Planet of the Apes – Il pianeta delle scimmie, rivisto oggi

Planet of the Apes – Il pianeta delle scimmie era davvero brutto? Fu l'inizio della fine della carriera di Tim Burton? Un’indagine

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Il regno del pianeta delle scimmie uscirà in sala il 10 maggio

Questo pezzo NON fa parte della rubrica Rivisti oggi

Visto che da qualche tempo stiamo curando una rubrica basata sul riguardare oggi film di tanti anni fa che per un motivo o per l’altro ci hanno fatto esclamare “forse oggi non glielo farebbero più fare!”, e visto che in sala sta per arrivare il nuovo, ennesimo capitolo del franchise del Pianeta delle scimmie, questa volta intitolato in maniera un po’ confusionaria Il regno del pianeta delle scimmie, abbiamo pensato di unire le due cose e compiere un’operazione spericolata: riguardare Planet of the Apes – Il pianeta delle scimmie di Tim Burton, un film che nonostante il successo al botteghino fu accolto così male dalla critica e dai fan che la gente tende a dimenticarselo. Ecco quindi le nostre impressioni, prima di dimenticarcene anche noi, speriamo per sempre.

Planet of the Apes – Il pianeta delle scimmie è brutto?

E che cosa dobbiamo fare? Cominciamo levandoci il pensiero: sì, il nono film da regista di Tim Burton, che fino a quel momento aveva azzeccato sostanzialmente tutto quello che aveva diretto, non è un buon film. E non è facile decidere da dove partire per spiegarvi perché. Proviamo con l’anno: è un film del 2001, uscito qualche mese prima un noto primo capitolo di una saga fantasy, ma se non lo conoscessimo e ci diceste che ci sono due/tre anni di differenza tra il film di Jackson e quello di Burton vi crederemmo. Sarà stato il clima culturale, sarà che Jackson stesso fu tra i prescelti per la regia di Planet of the Apes – Il pianeta delle scimmie; fatto sta che quella di Burton è un’opera che sembra uscita dopo Il signore degli anelli, facendo finta di averne anche imparato la lezione.

Il film originale del 1968, e anche il romanzo di Pierre Boulle da cui è tratto, erano opere politiche, che mettevano alla gogna l’umanità confrontandola con quelli che in teoria dovevano essere i nostri antenati, e che si rivelavano più intelligenti di noi; era un film che parlava di razzismo, e di ribaltamento delle prospettive. Planet of the Apes – Il pianeta delle scimmie è invece un fantasy molto classico, nel quale ci sono le scimmie ma potrebbero esserci anche gli elfi scuri, gli orchetti, i funghi senzienti. È la classica storia di un white savior che scende dallo spazio per liberare un popolo dall’oppressione, e nel frattempo insegnare ai cattivi che c’è un modo migliore per stare al mondo. È l’approccio più banale che si possa immaginare, e il fatto che anche a livello di impatto visivo ricordi i fantasy di quel periodo non lo aiuta in alcun modo a spiccare.

Grazie Rick Baker

Spiccano invece gli aspetti tecnici, in particolare il trucco a cura del mito Rick Baker, che riesce nell’impresa di prendere gente famosa e riconoscibile, truccarla da primate e ciononostante non far perdere loro la propria personale espressività. Paul Giamatti è Paul Giamatti anche truccato da orango, Helena Bonham Carter è inconfondibile, l’unico che un po’ rimane sepolto dal trucco (ma soprattutto dalla necessità di essere sempre incazzato nero) è Tim Roth; ma stiamo parlando di un film del 2001, che però a distanza di 23 anni non è invecchiato, almeno da quel punto di vista.

Peccato che il design generale del film, dalla città delle scimmie alle armature dell’esercito del cattivissimo Thade, sia decisamente meno ispirato: ogni tanto viene il dubbio che Burton e Baker si fossero intrufolati sul set della Compagnia per prendere ispirazione. Ancora più profetiche le scelte in termini di fotografia, scurissima e spesso incomprensibile, come se fossimo di fronte a un blockbuster netflixiano e non a un film del 2001. Ma forse è un bene, perché in questo modo Planet of the Apes – Il pianeta delle scimmie maschera un po’ delle sue magagne, a partire dal protagonista più generico dell’intera galassia. O forse è un male, perché ci costringe durante la visione a pensare a quello che stiamo guardando, analizzarlo e realizzare che dietro la facciata di trucco e parrucco non c’è granché.

Il piattume delle scimmie

Non c’è granché perché la storia è un po’ sciocca, una reinvenzione del romanzo originale che se ne distacca in tutti i passaggi più importanti e organizza una trama fatta di viaggi temporali che non hanno cronologicamente senso, di una ribellione che nasce un po’ per caso e non dice nulla di interessante né sull’umanità né sulle scimmie, e di sequenze d’azione girate con una certa perizia ma senza grossi guizzi. Il cast fa quello che può, in fondo c’è gente brava che ovviamente riesce a farsi notare qui e là. Ma c’è anche gente meno brava, a partire come detto dal protagonista: Mark Wahlberg era al primo ruolo importante in un blockbuster, e ci si chiede cosa ci avesse visto Tim Burton oltre alla mascella tipica del salvatore americano.

Peggio fa la sua controparte femminile, la povera Estella Warren, un personaggio senza un vero ruolo se non quello di essere seminuda e attirare le attenzioni ormonali di Marky Mark e le gelosie di Helena Bonham Carter. A parte quello non ha alcuna utilità, neanche come plot device: sembra inserita per riempire una quota (“personaggio femminile affascinante”), e dimenticata poi nei meandri di una storia che, più che quella del pianeta delle scimmie, è quella di Mark Wahlberg che vuole tornare a casa.

Ci sarebbe infine da discutere del finale, ma cosa volete che vi diciamo? È un finale shock, con il twist, che colpisce al primo impatto ma che poi, a un’analisi più attenta, non ha granché senso. È comunque chiaro che è scritto così per un solo motivo: la speranza di poterne tirare fuori almeno un sequel. Non è successo, e Planet of the Apes – Il pianeta delle scimmie è stato dimenticato in favore della nuova saga che parla di Andy Serkis in motion capture. È un male? È un bene? Di sicuro era prevedibile.

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