Qual è il punto di Confidenza e del suo finale?
Confidenza può essere una visione frustrante. Dipende da come lo si approccia. Dove vuole arrivare il regista Daniele Luchetti con il film?
Il punto di Confidenza non è quale sia il segreto di Pietro Vella. Il punto è che lui ha un segreto. La visione del nuovo film di Daniele Luchetti tratto dal romanzo di Domenico Starnone può essere un’esperienza frustrante quanto coinvolgente. Tutto dipende dalla prospettiva con cui la si approccia. Il film, per scelta (ma è anche la decisione più problematica) non vuole indicare una chiave di lettura. Anzi, fa di tutto per confondere le priorità. Come analisti dei personaggi ci ritroviamo a cercare un appiglio per comprendere la loro identità e i loro segreti. Luchetti ha più volte detto di odiare i film che imboccano lo spettatore spiegando tutto. Non saremo quindi noi a farlo. Quello che si può provare a cogliere è invece quale sia il punto di Confidenza, ciò che la storia vuole lasciare.
Confidenza inizia dai personaggi e resta nei personaggi
Un professore e la sua ex alunna, ora amanti, si confidano i rispettivi segreti. Lo fanno dopo una litigata, per instaurare un legame di dipendenza eterna. Entrambi possono distruggersi a vicenda, entrambi conservano una parte importante dell’anima altrui. Solo che quello che il professore Vella confida alle orecchie della brillante Teresa Quadraro è apparentemente molto più sconvolgente della confidenza fatta dalla ragazza. Un buco nero nella sua vita e un buco nero narrativo (non sentiamo quello che si dicono) che distrugge la coppia, ma la unisce per sempre. L’uomo prosegue la sua vita convinto che il suo segreto sia come un bottone in mano a Teresa. Lei può schiacciarlo da un momento all’altro, quando lo farà tutta la sua vita verrà sconvolta.
Il problema è che Confidenza fa credere all’inizio che siamo noi spettatori a dovere scoprire il segreto e che farlo sia importante. Non è così. In realtà il vero scopo del film è far provare sulla pelle del pubblico questo conflitto tra dimensioni della percezione di sé. È la cosa che Luchetti riesce a fare meglio, ma lo si capisce solo una volta arrivati al frustrante finale; tutto il film si gioca sull’analisi dei personaggi.
Si fa carriera grazie alla confidenza
La confidenza è quella detta nell’orecchio in quella fatidica serata. La confidenza è anche la simulazione di sicurezza che fa andare avanti nella sua carriera Pietro Vella. Teresa di confidenza all'inizio non ne ha molta, è il professore che gliela dà spingendola a riprendere gli studi. Lo fa per il suo bene o la forza a seguire una strada che lei non ha scelto solo perché lui, come professore, si racconta pubblicamente come una guida per talenti?
Teresa non ha nulla da perdere, Pietro rischia tutto. Per quanto ne sappiamo i due segreti possono essere ugualmente devastanti… oppure no. Possono anche essere un costrutto mentale molto più esagerato di quello che è in realtà. Altrimenti perché confessarlo? È come se Pietro non si aspettasse la reazione di Teresa. Da lì inizia l’ansia esistenziale, la presa di coscienza di camminare su una linea sottile. È potentissima in tal senso la scena del grido senza voce. L’inespresso, il silenzio che rende le persone incomplete. Come dice Celine Song, la regista di Past Lives, le persone sono ciò che si conosce, ma anche tutto il vissuto privato che li ha portati fino a quel punto.
Sull’etica e sul controllo
Chi sono questi personaggi, messi alla prova da sottotrame amorose spesso ridondanti? Sono persone che dipendono dal giudizio di altre persone. Sono personaggi che prendono forma diversa sulla base dell’occhio che guarda. Pietro ha un’etica apparentemente scolpita nella pietra (appunto, nessun nome è a caso). Eppure quella volta in cui quest’etica è venuta meno è per lui una morsa che lo stringe. La sua sindrome dell’impostore lo accompagna per tutto il film. Un errore, o una colpa, che si estende come la muffa sui limoni. I limoni ammuffiti sono pur sempre dei limoni. Così anche Pietro Vella è sempre Pietro: un professore stimato, un professionista serio. Solo che la muffa, ovvero il suo segreto, lo rende diverso. Tossico.
Teresa potrebbe anche non esistere. Esiste, ovviamente, nel film. Ma narrativamente è un personaggio quasi astratto. Un depositario della coscienza. Un grillo parlante che non parla (ma se parlasse...). È opposta a Pietro: lui è un umanista, lei una scienziata. Lui usa il linguaggio dell’affetto, lei si muove con più razionalità. Lei gioca una partita a scacchi, lui recita una parte. Per questo i due sono vicini ma non si incontrano mai veramente.
Confidenza parla dell’incomunicabilità di ciò che si è veramente. Di come non si può essere in controllo totale della propria identità, né verso l’esterno (quello che gli altri pensano) né all’interno (l’auto percezione). È un film che sbaglia nel far credere che il senso di tutto stia in quello che i due si sono detti. Invece la potenza della storia di Domenico Starnone sta altrove. Si trova nel fatto che i segreti scalpitano per uscire, perché sono vuoti in cerca di qualcuno che li possa colmare.
Soprattutto però Confidenza fa fare un’esperienza di ignoto. Il non saputo è il punto centrale del film. Elio Germano interpreta Pietro come se fosse una brava persona. Chi osserva il film si trova nei panni di un giudice che cerca, con un meccanismo assai crudele, di svelare la tesi opposta. Di partire da ciò che non sa per dimostrare che invece il protagonista non è un eroe, ma un villain. Il finale va pertanto vissuto come la dimostrazione dell’impossibilità di conoscere veramente le persone. Il punto di tutta l’esperienza di Confidenza è che ciò che sta dietro la maschera non può essere mai conosciuto appieno. A noi scegliere se cercare di cogliere qualcosa restando nell’inquietudine, o accettare la recita pubblica e il suo potere consolatorio.
LEGGI - Confidenza, la recensione