Un poliziotto alle elementari esiste per cambiare idea su Schwarzenegger

Un poliziotto alle elementari di Ivan Reitman è il film perfetto se credete che l’ex governatore della California non sappia recitare

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Un poliziotto alle elementari va in onda su Iris questa sera alle 21:00 e sabato in replica alle 13:42

Nel corso della sua (quasi) quarantennale carriera, Ivan Reitman ha accumulato parecchi meriti, ma quello di cui si parla colpevolmente di meno è il fatto che sia stato il primo a Hollywood a vedere Arnold Schwarzenegger non solo come un tronco di carne e muscoli che riempie ogni inquadratura con la sua semplice presenza, ma un attore fatto e finito. Nel giro di due anni, tra il 1988 e il 1990, il regista di Ghostbusters prima mise l’ex Governator al fianco di Danny De Vito in I gemelli, poi decise (un po’ obtorto collo, come vedremo) di mettergli sulle spalle il peso di un intero film costruito sulle sue qualità recitative, oltre che sul contrasto tra la sua abituale persona cinematografica e il personaggio affidatogli. Il risultato è Un poliziotto alle elementari, un film che intere generazioni ricordano perché “i maschi hanno il pene, le femmine la vagina” e che andrebbe rivisto concentrandosi sul fatto che Schwarzy fa un figurone in un ruolo inizialmente pensato per uno dei migliori attori comici di sempre.

Un poliziotto alle elementari, Bill Murray e Schwarzy

L’attore comico citato nel paragrafo precedente è nientemeno che Bill Murray: era lui la prima scelta di Ivan Reitman per il ruolo di John Kimble, poliziotto spietato e ultraviolento che sta indagando su un trafficante di droga e finisce a doversi fingere insegnante alla scuola materna (... non fate domande sul titolo italiano) frequentata dal figlio del suddetto criminale. In verità, i dettagli sul casting di Un poliziotto alle elementari sono ancora oggi nebulosi: non abbiamo trovato dichiarazioni dei diretti interessati, ma svariate fonti tra cui gli inappuntabili trivia di IMDb riportano il nome di Murray tra quelli che rifiutarono il ruolo, insieme a Patrick Swayze e forse anche Danny De Vito.

Quale che sia la verità, il messaggio è chiaro: Un poliziotto alle elementari fu scritto con l’idea di avere un attore brillante negli improbabili panni di un detective, per poi cambiare immediatamente scenario e spostarsi in territori comedy così da sfruttare il suo talento. Il casting di Schwarzenegger, invece, ribaltò completamente l’approccio, a tutto vantaggio del film: invece di avere un protagonista che sembra un pesce fuor d’acqua per i primi dieci minuti e poi si immerge nel suo elemento, abbiamo un meraviglioso detective grosso come un armadio e con una barba incolta da “non mi rado più finché non ti vedo dietro le sbarre” che viene catapultato in una classe di mocciosi urlanti e assediato dalle mamme di Astoria, Oregon, “la capitale dei genitori single d’America”.

E il meraviglioso detective in questione non è un attore qualunque: è un ex Mister Universo che aveva passato il decennio precedente a ridefinire (insieme a Stallone) la figura dell’eroe action al cinema, e si era costruito l’immagine dell’attore di poche parole e molti cazzotti (o colpi di spada, o smitragliate). Per tutta una certa fetta di critica che identifica il “recitare” con l’esasperazione di ogni battuta e ogni espressione facciale, Schwarzenegger era, ancora più di Stallone, l’emblema di come non si sta in scena, uno che “recita male”; fortunatamente gli anni e una lettura meno pregiudiziale hanno portato alla rivalutazione e al riconoscimento di certi indiscutibili capolavori, ma non c’è dubbio che quando uscì Un poliziotto alle elementari potesse sembrare una pessima idea, un modo per umiliare il suo protagonista mettendolo in una situazione della quale non poteva essere all’altezza.

Un poliziotto alle elementari lol

Un poliziotto alle elementari funziona grazie ad Arnie...

E invece Arnold Schwarzenegger, che già in I gemelli aveva dimostrato una notevole dose di autoironia, decide di aprire tutto e di affrontare il film nell’unico modo possibile: non prendendosi mai sul serio, neanche in quei rari casi in cui la sceneggiatura lo richiederebbe. Tutto il primo atto di Un poliziotto alle elementari è dedicato a presentarci Kimble come un detective brutale che pare uscito da tutt’altro film di Schwarzenegger (o da Cobra di Stallone), il classico personaggio che lavora da solo, non si toglie mai gli occhiali da sole e risolve ogni controversia a colpi di fucile; è una caratterizzazione estrema ai limiti del parodistico, e soprattutto Kimble è l’unico personaggio larger than life in un contesto tutto sommato normale: né il suo capo, né la sua nuova partner, né il cattivissimo di turno sono esasperati quanto il personaggio di Schwarzy, che spicca su tutto il resto anche prima di entrare in un’aula di asilo.

Ciò non toglie che quello che succede dopo, dalla prima lezione alle marcette militari alla scena in cui il fu Terminator coccola un furetto, sia dieci volte più assurdo e improbabile di quanto promettessero le prime scene del film. Perché Arnold Schwarzenegger sembra per la prima volta in carriera accettare il fatto che alcune delle sue caratteristiche (le sue dimensioni, il carisma che trasuda, il suo accento austriaco) possano funzionare anche come armi comiche, e ci si appoggia con tutto il suo peso. Kimble pronuncia tre quarti delle sue battute come se già sapesse che diventeranno tormentoni, o proto-meme se preferite, per non parlare del fatto che la reazione di bambini e bambine alla sua semplice presenza fisica è estremamente genuina e aiuta a rendere ancora più brillanti certe scene.

Schwarzy Miller

... e poco altro

È un po’ un peccato, quindi, che tutto il resto del film non sia sempre all’altezza di uno Schwarzenegger straripante. Una volta presentata la situazione e piazzato Kimble ad Astoria, Un poliziotto alle elementari si dimentica un po’ della storia che sta raccontando, che nel giro di poche scene diventa poco più che un’appendice per le gag scolastiche, e tutto il terzo atto, quando arriva il momento di tirare le fila sulla vicenda di Mr. Crisp, non è all’altezza di quanto visto fin lì – il film è ormai diventato una commedia romantica su Schwarzenegger e Penelope Ann Miller, e sembra tornare indietro un po’ controvoglia. Mancano anche invenzioni registiche degne di nota, idee visive che sollevino il film da una tranquillizzante medietà; ma è chiaro che a Reitman non interessava stupire, e che abbia deciso di affidare quel compito al suo protagonista. Che tre anni dopo confermerà tutto quanto nel più autoironico dei suoi film, Last Action Hero – ma questa è un’altra storia.

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