Predator, o come si crea un capolavoro

Predator è un film che contribuì a definire le regole dell’action e della fantascienza, e nel contempo a mandarle in pezzi

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Predator è su Star di Disney+

«Era esattamente l’opposto di quello per cui credevo di essere stato ingaggiato». Questa frase di John McTiernan – raccolta insieme a molte altre testimonianze sulla lavorazione del film in questo pezzo datato 2012 – spiega in pochissime parole come mai Predator sia un capolavoro, e un film che nonostante si stia avvicinando ai 35 anni non è invecchiato di un giorno, e ancora oggi vanta innumerevoli tentativi di imitazione. Nato da una barzelletta, scritto e girato sul sottilissimo confine che separa il prendersi sul serio dalla satira più becera, Predator non è solo uno dei migliori action degli anni Ottanta e probabilmente della storia, ma anche un film infinitamente più intelligente di quello che possa sembrare a uno sguardo superficiale.

Da dove cominciare per sviscerare i mille motivi per cui Predator è un film indimenticabile? Probabilmente proprio dalla barzelletta a cui accennavamo sopra. La storia è raccontata qui direttamente dai fratelli Jim e John Thomas, sceneggiatori del film: dopo l’uscita di Rocky IV, il film nel quale Stallone sconfiggeva Dolph Lundgren e poneva fine alla Guerra Fredda, a Hollywood cominciò a girare una battuta secondo la quale Rocky ormai aveva esaurito gli avversari sulla Terra e il prossimo passo sarebbe stato farlo combattere con un alieno.

I Thomas presero lo scherzo molto sul serio, e lo usarono come spunto per scrivere una sceneggiatura che raccontava di un gruppo di alieni che giravano per la galassia a caccia di altri alieni; l’idea venne pian piano sgrezzata e semplificata, fino ad arrivare a quello che poi sarà appunto Predator, cioè la storia di un cacciatore alieno che si scontra con la specie più pericolosa dell’universo – l’uomo, rappresentato nello specifico da Arnold Schwarzenegger e dalla sua squadra speciale di soldati in missione segreta in un luogo non meglio precisato del Centro America (il paese immaginario di Val Verde, lo stesso di Commando, oppure se preferite il Guatemala, almeno stando ai film più recenti del franchise).

Occazzo

L’approccio contemporaneamente seriosissimo e scherzoso nei confronti di questa storia di caccia grossa nella giungla non si limita al modo in cui la sceneggiatura venne concepita e scritta. A dirigere venne chiamato John McTiernan, che tre anni dopo riscriverà le regole dell’action in Die Hard, inventandosi il protagonista vulnerabile e fallibile e il villain stiloso ed elegante. Die Hard è considerato un nuovo inizio per il genere e una delle opere più rivoluzionarie degli anni Ottanta, eppure già Predator contiene più di uno spunto in quella direzione.

La storia probabilmente la conoscete già, ma va così: il maggiore Dutch (Schwarzenegger) è un supersoldato veterano del Vietnam a capo di una squadra specializzata in pericolosissime missioni di estrazione. Gliene viene assegnata una, che in teoria dovrebbe prevedere il salvataggio di un ministro, il cui aereo è caduto in pieno territorio nemico (in sostanza Fuga da New York con una giungla vera al posto di quella metropolitana). Arrivato sul posto, Schwarzenegger scopre due cose: la prima è che la storiella del ministro era una copertura per una missione ancora più delicata e segreta; la seconda è che le squadre che hanno preceduto la sua, e anche molti dei ribelli che hanno in teoria preso in ostaggio il fantomatico ministro, sono state massacrate da un’entità non meglio specificata, che l’unica sopravvissuta descrive dicendo che “la giungla si è animata”.

Predator Yautja

Noi che guardiamo già sappiamo che dietro agli omicidi c’è una creatura venuta dallo spazio (il film si apre proprio con l’arrivo della sua astronave sulla Terra), ma loro, che sono in mezzo alla giungla e oltre il confine nemico e quindi senza alcuna speranza di venire portati in salvo, no. Ed è in questo modo che avviene il totale ribaltamento delle prospettive e Predator diventa un film geniale e inaspettato. Fin dalle prime scene McTiernan ci tiene a trasmettere l’idea che Dutch e gli altri siano il meglio del meglio, i più machi del mondo, i soldati invincibili alla Commando insomma; vi basti questo primo piano dell’incontro tra Schwarzenegger e Carl Weathers (che nel film è Dillon, ex commilitone di Dutch e ora agente della CIA) per capire di cosa stiamo parlando.

E se invece non vi basta prendete questa scena

nella quale un gruppo di soldati armati fino ai denti sparano tutti i proiettili che hanno contro… la giungla, ottenendo come unico risultato quello di far saltare per aria un sacco di foglie. Il Predator (che qui non si chiama ancora in questo modo, e al massimo viene definito “Hunter”, cacciatore) è l’antagonista perfetto per rimettere al proprio posto le gigantesche nuvole di steroidi che sono atterrate nella giungla convinta di poterla dominare. Pensate per esempio al fatto che Predator è uno dei primissimi film della storia a dare un ruolo importante a un wrestler (Jesse Ventura, antenato di tutti i Dwayne Johnson, Dave Bautista e John Cena del mondo), un superuomo in grado di maneggiare un’arma da fuoco che solitamente viene montata su un veicolo perché è troppo pesante.

Eppure nonostante questo lo Yautja lo elimina senza problemi. Lo Yautja elimina senza problemi praticamente tutti: morte dopo morte, Predator decostruisce (e prende anche un po’ in giro) il mito del macho anni Ottanta, schiacciato dalla prepotenza di un alieno che ha dedicato la sua intera esistenza a diventare la più perfetta macchina di morte della galassia. È solo quando smette di essere sé stesso e si abbassa al livello della creatura ferale che lo sfidando (Arnold Schwarzenegger coperto di fango e completamente trasfigurato) che mostra i primi segni di debolezza, e prende in considerazione la possibilità di una sconfitta. Eppure anche in punto di morte non rinuncia a far sentire la sua innegabile superiorità: c’è un momento nel quale Scwharzenegger, invece di spappolargli la testa con un sasso e farlo precipitare nel vuoto, esita un istante e si interroga sulla sua identità, e lui, finalmente vulnerabile, decide di… farsi saltare per aria, e salutare l’universo con una risata isterica (e copiata da una delle sue vittime). Esiste forse un modo migliore per andarsene?

Schwarzy

Predator fu un successo clamoroso e anche parzialmente inaspettato: era un film che prendeva sottilmente in giro gli eccessi dell’action anni Ottanta e di certo suo machismo, e lo faceva sbattendo la faccia di uno di questi ubermensch in primissimo piano. E nonostante questo – forse perché il sottile strato satirico non venne immediatamente percepito – incassò quasi 100 milioni di dollari a fronte di un budget di 15, e divenne immediatamente un classico e un modello da imitare (quasi sempre con scarso successo). Peccato solo che il destino, e le bizze da star, ci abbiano privato di una gioia immensa: avere un Predator interpretato da un’altra stella del firmamento dell’action anni Ottanta, cioè Jean-Claude Van Damme, che venne licenziato e sostituito da Kevin Peter Hall per una serie di motivi che meriterebbero un approfondimento a parte. E se vi state chiedendo cosa vi siete persi di preciso, be’, ve lo spiega direttamente Stan Winston:

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