Predator e la decostruzione del machismo
Predator è uno dei più grandi action degli anni Ottanta anche perché è una satira degli action degli anni Ottanta
Prey sta andando sorprendentemente bene nonostante i presupposti: le critiche sono generalmente positive, il pubblico ha risposto alla grande e c’è già chi rimpiange il fatto che non abbia fatto un giro nelle sale. Ovviamente non è esente da critiche, alcune condivisibili, altre che invece crollano una volta che si mette il film a confronto con il suo illustre antenato. Tra le prime, quella più azzeccata secondo noi è anche quella che ci permette di arrivare a parlare delle seconde: il fatto, cioè, che Prey sia fin troppo simile a Predator, che non sia altro che un’ennesima reinvenzione che dimostra poco coraggio e molta aderenza alla formula originale.
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Il problema è che questo ragionamento, che a una prima visione di Predator potrebbe sembrare corretto, è solo una parte di un discorso più ampio che John McTiernan ha portato avanti non solo nel corso del film, ma anche nelle sue opere successive. E questo ragionamento è: i maschi ipertrofici anni Ottanta ci piacciono, e ci piace vederli sparare a qualsiasi cosa si muova e ammazzare i cattivi a pugni, ma se li guardiamo con un po’ di occhio critico ci rendiamo conto di quanto siano parossistici, e di quanto facilmente si prestino alla presa in giro. Predator è (anche) una satira feroce dell’action di epoca reaganiana, e quello che dice sulla mascolinità si può in qualche modo applicare anche a Prey.
La prima sequenza d’azione di Predator ribadisce, per chi vuole guardare, che c’è qualcosa che non va. I nostri eroi, nel giro di mezz’ora neanche, fanno fuori tutti i cattivi e compiono la loro missione, e non sembrano neanche fare fatica; fanno nel primo atto quello che in altri film viene fatto in tre, e mentre lo fanno hanno anche il tempo di sparare one liner con la frequenza di un mitragliatore. È come se, una volta eliminati i guerriglieri, la squadra di Dutch avesse definitivamente sconfitto il cinema action, e lo sapesse: siamo i migliori, siamo invincibili, certo le nostre azioni sono spinte da una moralità quantomeno dubbia, ma siamo comunque grossi, cattivi e impossibili da abbattere. Sono gli eroi che trionfano senza fatica, la logica conseguenza di quasi un decennio di film action sempre più grossi e con protagonisti sempre più simili a supereroi.
Vale qui la pena ricordare alcune cose. La prima è che John McTiernan, uno dei migliori registi action della storia, è famoso soprattutto per film action che sovvertono le aspettative, da Die Hard che metteva un uomo senza qualità ma con un’incrollabile voglia di sopravvivere al centro dell’azione a Last Action Hero, che si gettava direttamente nel meta-cinema e nella parodia esplicita. La seconda è che Predator è del 1987: nello stesso anno usciva RoboCop, un altro film che sotto l’azione muscolare nascondeva una ferocissima anima satirica, e l’anno prima era uscito Grosso guaio a Chinatown, un film nel quale il protagonista macho finiva per fare la spalla comica lasciando il ruolo di eroe ad altra gente. Quello che vogliamo dire è che nel 1987 avevamo già scavallato la metà del decennio, Reagan si avviava verso la fine della sua presidenza e anche il cinema action stava cominciando a guardarsi dentro e a rendersi conto di quanto potenzialmente ridicole potessero sembrare certe pose, se viste dalla giusta distanza.
Nella versione commentata di Predator, che trovate in tutte le edizioni home video, John McTiernan in persona conferma questi ragionamenti quando parla di un’altra delle scene più famose del film, quella in cui Mac si dispera per la morte dell’amico Hawkins sparando all’impazzata nella giungla; il resto della squadra si unisce, e alla fine il numero di colpi andati a segno rimane tristemente pari a zero. Secondo McTiernan, “il punto della scena era proprio mostrare l’impotenza di tutte pistole, cioè esattamente l’opposto di quello per cui mi avevano ingaggiato”. La satira in Predator è consapevole e neanche troppo mascherata, e l’intento del film ferocissimo: “Ecco i vostri eroi, il meglio del meglio dell’umanità” ci dice. “Ora guardateli mentre se la fanno sotto dalla paura perché hanno trovato qualcuno più grosso di loro” (tipica reazione da bulli, peraltro).
Potreste chiedervi cosa c’entra tutto questo con Prey. Per rispondervi vi rimandiamo a una lettura interessante, questa fan theory spuntata su reddit qualche anno fa secondo la quale tutti i personaggi di Predator muoiono in maniera coerente con il loro particolare tipo di mascolinità. Alcuni passaggi sono un po’ stirati ed è evidente il tentativo di trovare un’unità tematica dove ci sono invece tanti spunti sparsi. Quello che ci interessa della teoria però è la conclusione: Dutch è l’unico che sopravvive perché è l’unico che si adatta, è l’unico che si rende conto che “i soliti metodi” non possono funzionare contro questa nuova minaccia. È l’unico abbastanza umile da accettare di nascondersi, di mimetizzarsi, di non affrontare faccia a faccia un avversario più forte di lui ma di puntare tutto sulla furbizia. Di mettere da parte quella particolare forma di mascolinità che proprio Schwarzenegger aveva contribuito a coltivare per evolvere, e adattarsi a quello che si trova di fronte.
È per questo secondo noi che criticare Prey perché “è impossibile che una ragazzina di quaranta chili sopravviva contro uno Yautja quando un gigante di due metri ha fatto fatica” è fuori fuoco, mentre la critica “è troppo simile al primo” è perfettamente azzeccata. Il punto di Predator è proprio che essere un gigante di due metri non ti aiuta, anzi ti intralcia perché mette il tuo avversario nella condizione di non sottovalutarti. Il punto di Predator è che si vince con l’intelligenza, la furbizia, la capacità di improvvisare e anche un bel po’ di fortuna, tutte doti che permettono anche a Naru in Prey di trionfare (se poi a turbarvi è il fatto che una ragazzina non potrebbe sopravvivere a un corpo a corpo con uno Yautja, be’, per noi quello rientra nel minimo sindacale di sospensione dell’incredulità necessaria a godersi qualsiasi film).
In Predator essere eroi action anni Ottanta non necessariamente ti salva la vita, come non è detto che lo facciano le pistole. E che al contrario affidarsi anima e corpo ai propri bicipiti e alla certezza di essere i migliori guerrieri della Terra non può che portare al disastro. Né Dutch né Naru sconfiggono il loro Yautja con la forza bruta, ma con l’intelligenza e la conoscenza del proprio territorio. In questo, sì, Prey è fin troppo simile all’originale, e aggiunge poco a quanto già diceva l’originale. Ma se credete che il suo problema sia che la protagonista non ha un pene vi consigliamo di andarvi a rivedere Predator e a ricontestualizzarlo anche in base alle parole del suo autore: potreste scoprire delle cose.