Perché su Netflix l’horror va così male?

Pochissimi originali e spesso di scarsa qualità: perché in streaming il genere non va?

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Qualche giorno fa Netflix ha rilasciato tramite Bloomberg la lista dei suoi originali più visti di sempre – che non è esattamente quello che sembra visto che comprende tutti i film visualizzati per almeno due minuti nelle prime quattro settimane di programmazione e dunque non tiene conto degli abbandoni quasi immediati (due minuti di un film non sono nulla, mai) né della possibilità che certi film prendano velocità sul lungo periodo (pensate a quelli che sono stati rilanciati in periodo Oscar tipo Storia di un matrimonio). La lista è comunque interessante da spulciare pur con tutti i caveat del caso, e va così:
  1. Extraction

  2. Bird Box

  3. Spenser Confidential

  4. 6 Underground

  5. Murder Mystery

  6. The Irishman

  7. Triple Frontier

  8. The Wrong Missy

  9. The Platform

  10. The Perfect Date

È una lista dominata da grandi nomi da botteghino (Chris Hemsworth, Sandra Bullock, Mark Wahlberg, anche Adam Sandler e Jennifer Aniston per quanto ci piaccia far finta di no) con qualche momento di cinefilia e autorialità (The Irishman), ed è anche una lista dominata dall’action e dalla commedia, nella quale Il Buco spicca come un’anomalia spiegabile forse con il fatto che è uscito in pieno lockdown.

Quello che manca, a meno di non voler allargare generosamente la definizione per includere Bird Box, è l’horror, un genere che a prima vista potrebbe sembrare perfetto per lo streaming e il Netflix&chill e che invece è quasi completamente assente dalla classifica degli originali Netflix più visti e poco presente in generale nella produzione della piattaforma di Reed Hastings. Tra film e serie TV, gli originali Netflix (torneremo su questa definizione) coprono più o meno tutto lo spettro; certo, action, commedia (romantica o meno) e drammoni fanno la parte del leone, ma non c’è genere che non sia stato affrontato almeno una volta, eppure l’horror è uno dei meno rappresentati insieme al western, nonostante continui ad avere un successo più che discreto sia in sala sia sul mercato dell’home video. Perché le cose stanno così, e Netflix punta così poco su un genere che negli ultimi anni sta ricevendo rinnovata attenzione persino nei circoli che contano (si veda l’Oscar a Scappa - Get Out, per esempio)? Proviamo a fare delle ipotesi.

Il genere non interessa più?

Ipotesi già smentita dalla frase in chiusura del paragrafo precedente: anche grazie all’entrata in scena di una serie di registi e registe che hanno riportato in auge l’idea di autorialità applicata all’horror (Peele, Aster, Eggers, Kent), l’horror sta vivendo un periodo d’oro a livello critico come non si vedeva forse dai tempi dell’Esorcista di Friedkin. C’è poi da dire che l’horror, forse più di ogni altro genere a eccezione della commedia, non è mai davvero sparito dai radar, non è mai passato di moda e probabilmente non lo farà mai per un milione di motivi che meriterebbero un approfondimento a parte: pensare che possa essere crollato nei favori del pubblico in un periodo in cui viviamo costantemente immersi in un orrore dopo l’altro è un po’ ingenuo.

Il genere è troppo costoso e difficilissimo da girare?

Sapete perché 6 Underground è stato accolto come un miracolo produttivo, o perché mediamente la fantascienza su Netflix non ha nulla a che vedere con l’approccio Star Wars alla messa in scena? Perché le produzioni originali Netflix (ancora, ci torniamo) lavorano quasi sempre con budget medio-bassi (ci sono delle eccezioni, vedi il recentemente annunciato film dei Fratelli Russo con Ryan Gosling e Chris Evans), cioè quella, diciamo così, fascia di prezzo nella quale l’horror sguazza da sempre. Prendete Breaking Bad, per la quale AMC sborsava 3 milioni di dollari in media a episodio, e prendete El Camino, il film su Breaking Bad, che ne è costati poco più di 6: è un singolo esempio, ma illustra bene la differenza tra una piattaforma che investe tanto e una che cerca di ottimizzare i costi il più possibile. Inoltre, c’è la considerazione che per chi fa horror la mancanza di budget non è quasi mai un limite ma una sfida da superare con artigianato e creatività: trovateci un regista che dice “se avessi avuto più soldi avrei fatto un horror migliore” e noi vi troveremo una persona che mente.

Non ci sono bravi registi horror in circolazione?

Ancora una volta, ipotesi smentita già nei paragrafi precedenti: l’horror contemporaneo è popolato di talenti, e pure più trasversali e al confine con altri generi di quanto non lo fossero, per esempio, negli anni Novanta/primi Duemila del post-Scream. Aggiungeteci che l’horror sta conoscendo una nuova vita nel senso che sempre più spesso la sua grammatica e i suoi trope vengono appropriati da gente che non ha alcuna intenzione di fare horror e che si appoggia al genere per raccontare tutt’altro (Bird Box di Susanne Bier è un ottimo esempio di quanto appena detto), il che moltiplica a dismisura la quantità di persone di talento che hanno a che fare con il genere in un modo o nell’altro. Se c’è mai stato un periodo storico ideale per costruirsi una factory di talenti e sfornare horror dopo horror sono proprio questi ultimi anni.

La Blumhouse esiste già?

E qui arriviamo a quella che secondo noi è la vera risposta alla domanda iniziale: Netflix non ha spazio di manovra in un genere fortemente accentrato verso altre produzioni e distribuzioni, le quali a loro volta non vogliono avere a che fare con il modello distributivo di Netflix perché ancora molto legate all’esperienza della sala. Citiamo Blumhouse perché una buona fetta degli horror usciti negli ultimi anni è in qualche modo collegata a Jason Blum e alla sua filosofia, e perché è l’esempio perfetto del motivo per cui Netflix non riesce a sgomitare tra gli appassionati. Jason Blum è un genio produttivo che ha messo in piedi un’operazione basata su pochi, semplici principi: budget bassi, poche location, poche comparse, controllo creativo lasciato completamente in mano alla squadra autoriale (dettaglio importantissimo), e la consapevolezza che il pubblico horror è composto da gente che ama spendere per il genere, e che dunque girare un film per portarlo immediatamente in VOD o su supporto fisico senza passare dalla sala è una scelta vincente e non una condanna a morte.

Dal canto suo Netflix funziona così: i suoi originali non sono prodotti direttamente dalla piattaforma, che preferisce appoggiarsi al lavoro altrui a) finanziandolo durante tutto il processo creativo oppure b) aspettando che il processo creativo sia finito e poi comparire con i soldi e acquisire i diritti esclusivi di distribuzione (sì, anche in questo secondo caso si parla di “originali Netflix”). Questo significa che un ideale “horror di Netflix” deve necessariamente nascere altrove per poi sbarcare sulla piattaforma; e quell’altrove oggi è una nicchia monopolizzata prima di tutto da Blumhouse (o da Blumhouse in collaborazione con una major, come successo per esempio con Us - Noi di Jordan Peele) e in second’ordine da altre compagnie indipendenti tipo A24 (che negli ultimi anni ha prodotto e/o distribuito The Witch, Hereditary, Green Room, It Comes At Night, Midsommar...). E chi si muove in quell’altrove non ha alcuna intenzione di rinunciare a una parte della propria libertà creativa in cambio di un po’ di spazio su una piattaforma sulla quale non c’è neanche la sicurezza di venire promossi a dovere.

Succede quindi che chi fa horror, che sia famoso e affermato o che sia una giovane promessa in parabola ascendente, preferisca rivolgersi altrove quando ha un’idea e vuole i soldi per svilupparla; o che in alternativa scelga di non rivolgersi da nessuna parte e di portare avanti un discorso di indipendenza più o meno totale – prendete due come Aaron Moorhead e Justin Benson, per esempio, registi dei magnifici The Endless e Synchronic che da anni resistono alle tentazioni di un budget più alto per continuare a fare horror il più indipendenti possibile. Attaccarsi a Netflix per girare un horror è ancora oggi visto come una sorta di castrazione, un modo per sacrificare la propria libertà autoriale sull’altare della facilità di distribuzione, e visto che le alternative ci sono e funzionano bene non c’è motivo per accontentarsi; guardate per esempio Gareth Evans, uno dei pochissimi nomi di qualità che ha provato a lavorare con Netflix in Apostolo e che ha immediatamente cambiato idea e si è rivolto a Sky per Gangs of London.

Un’ultima considerazione visto che già vediamo non poche obiezioni: certo, persino Blumhouse ha lavorato con Netflix più di una volta –per i pessimi Cam, Benji e Family Blood per esempio, e soprattutto per Hush di Mike Flanagan, che è poi il nome di punta della scuderia horror di Netflix sia perché è molto bravo sia perché è l’unico (dopo Hush ha diretto Il gioco di Gerald e Doctor Sleep, oltre alla serie The Haunting of Hill House). Ci sentiamo di affermare che si tratta di eccezioni più che di esempi che contraddicono quanto abbiamo detto finora, e che la mediamente infima qualità di queste eccezioni non è certo un incentivo a spostarsi in massa a casa Hastings. Netflix è tante cose, quasi tutti belle, ma al momento non ci sono le condizioni perché diventi anche la nuova casa dell’horror moderno.

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