Perché Taron e la Pentola Magica è stato un flop?
Da insuccesso commerciale a cult: perché Taron e la Pentola Magica fu bocciato dal pubblico?
Guerrieri, tiranni e mistici artefatti
Nel fantasy, niente è più affascinante della malvagità associata a un diabolico artefatto. Al cinema, nella letteratura e nei giochi di ruolo è buona norma agganciare magie peculiari a oggetti inanimati, mescolando l’antica pratica del collezionismo alla nobile arte degli incantesimi. Che si tratti dell’Anello del Potere o di una pentola magica, è indubbio che il fascino evocativo di un artefatto oscuro assume un’importanza spirituale, simbolica e pratica ben più alta del suo valore intrinseco. “E’ buffo, dobbiamo provare tanti timori e dubbi per una cosa così piccola” sentenziava sommessamente Boromir, tentato dal possesso dell’Unico Anello. E che dire degli Horcrux, nei quali Lord Voldemort ha magicamente intrappolato parti della propria anima? Spesso, l’immortalità, il ritorno o lo strapotere di un Signore Oscuro sono legati a iconici artefatti ritenuti perduti, tanto nel tempo quanto nell’epos.
Tra Storia che diviene leggenda e leggenda che diviene mito, è spesso attraverso questi oggetti che i malvagi veicolano la propria vendetta, ed è anche per questo che la sconfitta delle forze del male passa per la distruzione dei loro diabolici artifici. Che siano ritenuti morti o svaniti nel nulla, i signori delle tenebre usano spesso la dilatazione temporale a proprio favore: finire nel dimenticatoio garantisce loro un tempo sufficiente a preparare un ritorno inaspettato, al quale nessuno potrà opporsi con forze adeguate. Spesso, i leggendari signori del male del passato divengono oggetto di attenzione del malvagio di turno, desideroso di rievocarli per servirsi di un potere ben più antico delle proprie bieche ambizioni. Che si tratti di riportare in vita la Mummia o di risvegliare antichi dei, lo scopo dei piani dei villain è spesso una distruzione rigeneratrice, pronta a fare spazio a un nuovo potere sulle macerie del vecchio mondo ("Un nuovo potere sta sorgendo!" esclama Saruman arringando il suo esercito di Uruk-hai). Per un signore del male, la qualifica di “Oscuro” indica sia l’appartenenza alla schiera dei malvagi che una misteriosa o sconosciuta natura. Ciò che ci è oscuro ci spaventa: è per questo che al demone con deliri di onnipotenza si contrappone spesso la figura risolutiva del mago, portatore sano di conoscenza e di virtù. Non è un caso che nei libri dai quali è tratto Taron e la Pentola Magica (Il Calderone Nero e Il Libro dei Tre), il buon Dalben sia anche un potente mago mentre nel film il personaggio è relegato al ruolo di semplice fattore. E' una scelta coraggiosa ma coerente: l’asse portante del lungometraggio Disney è il coraggio del buon contadino, non la magia del vecchio saggio. Il villain, invece, è un gustoso e riuscito mix di potere magico, peso politico e aspetto mortuario. Se un essere dai poteri oscuri è contemporaneamente un sovrano, la problematica che pone è duplice: un malvagio da sconfiggere e un regime da rovesciare. E il Re Cornelius è un sovrano poco illuminato di nome e di fatto: è sia crudele che inquadrato spesso in penombra. Mentre nei libri il personaggio dell’Horned King è un umano che indossa una maschera da teschio e un elmo con due vistose corna, nel film appare come un lich, una sorta di non morto dall’aspetto scheletrico. E visto che Re cornuto suona male, viene opportunamente tradotto con il compromesso di Re Cornelius. Ben prima che Dumbledore divenisse Silente, anche ai nomi degli eroi del film Disney vennero applicate opportune modifiche, sia cosmetiche che sostanziali: se Taran divenne Taron e Eilonwy divenne Ailin, Flewffur Flam venne invece trasposto nell’onomatopeico Sospirello.
Dalla fiaba romantica all’epopea gotica, in un battito d'ali
Oltre al design e alle sfumature macabre della storia, a dare al film Disney un tono smaccatamente fantasy e dark è la colonna sonora di Elmer Bernstein, che dopo i gloriosi trascorsi nel western (da I Magnifici Sette a Il Grinta) aveva lavorato a titoli come Ghostbusters e Un Lupo Mannaro Americano a Londra, creando un riuscitissimo mix di partiture sia ironiche che spaventose. E’ un bel salto, per la major dei musical animati: non solo le avventure di Taron non sono intervallate da nessuna canzone, ma si accompagnano a melodie molto più gotiche e sperimentali di quanto i classici Disney non avessero osato proporre in precedenza. Ci aveva invece pensato con successo Don Bluth, che nel 1982 aveva partorito Brisby e il Segreto di NIHM, intriso di atmosfere inquietanti e di sequenze macabre (dalla tana del Gran Gufo al misterioso cespuglio dei rovi). Un anno dopo, mescolando sapientemente avventura e fiaba gotica a tinte horror, Bluth aveva lanciato sul mercato videoludico l’innovativo Dragon’s Lair: un’avventura grafica, distribuita su laserdisc, infarcita di richiami cavallereschi, fiabeschi e orrorifici. Protagonista era il cavaliere Dirk, destinato a salvare la principessa Daphne da un drago malvagio. Bluth aveva in precedenza abbandonato la Disney, sostenendo che la major avesse “perso la propria magia” e avesse smesso di sperimentare atmosfere, tratti e toni narrativi per i quali c’era invece spazio creativo e potenziale pubblico. Il successo di Brisby e il Segreto di NIHM, scartato dalla Disney e prodotto dallo studio indipendente di Bluth, fu una scommessa vinta grazie a una sinergia di talento, pazienza e ambizione.
Nel 1985 l’immagine dell'animazione Disney è ancora legata alla celebrazione del meraviglioso e del fiabesco in chiave magica, non goticaTuttavia, nel 1985 l’immagine dell'animazione Disney è ancora legata alla celebrazione del meraviglioso e del fiabesco in chiave magica, non gotica. Le incursioni dark nei Classici, dalla sequenza di Una Notte sul Monte Calvo di Fantasia alle scene più inquietanti de La Bella Addormentata nel Bosco (con in primis la sequenza nella quale Aurora sale le scale ipnotizzata), sono relegate a singoli momenti, rigorosamente brevi, in cartoni che presentano un tono generale di musicalità, romanticismo e umorismo. E’ un altro bel salto, quello di Taron, che non canta come Aurora, non è ingenuo come Semola né innamorato come Robin Hood. Negli anni precedenti, la Disney si è buttata su un ciclo di Classici incentrati sugli animali parlanti: sono usciti uno dopo l’altro Il Libro della Giungla, Gli Aristogatti, Robin Hood, Winnie the Pooh, Le Avventure di Bianca e Bernie e Red e Toby Nemiciamici. Dal 1981 al 1985, mentre escono gli innovativi lavori di Don Bluth, la serie dei Classici Disney si prende invece una pausa, in preparazione di qualcosa di nuovo. Taron avrà infatti una cifra stilistica differente, smaccatamente gotica e orgogliosamente dark. Niente canzoni o animali parlanti, ma un fiume di elementi iconici delle fiabe, di rimandi a topoi della letteratura fantastica e di personaggi all’occorrenza simpatici e spaventosi. Soprattutto, appaiono quei contrasti tipici del fantasy, che raffigura il Bene e il Male rispettivamente con grazia e mostruosità. Gli eroi di Taron e la Pentola Magica sono iconograficamente rappresentativi: l’eroe è giovane e coraggioso, l’eroina è altrettanto giovane e aggraziata, i comprimari benevoli sono rispettivamente goffi come Sospirello o buffi come la piccola creatura Gurghi.
Le forze del male sono invece mostruose e orrendamente deformi: dal villain al suo sciocco servitore fino alla marmaglia che li circonda, gli antagonisti del venticinquesimo classico Disney hanno le spaventose fattezze dell’immaginario fanta-horror. E’ un ulteriore salto in lungo, per la major delle regine che si chiedevano chi fosse la più bella del reame. E c’è già stato un villain con due vistose corna: Malefica, bella e carismatica, era un traguardo arduo da superare. Colto di sorpresa da un cambio di rotta radicale e macroscopico, dopo un fortunato ciclo di titoli stilisticamente omogenei, il pubblico di Taron e la Pentola Magica ha reagito con stupore, spesso storcendo il naso. Le avventure del giovane eroe si sono guadagnate un folto seguito e un appassionato fandom solamente anni più tardi, sia grazie al mercato home video che alla loro riscoperta in Rete da parte di un pubblico più avvezzo alle atmosfere gotiche. Non a caso, negli Stati Uniti è tornato brevemente in sala nel corso del 2015, a trent’anni dalla sua uscita.
Anni di fantasticherie, tra successi e tonfi
Il 1985 è un momento di indubbia transizione. L’economia tira e al cinema trionfano gli action movie, le saghe spaziali e i titoli di fantascienza e avventura. Mentre Ronald Reagan cita Marty e Doc nei discorsi alla Nazione, parlando di un'America proiettata verso un futuro nel quale "non servono strade", Ridley Scott propone al pubblico l'immaginifico e sfortunato Legend con Tom Cruise. Caso vuole che nello stesso anno di Taron, nel live-action di Scott faccia la sua comparsa proprio un Signore Oscuro con due vistosissime corna, magistralmente interpretato da un irriconoscibile Tim Curry. La celebrazione del fantastico, nel mondo dei live-action, ondeggia tra trionfi di pubblico e accoglienze tiepide: l'anno di Ritorno al Futuro si conclude sia incoronando Zemeckis che incornando nell'arena del box office i signori oscuri di Disney e Scott.
Nonostante le difficoltà in casa Disney, negli anni '80 il variopinto mondo dei cartoni è in carreggiata, ma è ancora considerato un genere tendenzialmente isolato dal resto. E una parte importante della scena mainstream, con Disney in testa, è ancora schiacciata su espedienti narrativi abbastanza standard, tra i quali spiccano musicalità e umorismo. Tre anni dopo, sarà proprio Zemeckis a ironizzare sull'apparente bidimensionalità di eroi e caratteristi dell'animazione, affollando il suo Chi Ha Incastrato Roger Rabbit di cartoni nevrotici, in crisi di identità e in preda a disturbi di natura ossessivo-compulsiva. Taron e la Pentola Magica ha sparigliato le carte proprio perché ha osato uscire dal recinto degli ingredienti ricorrenti proponendosi, allo stesso tempo, come un “Classico” con la C maiuscola. In passato, tuttavia, si erano già visti alcuni segnali dei rischi di evadere dai canoni più tradizionali. Sette anni prima di Taron, un vistoso assalto allo strapotere disneyano era stato Il Signore degli Anelli di Ralph Bakshi. L'ambizioso progetto di trasporre l’epopea di Tolkien in due lungometraggi di animazione si era interrotto sotto il peso dei mancati introiti: dopo gli scarsi incassi del primo film, il secondo capitolo non venne mai realizzato.
Taron e la Pentola Magica, per quanto diverso dalla cifra stilistica di Bakshi, ne richiama più di un elemento narrativo. Tutto ha inizio, difatti, con un prologo che introduce gli spettatori a una cosmogonia ampia. Come nell’antefatto narrato da Bakshi (formula ripetuta, molti anni dopo, anche da Peter Jackson) anziché rievocare un passato glorioso si narra una storia di malvagità. Se La Spada nella Roccia esordiva con “Si narra che un dì l’Inghilterra fiorì di audaci cavalier”, l’incipit di Taron è il ricordo lontano di un oscuro passato: “Vi era un Re così crudele che perfino gli dei lo temevano. Poiché non esisteva prigione dove potesse essere tenuto rinchiuso, venne buttato vivo in un crogiolo pieno di ferro fuso. Ma la sua anima malefica non morì, e prese la forma di una grossa pentola magica”. E’ un ennesimo salto in avanti rispetto al “C’era una volta” di ordinanza. Narrato in originale da John Houston, il prologo è anche un escamotage narrativo tipico del fantasy. Da un lato, introduce lo spettatore più spigliato a una vicenda “in medias res”, dall’altro fornisce a quello meno esperto una cornice di riferimento di un mondo che, anche visivamente, è molto tipico e caratterizzato. La Disney è attentissima al brand, e dunque all’idea di se stessa: per immergere improvvisamente il grande pubblico in un universo alla Dungeons & Dragons, alla major avrebbe giovato una transizione più dolce e progressiva. Invece di proporre un crescendo di cambi di rotta sul piano stilistico e concettuale, Disney diede in pasto al mercato un prodotto dalle improvvise caratteristiche inusuali. Anche lo spettatore meno esperto è in grado di percepire un brusco dirottamento delle proprie aspettative, costruite in anni di fedeltà al marchio e ai suoi titoli di punta: una parte importante del pubblico di Taron entrò nelle sale impreparata e ne uscì frastornata. Un nucleo ristretto di spettatori, molto legati al genere, ne fu invece assolutamente entusiasta. Ma la legge dei grandi numeri è crudele, e la settima arte si regge sul disturbo bipolare tra arte e industria.
Ai figli di molti di coloro che nel 1985 storsero il naso davanti al venticinquesimo Classico Disney viene oggi proposto con successo Il Trono di SpadeOggi, i miliardi dollari che draghi, eroi, eserciti e signori oscuri hanno portato al box office dipingono un pubblico non solo più ampio, ma anche anagraficamente più trasversale di quanto non fossero gli spettatori degli anni ‘80. Non solo le saghe fantasy hanno conquistato l’attenzione delle major, ma ai figli di molti di coloro che nel 1985 storsero il naso davanti al venticinquesimo Classico Disney viene oggi proposto con successo Il Trono di Spade. E’ ovvio che l’epopea degli Stark e dei Lannister è completamente diversa dall’idea disneyana alla base di Taron, ma è anche vero che nelle ultime tre decadi i confini dei generi si sono progressivamente aperti. Da un lato il fantasy è sempre più influenzato dall'esterno, a partire dall'eros e dall'horror. Dall'altro, anche l'animazione non è più impermeabile alle contaminazioni di genere, potendo permettersi di pescare e rielaborare elementi che vanno dall’action al noir. Di fatto, Taron e la Pentola Magica ha vinto la sua scommessa. Con un elegante ritardo di trent’anni.