Pretty Woman è sempre dolcissimo
Pretty Woman è una commedia romantica (più romantica che commedia) talmente dolce da superare ogni difetto
Pretty Woman è arrivato su Netflix (ma lo trovate anche su Disney+)
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Pretty Woman e i suoi difetti
“Quali difetti?” vi sarete chiesti, offesissimi perché abbiamo osato avanzare una critica a uno dei film più amati di tutti i tempi. Be’, è roba di cui si discute ormai da anni e che è tornata di moda tre anni fa in occasione del suo trentesimo compleanno (qui per esempio il Guardian lo definiva “conservatore e materialista”), e in effetti non è difficile da immaginare. Da un lato è un film fatto per spiegarci quanto sia bello essere ricchi, e quanto ti renda la vita più facile. Edward Lewis non fa fatica a trovare una partner, ma non riesce a tenersela stretta perché è un carrierista evitante che sogna di avere una donna a sua disposizione solo quando lo dice lui. E se hai i soldi, risolvere questo problema è un gioco da ragazzi: basta comprarsi la persona in questione.
Ovviamente il film vuole poi dimostrare tutt’altro, e cioè che nonostante sia Edward sia Vivian trattino il loro rapporto nel modo più professionale possibile, alla fine quando c’è la scintilla non ci puoi fare nulla, e finisci per dare un bacio sulla bocca all’uomo che ti sta pagando per fingerti la sua fidanzata. E sul finale Vivian rifiuta un’offerta economicamente vantaggiosa ma sentimentalmente vuota perché “vuole di più”, vuole la favola e il principe azzurro. Per cui c’è in qualche modo nel corso di Pretty Woman un rifiuto e un superamento del suo presupposto principale, e cioè che i soldi facciano la felicità. Ma è un rifiuto solo parziale, perché è innegabile che questa sia una storia d’amore che si basa anche sul fatto che lui è l’uomo che può donare a lei tutto quello che vuole esclusivamente perché è ricco, lo stesso uomo che nonostante abbia conosciuto l’amore non riesce a staccarsi del tutto dal suo lavoro disumanizzante – alla fine del film si festeggia il fatto che Edward costruirà navi da guerra per la Marina americana come se avesse annunciato di aver donato tutti i suoi soldi alla cura per la leucemia, per dire che comunque l’asticella per i ricchi è da tutt’altra parte rispetto a dove la posizioniamo noi persone normali.
Prostituta? No, freelance
C’è poi il fatto che la vita di Vivian e della sua amica e collega Kit sia dipinta sì, come qualcosa di temporaneo e sì, non come la scelta ideale per una giovane ragazza piena di ambizioni, ma tutto sommato non così male. Le due fanno le prostitute in un modo che può esistere solo in una favola moderna ambientata in una città nella quale una donna può scegliere di praticare la professione più antica del mondo senza alcun bisogno di protezione (intesa proprio come “guardie del corpo”) e potendo anche scegliere i propri clienti e di rifiutare quelli che non piacciono – il tutto lavorando dal bordo della strada. E anche qui: è chiaro che il modo in cui viene rappresentata la vita professionale di Vivian è assurdo, esagerato e romanticizza un mestiere che è invece di solito fatto di violenze, vessazioni e sfruttamento. Ma lo fa con l’innocenza di chi si sta ispirando a La Traviata senza considerare granché che c’è gente che quella vita la fa davvero, e non con quell’entusiasmo.
In generale, tutto Pretty Woman è un film estremamente ingenuo e innocente, ed è poi il motivo per cui anche oggi si tende a perdonargli il fatto di essere stato concepito e scritto nei tardi anni Ottanta. E con tutto il rispetto per Richard Gere, fateci dire che il 90% del merito è di Julia Roberts. Gere si comporta proprio come uno che si rende conto di condividere il set con una forza della natura, e fa quindi il possibile per scomparirle di fianco, per lasciarla esprimere e farle stabilire il tono di tutto il film. Edward è sulla carta il co-protagonista, e ha i suoi momenti di gloria e rivelazione, ma di fatto è anche lui un passeggero sulla macchina guidata dalla sua co-star, unica possibile erede credibile di Eliza Dolittle. Il fatto che Pretty Woman sia di proprietà di Julia Roberts è forse il vero motivo per il quale anche le sue idee più antiquate e superate non ci sembrano un attacco al nostro modo di pensare, ma una semplice esperienza antropologica – ve li ricordate quegli anni? Erano così, ed eravamo talmente convinti che sarebbe andato tutto bene che eravamo pronti a dare un’opportunità di redenzione a chiunque.
Evviva il contorno
Fateci chiudere con una considerazione collaterale quanto i personaggi di cui vogliamo parlare, ma uno dei segreti di una buona commedia romantica è la sua capacità di creare un ecosistema intorno al centro di attrazione del film – in altre parole, popolare la storia di personaggi secondari con una personalità, un ruolo definito e che lascino quindi in chi guarda la voglia di passare del tempo anche con loro, non solo con i protagonisti. Pretty Woman è popolato di personaggi del genere, dal manager dell’hotel interpretato da Héctor Elizondo all’orrido Phillip, avvocato di Edward al quale va la palma di vero villain del film.
Spesso i personaggi secondari sono quello che distingue una buona commedia romantica da un gran film (pensate a Il diario di Bridget Jones, per la seconda categoria), e in questo Pretty Woman non è invecchiato di un giorno: è ancora oggi un manuale della commedia romantica (in questo caso è più romantica che commedia), e soprattutto un manuale su come la si interpreta. Bisogna impegnarsi molto per volergli male, e noi comunque ve lo sconsigliamo.