Perché Sanremo è Sanremo: analisi di un successo ritrovato

Alla veneranda età di 73 anni il Festival di Sanremo è tornato ad essere il programma più visto dagli italiani. Ma come ci è riuscito?

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Se qualche anno fa ci avessero detto che nell’immenso catalogo di video reaction di YouTube un giorno avremmo trovato una sezione dedicata a Sanremo probabilmente non ci avremmo creduto. E invece basta una breve ricerca per rendersi conto che si possono trovare decine e decine di video, ma anche forum, post e articoli di persone provenienti da tutto il mondo, incuriosite da questa follia tutta italiana. 

Ma come mai tutto questo interesse? La spiegazione più semplice sarebbe la vittoria nel 2021 dei Måneskin all’Eurovision Song Contest (ideato proprio sul modello del Festival di Sanremo), ma la realtà è che questa fascinazione per la kermesse nostrana nasce molto prima. All'estero la partecipazione dell’Italia alla gara europea è da anni sinonimo assicurato di qualità, originalità e soprattutto identità, e strano ma vero, ciò che i fan stranieri ci invidiano di più è proprio il nostro processo di selezione. 

Invidia ma anche tanta confusione, perchè spiegare cosa sia Sanremo a chi non è nato e cresciuto in Italia è decisamente complicato: “È una specie di X-Factor? Un grande evento live come un Grammy italiano? È tipo il Super Bowl?” Si più o meno, ma in realtà no, non proprio. Odiato e amato in eguale misura, il Festival della Canzone Italiana è dal 1951 la cartina al tornasole socioculturale del nostro paese, il fenomeno di costume per antonomasia. Per una settimana intera (sui social denominata la "Settimana Santa") il Paese si ferma, entra in una bolla di sospensione della realtà dove tutto è rimandato, tutto è sanremizzato, ed anche chi non lo guarda ne è sopraffatto per osmosi. 

Da nazionalpopolare a mainstream

Al momento stiamo vivendo quella che possiamo a tutti gli effetti definire una nuova epoca d’oro di Sanremo: solo per dare l’idea, la finale del 2022 ha registrato il dato Auditel più alto dal 2000 ad oggi, per un totale di 13 milioni e 205 mila spettatori con il 65% di share. E la prima serata di questa edizione ha ottenuto lo share più alto dal 1995. Una rinascita apparentemente improvvisa ma che invece affonda le sue radici in più di dieci anni di piccoli ma significativi cambiamenti, dallo scossone introdotto da Fabio Fazio nel 2013, che portò sul palco dell’Ariston un tipo di musica che andava oltre il tradizionale concetto di canzone sanremese, fino all’attenzione per la radiofonicità dei pezzi in gara nelle edizioni di Carlo Conti e Claudio Baglioni. 

La rivoluzionaria vittoria di un brano urban come Soldi di Mahmood nel 2019 fu la conferma che tanta strada si era percorsa dalla fine degli anni '90, quando Sanremo era considerato uno spettacolo musicalmente antiquato. Quel momento cambiò tutto, i giovanissimi capirono che il festival poteva incontrare anche i loro gusti e le case discografiche si resero conto che l’Ariston non era più un palco utile a rilanciare carriere in declino, ma al contrario un trampolino di lancio per nuovi talenti (l’anno scorso la playlist di Sanremo di Spotify è stata una delle più ascoltate al mondo). Questo rinascimento musicale è dovuto quindi solo in parte alle ultime quattro edizioni condotte da Amadeus, al quale però va il merito di aver saputo dosare sapientemente gusti, sonorità e generazioni molto diverse fra loro. 

Il Festival siamo noi

Ma l’efficacia di Sanremo non dipende solo dalla musica, e questa ritrovata popolarità è dovuta in larga parte a quella che è ormai la cassa di risonanza di qualsiasi esperienza umana. Nell’epoca del protagonismo digitale, il contributo nuovo al Festival non poteva che arrivare dalla rete, e infatti più che gli ascolti, a colpire davvero sono quelle 33,6 milioni di interazioni social registrate durante la scorsa edizione. 

Ad oggi il Festival si vive soprattutto online ed è ormai un evento perfettamente inserito nelle abitudini digitali degli italiani, giovani e meno giovani, attesissimo per la sua riproducibilità online e per la capacità di coinvolgere lo spettatore durante, dopo, ma soprattutto prima del suo inizio. Sanremo si guarda ma più di tutto si commenta, e quindi vai di annunci al TG1, commenti e polemiche infinite su Twitter, meme su Instagram, video su TikTok, dirette Twitch, e ancora chat di gruppo su WhatsApp e podcast su Spotify: la frenesia sanremese non conosce limiti e in questo senso il Festival è un’incredibile fabbrica di contenuti. 

È il marketing, bellezza!

A fare maggior presa sono soprattutto le iniziative social parallele, come dimostra l’enorme successo del Fantasanremo, gioco erede di quei tormentoni che per prima la Gialappa’s Band provò a far arrivare sul palco dell’Ariston e che furono poi ripresi nel 2017 dai The JackaL, forse i primi veri artefici di questa wave nostalgica per il festival. Perfetto esempio di incursione del digitale nel reale, il Fantasanremo è nato per essere un elemento di disturbo nelle dinamiche tradizionali del programma, sebbene ora abbia perso molta della sua funzione sovversiva, dal momento che è ormai entrato a far parte della ritualità sanremese e da quest’anno è persino brandizzato

Era scontato che questo successo avrebbe spinto aziende e piattaforme ad investire nel Festival, rendendolo sotto questo punto davvero il Super Bowl italiano, con tantissimi spot e campagne di instant-marketing portate avanti da influencer e creator. Ma per ogni strategia promozionale che si rispetti, la prima cosa da individuare è il target dominante, e per l'edizione 2023 questo è stato chiaro fin dagli annunci dei cantanti in gara: nonni e zii fate largo, ora il pubblico ideale del Festival sono i Millennials.

Un nuovo pubblico di "vecchi"

I trentenni/quarantenni sono infatti la platea perfetta da conquistare, perché più di tutti temono la FOMO (Fear Of Missing Out), quella paura atavica di sentirsi tagliati fuori, e soprattutto perché privilegiano investire in esperienze piuttosto che in beni materiali (e in questo senso l’intrattenimento diventa l’occasione ideale). Sfruttando l’effetto nostalgia che ormai permea qualsiasi ambito, dal cinema alla serialità passando per la musica e la moda, Sanremo diventa il rifugio perfetto di una generazione che sente di aver perduto il proprio futuro e che per questo non può far altro che rievocare ed idealizzare un passato che non tornerà più.

Le speranze infrante e la voglia di far sentire la propria voce in una società che politicamente li ignora trasformano i Millennials nei social media manager perfetti del Festival, che deve semplicemente limitarsi a cavalcare questo disagio generazionale. Lo spiegavano anche i sopracitati The JackaL a Pierfrancesco Favino in un famoso video a tema Sanremo del 2018: “Partecipazione passiva bello. Intere generazioni costrette a guardare il Festival di Sanremo senza avere la minima possibilità di esprimersi e che ora vogliono riprendersi il loro posto nella storia”. Mai parole furono più vere.

Tutti insieme davanti alla TV

Lo scarto cruciale rispetto ai Festival del passato è proprio questa nuova modalità interattiva, fulcro essenziale di quello che è diventato un potente rito collettivo. Complice la pandemia e i suoi effetti, la nostra esistenza sempre più frammentata e i mali del mondo che non mancano mai, tutti abbiamo sempre più voglia di esperienze condivise e sincronizzate, e Sanremo è ad oggi forse l’unico evento in grado di riunirci tutti. “Un paese di musichette mentre fuori c’è la morte” si diceva in Boris, e davvero per una sola settimana all’anno il Festival diventa una sorta di antidepressivo di massa, capace di farci dimenticare anche quello che non dovremmo.

Un’impresa notevole se si considera quanto sia cambiata la fruizione mediale nell’ultimo decennio, dove non è più necessario attenersi alla programmazione classica ma si può scegliere di guardare qualcosa in qualsiasi momento. E invece guai ad uscire di casa, anzi meglio una visione di gruppo con gli amici, senza vergognarsi di essere presi in giro, perché per una strana inversione nei rapporti di forza, oggi a differenza che in passato ad essere bullizzati sono quei pochi che Sanremo non lo guardano. 

Confortante ineluttabilità

A giudicare però dal livello di delusione, rabbia e frustrazione che puntualmente il Festival riesce a lasciarci addosso alla fine delle cinque lunghe serate viene da chiedersi perché continuiamo ogni anno a portare avanti questa assurda tradizione. Non bastano l’eccitazione e le grandi aspettative, Sanremo rimane comunque un programma generalista, per tutti e quindi per nessuno, pieno di ingenuo paternalismo e imbarazzante sciatteria, rilevante giusto il tempo del suo accadere. 

Gli ultimi anni ci hanno dimostrato che non basta una pandemia mondiale a fermare l'inesorabilità della macchina sanremese, ma il festival è pur sempre un fenomeno culturale e come tale è destinato ad esaurire il suo ciclo o perlomeno ad entrare nuovamente in crisi. Ma per adesso la verità è che alla domanda “che cos’è il Festival di Sanremo?” è impossibile dare una risposta razionale. Perché, come cantava Rudy Neri, Sanremo è Sanremo. PA-RA-RÀ.  

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