Pokémon, venticinque anni di ricordi indelebili | Speciale

La serie di Pokèmon compie venticinque anni e ognuno di noi custodisce un ricordo ben specifico legato alla saga. Questo è il mio.

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Quando nell’ottobre del 1999 anche in Italia iniziò a dilagare la Pokémon-mania, mi sentii un bambino sfortunato. Molto sfortunato. Non era davvero così, ovviamente, anche all’epoca ne ero consapevole, ma forse per la prima volta nella mia vita mi resi conto di desiderare ardentemente qualcosa che non potevo avere, che tutti i miei amici erano in preda ad un autentico delirio di massa a cui io ero escluso a priori.

All’epoca, complice anche l’età anagrafica, le informazioni sul mondo videoludico erano confuse, parziali, relativamente incomprensibili. La prima volta che lessi di questi strani mostriciattoli giapponesi e delle relative avventure su Game Boy rimasi confuso e dubbioso.

Animaletti dalle forme bizzarre che vanno catturati, allenati e utilizzati per combattere contro altri fanatici di medaglie da collezionare? Sembrava tutto surreale e soprattutto difficile da proporre sul minuscolo schermo del Game Boy, console che tra l’altro non avevo la fortuna di possedere, ma che conoscevo bene grazie ad un’amica che me lo aveva prestato per qualche settimana (dandomi così modo di innamorarmi perdutamente ed eternamente di Super Mario Land 2: 6 Golden Coins).

[caption id="attachment_223332" align="aligncenter" width="1000"]Pokémon screenshot L'interfaccia dei primi capitoli. Semplice e funzioanale.[/caption]

Il problema, del resto, era proprio quello: il Game Boy, ennesima console che i miei genitori non volevano assolutamente regalarmi, visto il “gia troppo tempo sprecato di fronte alla TV con il Nintendo 64”. Non che non avessero le loro buone motivazioni, ma a cavallo tra il 1999 e il 2000 il loro unico figlio visse un piccolo dramma, una tragedia fatta per lo più di insopportabile invidia, infinita desolazione ed una spruzzata di emarginazione.

Del resto, da quell’ottobre del 1999 molte serate in pizzeria, compleanni e pomeriggi di festa, divennero un mix di conversazioni zeppe di nomi strani, cavi che spuntavano da ogni tasca e teste ricurve su piccoli e per nulla illuminati display. Il gruppo di amici, in breve, si era completamente tramutato in un sabba in cui per iniziarsi alla setta, era fondamentale possedere le due chiavi d’accesso: Game Boy e una cartuccia di Pokémon Rosso o Blu.

Sopravvissi a modo mio, iniziando guardando le partite degli altri, finendo per fare il lavoro sporco: quando qualcuno aveva bisogno di livellare i suoi mostriciattoli, mi prestavano console e gioco e nel tempo libero imparavo tecniche, percorsi, nomi dei Pokémon. Divenni espertissimo, pur senza il necessario per iniziare la mia personale avventura.

L’incubo finì un pomeriggio caldo e assolato del 2000. Fresco di promozione venni finalmente e giustamente premiato con un Game Boy Color, sorpassando tecnologicamente i tanti amici che erano fermi alla versione originale del portatile, e con Pokémon Blu, seguito a brevissima distanza dall’ambito Pokémon Giallo, versione in cui si poteva sfoggiare un Pikachu che ti seguiva ovunque per la mappa (io lo rinchiusi appena possibile nel PC di Bill, ma questa è un’altra storia).

Da lì in poi fu una storia d’amore da cento e più ore, fatta di decine di Pokéball lanciate, centinaia di tornei contro i Superquattro vinti, migliaia di batterie sostituite.

[caption id="attachment_223333" align="aligncenter" width="1000"]Pokémon Rosso e Blu screenshot Miti, leggende, glitch. Pokèmon Rosso e Blu erano anche questo.[/caption]

Più di ogni altra cosa, fu una storia di amicizie, alcune delle quali situazionali, nate intorno ad un paio di Game Boy, cresciute lungo il cavo con cui ci si scambiava i Pokémon, finite non appena gli impegni, l’età, altri interessi finirono per prendere il sopravvento su quella passione tanto intensa, quanto personalmente relegata ai soli capitoli pubblicati sul primo portatile della Grande N.

Ciò che ha reso immortali i primi episodi del brand, qualità poi progressivamente perse nelle successive iterazioni, fu la portata di un’avventura sì titanica, ma alla portata, oltre che la progressione perfettamente equilibrata del gameplay, profondo certo, ma trasversale, perfettamente godibile e comprensibile da chiunque.

Soprattutto su Nintendo DS, la saga ha conosciuto un’estrema frammentazione delle meccaniche, un inasprimento della complessità con cui metabolizzare certi procedimenti, processi che hanno certamente arricchito l’offerta, ma che l’hanno anche resa meno accessibile e spensierata.

Forse, più realisticamente parlando, questi sono solo discorsi di un vecchio nostalgico, malinconico di certi pomeriggi estivi in cui tutto, persino i videogiochi, sembravano più semplici, in cui in assenza di walkthrough, dirette su Twitch e guide di ogni genere su Internet, si imparavano i fondamentali di un gioco lentamente e pienamente, spesso e volentieri sostenuti e in compagnia di amici veri. Anche quando quegli amici sono durati giust il tempo di battere tutti i capopalestra di Kanto.

Anche solo per questi lontani ricordi, grazie Pokémon. Grazie per questi venticinque anni di ricordi.

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