Perché Starship Troopers non fu capito?
Starship Troopers di Paul Verhoeven è una feroce satira antimilitarista che però non strizza mai l’occhio al pubblico, lasciandolo spesso disorientato
La storia del cinema è costellata di ingiustizie, ma poche sono dolorose quanto il fatto che Starship Troopers di Paul Verhoeven sia stato un mezzo flop e considerato per anni quello che non era, cioè un’opera di esaltazione del militarismo e dell’autoritarismo, con una certa propensione per fascismo e nazismo. Quale periodo migliore per riconsiderarlo e farlo tornare in auge che questi anni di polarizzazione costante e di incapacità collettiva di cogliere le sfumature e i toni di grigio in un discorso?
Verhoven ha sempre odiato il romanzo di Heinlein, al punto da non essere riuscito a leggerlo tutto – la storia gliela raccontò Ed Neumeier, lo sceneggiatore del film. E nel 1997 aveva già ampiamente dimostrato quale fosse la cifra stilistica della sua nuova avventura americana: il trolling verso l’America. Fate due più due e capirete perché Starship Troopers fu per Verhoeven l’occasione di proseguire sulla strada della decostruzione dell’immaginario americano a forza di sfottò; il problema, che problema non dovrebbe essere ma che si trasformò in tale una volta che il film arrivò in sala, è che rispetto alle satire precedenti di Verhoeven Starship Troopers fa un passo ulteriore.
In Starship Troopers l’elemento estraneo e di contrasto è completamente assente. Il film, di fatto, racconta un’utopia: una società in cui chiunque dimostri di voler dare tutto per la patria può ottenere tutti i privilegi e i vantaggi che vuole, la meritocrazia suprema. Ma non è un’utopia nostra, è un’utopia loro: stiamo guardando quello che per i personaggi del film è il migliore dei mondi possibili, e che a noi sembra tutto sommato un incubo. Film come RoboCop e Atto di forza sfumavano la barriera tra storia e satira senza mai infrangerla; Starship Troopers la nuclearizza, eliminando ogni elemento intermedio tra noi e il mondo assurdo e (quello sì) iperfascista del film.
È chiaro che questa cosa non fu capita al tempo, altrimenti Starship Troopers non sarebbe mai stato descritto come un film fascista o pro-bellico. A riguardarlo oggi è difficile immaginare come nel 1997 qualcuno abbia potuto vedere una scena come questa
e pensare che fosse da prendere sul serio. O ancora meglio una scena come questa
che quando l’ha fatta Sacha Baron Cohen in Borat 2 è stata salutata come geniale satira. Ed è più in generale difficile capire come il punto del film sia potuto sfuggire a così tanta gente. Verhoeven è tante cose, tra cui uno dei più grandi registi in circolazione, ma raramente è sottile e ammiccante. Tutto in Starship Troopers profuma di muscoli, libertà e deodorante muschiato; Casper Van Dien, Denise Richards e Dina Meyer sono statue greche a cui è stata donata la vita, e in generale in tutto il film vediamo solo gente bella, atletica e sempre sorridente. Persino Ace, il personaggio di Jake Busey, che in altri film simili (si veda Top Gun) avrebbe avuto il ruolo del rivale del protagonista che fa pace con lui solo sul finale in punto di morte, è un adorabile cazzone che fa subito amicizia con Johnny Rico. L’intero primo atto del film è praticamente una romcom per teenager!
Eppure, nonostante con il senno di poi le intenzioni dietro Starship Troopers siano evidentissime, il film venne recepito come se fosse il suo opposto polare, e per questo stroncato. Ripetiamo quindi la nostra ipotesi: si tratta di pigrizia, perché di fronte a un’opera satirica che non proponeva una soluzione (“sì, questi sono pazzi”) ma una domanda (“ma questi sono pazzi?”) si scelse di ignorare la finezza e prendere il film fin troppo alla lettera, e di credere che davvero Paul Verhoeven ci stesse dicendo “guardate che figata questo nuovo mondo che è letteralmente il nazismo”. L’unica altra possibilità è che al tempo molta gente non si fosse fermata in sala fino alla fine, perché non capiamo come sia possibile guardare questo finale
https://www.youtube.com/watch?v=LI--tsjJzvQ
e pensare “ecco un film che celebra la bellezza dell’autoritarismo e dell’ultramilitarizzazione della società!”.