Piccoli budget e grandi libertà: la nuova equazione del cinema d’animazione europeo

Arthur de Pins, Benjamin Renner e gli italianissimi Ivan Cappiello e Carlo Stella: il nuovo cinema d'animazione europeo passa da loro

Nato a metà degli anni '90, appassionato di cinema, serie TV e fumetti, continuamente in viaggio e in crisi con se stesso. Ama i pinguini e non certo per questo si è ritrovato a collaborare con BadTaste tra festival, interviste e approfondimenti.


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Il cinema d’animazione, per convenzione, è sempre stato etichettato come il più fantasioso, quello più colorato, con le maggiori potenzialità artistiche sfruttando le assurde (non-)leggi dell’animazione secondo le quali tutti possono fare tutto. Senza limiti fisici, temporali o spaziali.

I primi esempi d’animazione, quelli più primitivi, risalgono a una data precedente alla nascita del Cinema (parliamo del 1671, vi dice nulla la Lanterna Magica?) ma è negli anni ’30 del 1900 che questa idea di rappresentazione inizia a esser presa maggiormente in considerazione come ramo della settima arte, passando dalla realizzazione di semplici cortometraggi a veri e propri lungometraggi.

Il celebre Biancaneve e I Sette Nani è l’esempio più noto a tutti.

Quel film non solo permise a Walt Disney di ricevere il suo primo Oscar alla carriera (accompagnato da altre sette piccole statuette consegnatogli da Shirley Temple) ma divenne la sua gallina dalle uova d’oro, la rivincita di anni di lotte con animatori, colleghi, fratelli e soprattutto banchieri.

Compreso quanto spirito, quanto amore e soprattutto quanta innovazione serviva per creare un prodotto di qualità, l’Uomo dei Sogni aveva l’equazione perfetta che avrebbe permesso agli studi che attualmente portano il suo nome di prosperare dopo la sua morte e, salvo qualche raro caso, di poterla impiegare in ogni loro successiva opera.

Il “canone Disney” divenne ed è, non dichiaratamente, la base di partenza e l’ostacolo più grande che le Major che oggi si contendono il campo dell’animazione devono affrontare emulando o trovando la loro strada, dalla DreamWorks alla Illumination. E questo, nel tempo, ha limitato di molto chi lavora nel settore in termini di originalità e creatività. Per poter mantenere alto il livello, però, serviva sostanzialmente un'unica cosa: un budget elevato. Oggi più che mai, in ogni film (non solo animato) un grande limite è dato dalla disponibilità economica sia per comprendere come poter raccontare una storia o sviluppare un’idea sia per rendersi conto di quali saranno e di come affrontare le sfide di produzione alle quali andranno incontro una volta iniziate le riprese.

Numerosi sono gli esempi di insuccessi al botteghino che hanno costretto aziende a cambiare i propri piani, reinventarsi o nel peggiore dei casi vendersi al migliore offerente.

E se queste paure siamo in grado di riscontrarle nei film più “classici”, nei lungometraggi d’animazione sono ancora più evidenti, soprattutto se alle spalle dei produttori, dei registi e degli autori più vari non ci sono marchi di un certo livello (la LAIKA con la Nike, per esempio) e multinazionali (come la già citata The Walt Disney Company o la DreamWorks con la Universal dopo la recente acquisizione). Se un determinato tipo di personaggio piace (e vende), gli studi sapranno cosa proporre maggiormente nel film successivo (o cosa meno), che si chiamino animali parlanti, principesse indipendenti o co-protagonisti gialli dotati di un proprio ed esclusivo linguaggio.

Questi discorsi sono rintracciabili soprattutto in America.

In Giappone, per esempio, l’animazione viene vissuta in maniera totalmente diversa, non come puro intrattenimento ma come effettiva forma di narrazione. Lo Studio Ghibli o figure come Isao Takahata o Hayao Miyazaki dovrebbero dirvi qualcosa. E questa caratteristica è rintracciabile tanto nel panorama cinematografico tanto in quello televisivo.

In Europa, invece, la situazione è decisamente diversa: i Budget che l’animazione (e i film in generale) hanno sono decisamente opposti ai 150 milioni di dollari medi. Ma, al contrario, la libertà creativa è massima, per spirito o per necessità.

Cartoon Brew, noto sito americano specializzato in cinema d’animazione, ha di recente partecipato all’Anima Festival di Bruxelles, uno degli eventi dedicati all’animazione più famosi del Belgio. Svoltosi dal 24 febbraio al 5 marzo, fra i tanti ospiti quattro hanno destato la curiosità del sito: i registi francesi Arthur de Pins (Zombillenium) e Benjamin Renner (Ernest & Celestine, The Big Bad Fox), e gli italianissimi Ivan Cappiello e Carlo Stella (L’Arte della Felicità, Gatta Cenerentola). Creatori di diversissime storie animate, sono tutti accomunati da una singola equazione che dà titolo a queste parole.

Arthur de Pins è stato in grado di trasformare il suo fumetto in un meraviglioso e omonimo lungometraggio, Zombillenium, con soli 13 milioni di euro, portando sul grande schermo i suoi eccentrici personaggi e il particolare parco divertimenti che ne fa da contorno con lo stesso stile che li vede protagonisti nella sua Grapich Novel. Chiave di tutto è stato l’utilizzo di una tecnica mista: un 3D che si è divertito a simulare con tecniche stereoscopiche l’acclamato e scomparso 2D. Il risultato è stato una commedia per famiglie con una doppia chiave di lettura.

Benjamin Renner, invece, nonostante il successo internazionale di Ernest & Celestine (nel 2014 è stato candidato come Miglior Film d’Animazione agli Oscar) è stato munito di appena 2,5 milioni di euro per creare un film in animazione tradizionale che, inizialmente, era stato concepito come uno speciale televisivo: The Big Bad Fox. Anche questo è stato tratto da una Grapich Novel.

Infine, con solo 1,3 milioni di Euro, la MAD Entertainment (e dunque i già citati Ivan Cappiello e Carlo Stella), dopo il successo de L’Arte della Felicità (maldistribuito in Italia) stanno realizzando e pubblicizzando ormai da un anno Gatta Cenerentola, un nuovo film d’animazione dai toni forti e decisamente adulti, opposti ai film precedenti citati. La storia è un adattamento dello spettacolo teatrale di Roberto De Simone a sua volta ispirato da un racconto di Giambattista Basile contenuto ne Lo Cunto de li Cunti (ricordate Il Racconto dei Racconti di Matteo Garrone?).

https://www.youtube.com/watch?v=l2sS6nZCHc4

In poche parole, partendo dalla produzione nostrana, possiamo affermare che questi artisti sono costretti a realizzare un film di circa 90 minuti con l’1% del budget di un qualsiasi film d’animazione americano.

Ma… come riuscire in questa sfida?

In primo luogo per superare questa difficoltà è essenziale partire dalla storia, spiegano i due registi italiani. E’ chiaro che bisogna evitare di creare situazioni complicate da realizzare e dunque dispendiose.  Soprattutto se non si è rapidi nel disegno come invece ha affermato di essere Benjamin Renner. I personaggi che quest’ultimo ha portato sul grande schermo non necessitavano di particolari movimenti o ambientazioni, come potrete giudicare da soli, ma solo di una fortissima mimica.

Non sono orgoglioso di questo ma c’è una grande scena di, forse, quaranta secondi dove il personaggio è nascosto in uno scatolo di cartone. Io ho solo disegnato gli occhi che spuntano dall’interno e l’ho fatto muovere sullo schermo. Non c’è animazione e non c’è uno sfondo. Eppure nonostante le numerose prove precedenti… la scena così ha funzionato e risulta davvero comica.

Dunque per il regista francese vige la regola del poco sforzo con massima resa.

De Pins, invece, partendo dal proprio stile, ha fatto notare come in Europa esitano altri numerosissimi film animati con questo stesso problema economico e come abbiamo trovato tutti modi differenti di uscirne, da La Tartaruga Rossa di Michaël Dudok de Wit (quest’anno protagonista degli Oscar) a April and the Extraordinary World, Song of the Sea (candidato lo scorso anno all’ambita statuina) o Long Way North.

Non abbiamo scelta, dobbiamo essere creativi.

Ed è per questo motivo che MAD Entertainment, per esempio, ha deciso di utilizzare Blender, un software open source per fare animazione tridimensionale facilmente reperibile e noto agli addetti ai lavori del settore, con un’idea avuta da Alessandro Rak, uno dei registi dello studio: l’uso della Motion Capture. In questo modo i soli 15 artisti italiani che lavorano nello studio di Napoli sono stati in grado di unire in un’unica fase (anche se non per tutte le sequenze) quelle di layout, blocking, storyboarding e regia.

In Zombillenium, invece, per rendere meno costose le numerose scene “di massa” si è unito agevolmente il 2D con il 3D (essendo già presente nella resa finale almeno a livello visivo), evitando di dover creare centinaia di personaggi fotogramma dopo fotogramma

In The Big Bad Fox, invece, per ammortizzare i costi si è optato per il riutilizzo degli storyboard realizzati in fase di produzione.

Questo rapporto umano che si viene a creare fra regista e animatore, spesso in contesti ridotti come accade per la MAD Entertainment, ha permesso di far capire non solo al direttore ma anche ai singoli animatori come un personaggio possa essere oltre che come muoversi, spiega Cuppiello, spesso arrivando a modificare nel corso della realizzazione del film la storia o addirittura il finale attraverso un continuo brainstorming.

In questi studi, al contrario di ciò che avviene oltreoceano, tutti conoscono tutti.

Nonostante tale bravura e i grandi risultati, esser finanziati risulta però sempre la parte peggiore dell’intera realizzazione del film: spesso l’opera non rende indietro il denaro investito e ancora con meno probabilità incasserà più di quanto impiegato per essere realizzata.

Chi potrebbe investire in queste realizzazioni non vuole arte ma guadagni, non vuole gloria ma tangibili ritorni. Non sono interessati a riconoscimenti artistici ma a crescite in borsa.

Eppure non è questo ciò che queste quattro figure ricercano.

Renner spiega che il suo scopo non è quello di realizzare film perfetti “come potrebbe accadere all’interno dei Pixar Animation Studios”, in un contesto (per quanto meraviglioso fra concorsi a tema tra animatori e monopattini per girare i corridoi) sempre più industriale.
Il suo obiettivo è quello di mostrare al pubblico, qualunque esso sia, qualcosa che non è abituato o non può vedere tutti i giorni. Quel qualcosa che probabilmente oggi si ritrova più in serie concepite per la televisione (che spesso perdono di credibilità proprio per la piattaforma dove saranno distribuite) che non per il cinema.

È qui che eventi come Anima Festival, Annecy o Cartoon Movie diventano essenziali per la ricerca tanto di un pubblico quanto di investitori. Per pochi attimi, in questi contesti, i registi si trasformano in esperti presentatori con l’obiettivo di stupire e meravigliare con meravigliosi pitch.

Il passo successivo è poi l’approdo delle produzioni animate in festival maggiormente riconosciuti come quello di Berlino o Venezia, spiegano Stella e Renner.

Questi passaggi diventano un modo, un rito, per passare dagli appassionati all’industria che negli ultimi anni ha fatto più volte orecchie da mercante.

Questa mancata voglia di sperimentare (non solo nell’animazione ma anche nell’investire su idee nuove, originali o che non facessero parte di una qualche corrente in voga ad Hollywood) ha fatto progressivamente perdere un grande mondo in grado di comunicare forti e diverse emozioni in moti perpetui di produzioni ben lontani dalla voglia di creare qualcosa di nuovo, mai visto, fuori ogni legge e ogni logica. Lo spettatore si è impigrito e, come netta conseguenza, un’arte come l’animazione che in 2D, 3D o in tecniche miste è stata da sempre in grado di far viaggiare la mente umana solo con la creatività è stata distrutta.

Eppure, lontano da un luogo dove le ricchezze sembrano uscire da ogni dove e affascinare i molti, qualcuno che prova ad andare oltre (non troppo lontano da noi) esiste. E il coraggio e la curiosità vanno sempre premiati, soprattutto quando il risultato delle produzioni che ne scaturiscono sono di qualità come i tre film che probabilmente avrete scoperto con queste righe.

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