Quella casa nel bosco non è un film, è una recensione sull’horror contemporaneo

In Quella casa nel bosco c'è un trattato critico sullo stato del genero horror agli inizi degli anni '10. Ecco di cosa ci avvertiva

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Dieci anni fa arrivava in sala Quella casa nel bosco. Era accompagnato da una locandina splendida e da tutti gli stereotipi e i pregiudizi possibili. Si pensava di avere già visto un film così molte altre volte, salvo poi scoprire gradualmente, accompagnati dalla sapiente mano di Joss Whedon e Drew Goddard, che non era nulla di quello che era stato promesso. E meno male!

Quella casa nel bosco, la cui sceneggiatura è stata scritta in tre giorni sotto forte ispirazione e libertà creativa, è una “amorevole lettera di odio” verso i film horror. Sbaglia quindi chi lo definisce un omaggio al cinema di serie B. Non coglie appieno il suo vero scopo nemmeno chi lo considera una storia metacinematografica o una semplice commedia a tinte paurose, un po’ alla Sam Raimi (da cui riprende la maggior parte delle situazioni). È tutto questo, certo, ma non solo.

La chiave per capire cosa sia veramente questa operazione sta nelle parole di Whedon stesso: 

È una seria critica di cosa amiamo e cosa no dei film horror. Amo essere spaventato. Amo quel misto di brivido, di orrore, quell’oggettificazione/identificazione che ti porta a volere che le persone si salvino ma, allo stesso tempo, sperare che vadano in un posto oscuro a incontrare qualcosa di terribile.

Così, invece che essere un semplice film, Quella casa nel bosco è un saggio scritto per immagini, e uno dei più importanti di quegli anni, dedicato allo stato dell’horror attuale. Un’operazione di analisi che procede con tale foga da trasformarsi, sul finale, in un manifesto poetico in favore dei finali amari e dell’apocalisse lovecraftiana.

Di cosa parla Quella casa nel bosco?

Per capire nello specifico le sue argomentazioni occorre conoscere almeno la trama in generale. Ovviamente con spoiler. La storia del film è infatti divisa in due: per la prima metà è uno strumento su cui costruire situazioni horror.

Un gruppo di amici va in una casa semi abbandonata nel bosco per trascorrere una vacanza a base di sesso, droghe, e divertimento. Per sbaglio risvegliano antichi spiriti dormienti, leggendo ad alta voce un’antica maledizione. I corpi morti sepolti in quel luogo risorgono per uccidere ad uno ad uno chi ha disturbato il loro sonno.

In realtà tutto è orchestrato dall’alto. Quello in cui sono non è un incubo, ma è il luogo da cui nascono gli incubi. C’è un’organizzazione segreta che si occupa di compiere sacrifici rituali in onore di antichi Dei. Questi popolavano la terra e oggi vivono nelle profondità del pianeta: se continueranno ogni anno a ricevere la loro parte di sangue e carne staranno nascosti lasciando vivere l’umanità. Infrangere questo patto comporta la fine del mondo.

Quella casa nel bosco poster

Opporsi alla propria sorte, quindi avere il desiderio di sopravvivere e l’intelligenza di “non dividersi” di fronte al pericolo è così un atto contro intuitivo. Non ha senso, secondo gli autori del massacro, che i sacrificabili siano in grado di sopravvivere mettendo a rischio l'intero pianeta.

La prospettiva di Whedon e Goddard è chiaramente quella degli sceneggiatori, cioè dell’organizzazione segreta che ha bisogno di sangue e che supplica la bella di turno perché “faccia vedere le tette”. Un dettaglio non necessario, forse, ma il rito ha delle ragioni e delle usanze che sono oscure alla comprensione umana. Leggasi: “non ha un vero perché, ma lo intuiamo: la gente paga per questo, ancora di più che per vedere una buona storia o dei mostri originali”.

Insomma: gli Dei siamo noi che permettiamo al film di esistere, i due tecnici Gary e Steve sono regista e sceneggiatore, i personaggi sono oggetti del piacere.

Quella casa nel bosco invita al ritorno della morte

Come dei critici cinematografici, o degli accademici, i due gridano la loro posizione critica. Prima ci fanno un riassunto di tutto quello che è stato fino ad ora. A livello di storico partono dalla fine degli anni ’70 per affrontare soprattutto gli ’80. Lì c’è stata la Golden Age degli slasher in cui quella carne da macello chiamata anche personaggio era spesso funzionale solo all’esibizione di creativi omicidi.

In una esilarante scena di questo film, un gruppo di piccole scolari giapponesi riesce a riappacificare l’anima perduta di un fantasma e a farla entrare nel corpo di una rana. Un finale felice che irrita i lavoratori dell’impianto segreto. Il rituale è fallito. Sta diventando sempre più difficile trovare le giovani vergini e uccidere. Ormai nulla fa più paura per più di qualche secondo. I giovani sono istruiti, palestrati, coraggiosi, e non svengono nemmeno più.

Perché tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio la paura è stata sublimata, soprattutto in campo orientale, dal sentimentalismo. Film come Dark Water o The Ring di grande impatto anche negli States, hanno trovato soluzioni molto emotive sul finale. Ragioni quasi commoventi alle maledizioni. Addirittura nei casi più estremi, riguardando il film, si può quasi empatizzare con il povero spirito tormentato. 

Quella casa nel bosco chiede invece il ritorno della morte e del finale amaro. Quando Whedon e Goddard fanno questa riflessione l’America aveva poco da essere felice. Era nel mezzo dell'epoca di divisione e di perdita di fiducia come grande potenza che l'ha portata a ripensarsi radicalmente. Per loro prospettare finali positivi non era più una scelta coerente con il clima culturale disilluso e pessimista che si stava vivendo.

Personaggi completi, con un pizzico di ironia. 

Quella casa nel bosco ha avuto il merito di avere segnalato per primo l’autoironia e il potenziale comico di Chris Hemsworth. Il tipico eroe belloccio e muscoloso, con la fidanzata affascinante e bionda che però, in questo caso, dice le cose più giuste e, contrariamente allo stereotipo del genere, qui sarebbe in grado di sopravvivere.

Se solo però fossimo veramente in un film horror e non in una cospirazione contro di loro! Così mentre ce la sta facendo a scappare si scontra contro un fantascientifico muro invisibile.

Persino la ragazza frivola possiede in realtà un’intelligenza nella norma e dei desideri che vanno oltre il semplice fare sesso tutta notte. Solo che la tintura dei capelli l’ha resa così, in preda agli ormoni e incurante del pericolo. La nerd senza fidanzato (e senza alcun interesse amoroso) non è vergine. Il fattone che in qualsiasi altro film avrebbe scritto “morte” sulla fronte è in realtà quello che ha capito di più. Non solo sopravvive fino alla fine, ma lo fa proprio per il suo essere già allucinato in una situazione surreale.

I cinque personaggi standard non nascono come maschere. C’è un intero team di persone che cerca di ricondurli su quei binari ben conosciuti e che piacciono così tanto al pubblico che vuole assistere al loro sacrificio. La regia mostra però tutta la fatica che si fa a volare così basso. Come se nel cinema contemporaneo non ci fosse più spazio per questi caratteri così distanti dalla realtà. La complessità non è più evitabile. 

Quella casa nel bosco

Che tipo di mostri vogliamo?

Vedendo tutto quello che è successo dopo, l’atto critico di Quella casa nel bosco è stato quasi profetico. La nuova ondata di horror d’autore ha puntato tantissimo sulla profondità dei temi trattati. Jordan Peeleaffronta il razzismo, Ari Aster sperimenta con la messa in scena, Robert Eggers racconta la storia e i classici rompendo i confini tra brutalità mistica della natura e superstizione. 

I film horror raccontati e costruiti all’interno di quei bunker oggi si fanno sempre di meno. Non funzionano più, e Goddard ce l’aveva già detto nel 2012. 

Resta intatta però la passione per i mostri. Whedon scrive il personaggio di Steve Hadley (con cui si identifica) appassionato del mostro Tritone. Anni dopo uno molto simile, ma meno mostruoso, vincerà l’Oscar ne La forma dell’acqua. Coincidenze a parte, quello che emerge dalla seconda parte delle argomentazioni è l’invito alla varietà. Ci sono tanti mostri nel cinema, perché usare sempre i soliti?

L’industria (del cinema e dei mostri) è bianca, asettica, in cerca di successi facili. Si annoia però, salva il mondo senza entusiasmo, ormai nella routine. L’ispirazione per questa zona nascosta e per le interazioni che avvengono all'interno, viene da tutti quei luoghi di massima sicurezza, come le centrali nucleari o i centri di ricerca sperimentali, dove si lavora con materiali pericolosissimi. Dopo un po’ tutto diventa normale, e allora le chiacchiere davanti alla macchinetta del caffè sono le stesse di quelle di un ufficio contabilità. 

Come salvare il cinema horror?

In conclusione Quella casa nel bosco lascia una postilla al suo trattato. Fino ad ora ha detto che quello che c’è stato non funziona più. Che c’è però possibilità di varietà, si può lavorare sulla struttura stessa della paura, anche con consapevolezza, per ritornare a costruire nuovi incubi. Le torture non hanno lo stesso fascino delle morti violente. Lo spavento deve avere la priorità sul dolore.

Lo step successivo che propongono attinge a un’atmosfera classica, poco battuta dal cinema di quel ventennio. H.P Lovecraft è il futuro del cinema per Whedon e Goddard. Non a caso lasciano l’ultima inquadratura all’orrore cosmico. Con le possibilità date dagli effetti speciali digitali anche dar vita all’impensabile non è più un’impresa impossibile. Una mano gigante che esce dalla terra è facile da realizzare quanto un mostro a tre teste.

L’invito è quindi rivolto agli altri registi, ad interessarsi all’ignoto, dopo avere già provato di tutto. I riti segreti, le conoscenze proibite, le consapevolezze shoccanti e la percezione di essere un nulla in confronto all’immensità del cosmo sono l’atmosfera che per loro dovrebbe guidare il genere fuori dal pantano in cui si era messo.

E in effetti, dopo dieci anni, questa è stata la direzione prevalente non solo per i film di terrore. È arrivata anche in luoghi insoliti. In Eternals i supereroi fronteggiano divinità che potrebbero venire direttamente da questo film. Nella serie Chernobyl le radiazioni e gli errori umani portano la paura di chi si è avvicinato ad essere Dio (quindi a poter annichilire l’umanità con uno schiocco delle dita) ma non sa come controllare questo potere. Siamo come la nave Erebus in The Terror: in viaggio verso l’ignoto chiedendoci cosa sia vero e cosa allucinazione.

Tutto questo Quella casa nel bosco e i suoi autori ce l’avevano già detto anni fa.

Fortunatamente li abbiamo ascoltati.

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