Peter Jackson si è montato la testa?

E’ un regista che abbiamo amato e difeso strenuamente, ma ultimamente ha compiuto qualche passo falso. Vediamo se si tratta dei primi segnali di una crisi o soltanto di qualche errore di poco conto. Sperando che non finisca come certo autori degli anni settanta…

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E’ difficile criticare un regista che solo due anni fa faceva incetta di Oscar, incassando peraltro qualche soldino con quella trilogia sugli anelli di cui tanto abbiamo parlato e decisamente apprezzato. Forse è anche prematuro fare un discorso del genere, perché molti progetti previsti per il futuro sembrano molto interessanti. Eppure, ci sono alcuni indizi che fanno temere per il nostro ciccionazzo preferito una deriva pericolosa. Che potrebbe, se non arginata in tempo, avere degli effetti simili a quelli riscontrati in diversi registi di successo degli anni settanta.

Un po’ di storia. Dopo la vittoria agli Academy Awards, Peter Jackson riceve un altro riconoscimento prestigioso, anche se meno tangibile. Infatti, nella primavera del 2005, la rivista americana Premiere lo inserisce al primo posto nella sua power list annuale, in cui vengono elencate le cento personalità più importanti (e potenti) di Hollywood. E’ un’opinione francamente discutibile (Peter Jackson non è certo proprietario di una major, come era Spielberg all’epoca, né ha il controllo della serie che gli ha dato fama e ricchezza, come George Lucas), ma è abbastanza indicativa del clima che si respirava all’epoca: questo regista non può fallire, è il nuovo Re Mida e via delirando. Per carità, non è colpa di Jackson se il mondo è pieno di ruffiani e d’altra parte si è faticosamente meritato i tanti complimenti ricevuti, ma è difficile non montarsi la testa in questo clima.

In effetti, il film successivo di Jackson, King Kong, mostrava diversi segni di autoindulgenza e un pizzico di presunzione. Perché, se si prende un b-movie che in originale dura poco più di un’ora e mezzo e lo si raddoppia di durata, con scene infinite e praticamente nessun lavoro per tagliare al montaggio, qualche problema c’è. E se si punta così tanto all’aspetto autoriale da ripetere decine di volte lo stesso concetto (il rapporto sempre più stretto tra la bella e la bestia), rendendolo molto più esplicito che nella pellicola del 1933 (difetto che hanno molti remake moderni, come se rendere una cosa più evidente la rendesse più coraggiosa e non il contrario), è difficile non constatare un po’ di megalomania.
Per carità, King Kong contiene delle scene magnifiche e non è certo un crollo artistico come alcuni prodotti recenti di Spielberg o Lucas. Ma avrebbe potuto essere un film straordinario e non lo è stato. Quel che è peggio per Jackson, la sua fama di gallina dalle uova d’oro subisce un duro colpo, visto che i 549 milioni di dollari di incasso nel mondo sono stati un buon affare per lui (e per le sue socie), decisamente meno per la Universal, che ha dovuto sborsare più di 200 milioni di budget e ricche percentuali sui profitti.
Tuttavia, i progetti futuri di dirigere Amabili resti (considerando il budget decisamente irrisorio) e probabilmente Lo Hobbit (che non potrebbe fallire neanche fosse il film più brutto del mondo), dovrebbero riportarlo sulla giusta strada.

Ma forse il punto più critico sono i film che sta producendo e che vengono affidati a registi esordienti. C’era un tempo in cui i neofiti (anche se erano grandi stelle del cinema come Robert Redford o Mel Gibson) incominciavano il loro percorso con dei film semplici e a basso budget. Ora, sembra che la prudenza sia morta. Già un progetto come Dambusters (di cui vi avevamo parlato qui) mi lasciava perplesso, visto il budget non indifferente (50 milioni previsti), un soggetto non proprio commercialissimo (considerando che la nuova pellicola di Clint Eastwood, Flags of Our Fathers, faticherà a raggiungere i 40 milioni di dollari negli Stati Uniti) e l’idea di affidare tutto a un suo collaboratore poco esperto come Christian Rivers (bravissimo in altri campi, ma regista solo di seconde unità finora).

Ma quello che mi ha lasciato veramente sconvolto è l’affaire Halo (se non avete seguito, rinfrescatevi la memoria qui).
Per capire bene la questione, vediamo quanto ha incassato Tomb Raider, il maggiore successo della storia per un adattamento di videogame: 274 milioni di dollari nel mondo. E stiamo parlando di un connubio tra un personaggio popolarissimo (conosciuto anche dai non appassionati) e un’attrice celebre come Angelina Jolie. Ora, a me sembrava già folle (se non per l’interesse a lavorare comunque con PJ) che due studios come Fox e Universal avessero accettato (prima di ritirarsi) di investire 135 milioni di dollari in un progetto che, a meno di exploit eccezionali, avrebbe faticato a farne 200. Ma l’idea di affidare un budget del genere ad un neofita (anche se di indubbio talento) come Neill Blomkamp mi sembra francamente un azzardo delirante. Ora la produzione è stata sospesa, ma cosa sarebbe successo se tutto fosse andato avanti? Non è difficile ipotizzare che l’inesperienza di Blomkamp avrebbe potuto portare a ritardi nelle riprese e a conseguenti sforamenti di budget (lo stesso discorso vale ovviamente per Rivers e Dambusters). Paradossalmente, forse è stata una fortuna per Jackson questo sospensione, perché non è difficile capire a chi sarebbe stato addossata la colpa di un eventuale flop.

E di Temeraire (saga che potrebbe anche essere diretta da PJ, oltre che sicuramente prodotta) vogliamo parlare? Per carità, l’idea sembra interessante, ma tra draghi e ricostruzione del periodo napoleonico non è difficile pensare ad un budget sopra i 100 milioni. E dopo i vari Il Signore degli Anelli, Harry Potter, Le Cronache di Narnia, Eragon e Queste oscure materie, siamo proprio sicuri che il pubblico avrà ancora fame di fantasy (peraltro di un’opera che ha una base di lettori decisamente inferiore a quella dei romanzi sopra citati)?

Aggiungiamo anche che una delle cose più fastidiose di Hollywood e Co. è vedere come certi potenti (Besson e Spielberg in primis) vengono accreditati per decine di progetti all’anno, dei quali magari avranno letto sì e no la sceneggiatura (speriamo che Jackson non voglia seguire lo stesso cammino).

Insomma, Peter Jackson è uno dei più grandi registi in circolazione al momento. Ma non vorrei che, per portare avanti due o tre progetti molto rischiosi (ora che se lo può permettere), debba rinunciare alla possibilità di lavorare in futuro con decine di altri talenti, per progetti magari più piccoli ma non per questo meno interessanti. Sperando ovviamente di sbagliarmi e di ridere di fronte a queste fosche previsioni quando le rileggerò tra qualche anno…

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