschi di uno del gruppo (o meglio di suo cugino), e quando arrivano in loco scoprono che la casa nasconde orrendi segreti e altrettanto orrendi mostri che li vogliono fare a pezzi; i cinque dovranno quindi fare di tutto per sopravvivere e riuscire a fuggire dal bosco e dal loro tragico destino.
La seconda storia è quella di un’agenzia (governativa? Di iniziativa privata?) che, per farla molto breve, gestisce l’esperienza di terrore dei cinque protagonisti, ovviamente a loro insaputa. Il compito dell’intera organizzazione è quello di attirare vittime innocenti in elaborate trappole di morte, e assisterli passo dopo passo mentre procedono verso la loro distruzione (il loro scopo, invece, viene svelato solo nel finale); questo significa che i membri dell’organizzazione – qui rappresentati da Richard Jenkins, Bradley Whitford e dalla fedelissima whedoniana Amy Acker – osservano ogni azione dei cinque dal momento in cui entrano nel bosco grazie a un complesso sistema di telecamere di sorveglianza, e hanno anche a disposizione una serie di trucchetti ultratecnologici che aiutano a instradare le loro vittime sulla strada giusta (cioè quella sbagliata). C’è di tutto, da frane controllate che impediscono ai cinque di scappare a emettitori di feromoni che fanno venire voglia di sesso e convincono dunque una delle coppie ad appartarsi e consumare con tutte le classiche conseguenze da film horror del caso: la seconda storia contenuta dentro Quella casa nel bosco esiste per giustificare i comportamenti idioti più frequenti nei film horror, e attribuirne la responsabilità non alla stupidità dei personaggi, ma a una regia occulta che manovra la realtà per farla assomigliare il più possibile a un clone di Venerdì 13.
Quella serie TV nel bosco
L’idea che le assurdità tipiche degli slasher (tra cui la classicissima “separiamoci!”) non siano colpa di chi le mette in atto ma di un’associazione segreta che esiste all’unico scopo di trasformare la vita di cinque persone in un film dell’orrore permette a Goddard e Whedon di giocare con tutti i cliché e gli archetipi del genere. Per cui il vecchio profeta di sventura che compare a inizio film per mettere in guardia, non ascoltato, i cinque protagonisti diventa, quando i ragazzi spariscono dalla sua vista, solo un altro impiegato che viene preso in giro per telefono dai suoi superiori; la cantina della casa nel bosco è letteralmente strapiena di ninnoli horror di ogni genere, ciascuno collegato a un mostro equivalente: in questo caso i nostri eroi raccolgono il diario di una ragazza morta secoli prima che provoca l’arrivo di un gruppo di zombie assetati di sangue, ma se avessero raccolto l’inquietante conchiglia avrebbero dovuto affrontare il tritone... e così via. Persino l’antiquata e sessista figura della “bionda scema” viene ribaltata: Jules (Anna Hutchison), così si chiama la BS di turno, è in realtà una castana che aveva voglia di cambiare colore, ma l’agenzia ha segretamente sostituito la sua tinta bionda con una sostanza simile ma che abbassa il quoziente intellettivo di chi la usa, alzandone contestualmente la libido.
Il film parallelo sull’agenzia crea-orrori non si limita però a seguire Ricchard Jenkins e Bradley Whitford che a loro volta seguono le disavventure dei cinque ragazzi; l’agenzia non esiste solo in funzione di quei cinque, ovviamente, ma ha una lunga storia alle spalle e svariate sedi in giro per il mondo – nel corso del film vediamo uno stralcio di come agisce quella giapponese (fantasma con i capelli lunghi in una scuola elementare) e sentiamo parlare anche di Buenos Aires, Stoccolma, Madrid... ogni sede ha i suoi metodi e i suoi mostri, ed è in silenziosa ma costante competizione con le altre per decidere qual è la migliore. Le scene ambientate negli uffici dell’organizzazione americana sono, paradossalmente, quelle in cui Goddard e Whedon più si lasciano andare, perché non devono seguire alcun canovaccio: i dialoghi sono ai confini con la classica commedia “da posto di lavoro”, e gli uffici dell’agenzia sono popolati da una serie di personaggi più o meno assurdi o comunque intriganti che incrociamo solo per qualche secondo e sui quali sarebbe bello poter scoprire qualcosa di più.
Quello che stiamo dicendo è che, se la parte slasher di Quella casa nel bosco è un ottimo esempio di come fare il genere senza troppi fronzoli e omaggiando i classici, quella, chiamiamola così, gestionale ha potenzialità narrative enormi, personaggi indimenticabili e una mitologia ricchissima e che potrebbe venire approfondita e sviscerata sotto forma di comedy procedurale con vaghissime tinte horror. Non succederà mai, ovviamente, anche perché Quella casa nel bosco non è stato quello che si definisce un successone al botteghino e ci sono ottimi motivi per pensare che non avrà mai un sequel vero e proprio; per cui immaginare che qualcuno voglia tirare fuori dei soldi per adattarlo per la TV concentrandosi solo sulla parte meta- della storia è chiaramente assurda.
Sognare, però, non costa nulla.