Perché Joker: Folie à Deux è il film più sovversivo del 2024

Joker: Folie à Deux sovverte le aspettative, abbandonando il mito del supercriminale per esplorare la vulnerabilità di Arthur Fleck

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Spoiler Alert

Il Bad Movie della settimana è Joker - Folie À Deux, di Todd Phillips, al cinema dal 2 ottobre.

Premessa

Poteva fare di tutto. Poteva essere un contender, per parafrasare Marlon Brando in Fronte del porto (1956). Contender di chi? Ma degli altri Joker, ovviamente. Arthur Fleck poteva essere uno di loro. Ci domandavamo se avrebbe copiato quelli del passato, magari diventando un vecchio imbonitore come Cesar Romero nei Batman con la panzetta di Adam West. Oppure trasformarsi in genuinamente spregevole come il gangster finito nell'acido di Jack Nicholson nella versione stragista e artistoide di Joker firmata Tim Burton.

I fratelli Menendez volevano vederlo come alibi la sera in cui uccisero i genitori, quell'agosto del 1989. E se fosse diventato un pontificatore nichilista ossessionato dal dimostrare a Batman che la gente in fondo è tanto, tanto cattiva e spingerà il bottone sbagliato? Questo era Heath Ledger per il Joker di Nolan. Italoamericano dalle cosce da calciatore come nei bei cartoon anni '90? Albino distaccato, mezzo trapper dai denti placcati, probabilmente sotto droghe farmaceutiche come Jared Leto in Suicide Squad?

Il Joker di Arthur Fleck, interpretato da Joaquin Phoenix ed emerso come possibile supercriminale alla fine del film di Todd Phillips datato 2019, poteva diventare anche lui UN Joker. Scegliere una via simile al passato continuando ad irritare coloro che lo avevano odiato? Scott Silver e Todd Phillips avevano sconvolto il canone DC, nonché quel ragazzaccio ghignante di Gotham City inventato da Bob Kane, Bill Finger e Jerry Robinson.

Coloro che avevano trovato sconveniente che fosse, o potesse essere, il figlio di Thomas Wayne (e quindi il fratello “bastardo” di Batman), o che avesse un passato da abusato e molestato (come i fratelli Menendez), lo avrebbero continuato a disprezzare. Ma almeno lo avrebbero continuato a contestare come Joker.

Una notte da Joker

Ci eravamo sbagliati. O meglio: era stato come Cenerentola. Il travestimento da Joker durava solo il tempo di far fuori “5 persone, una in diretta tv”, ovvero l'esilarante tormentone di Folie à Deux, pure con refuso perché le vittime erano state sei, come puntualizzerà correttamente Arthur includendo pure la madre. Era stata una magia a breve termine. Poi la carrozza supercriminale sarebbe tornata una zucca supersfigata.

Tutto questo magnifico sequel è la negazione delle fantasie “jokeriane” scaturite dal primo film. Arthur non è, a lungo termine, né antisociale/psicopatico, né evitante, né borderline, né ossessivo-compulsivo o schizotipico. Abbiamo preso queste definizioni dall'ultima versione del DSM, ovvero Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders. Anche il disturbo psicotico condiviso (definito “folie à deux” per spiegare il sottotitolo) alla base del rapporto tra Arthur Fleck e la groupie incontrata in clinica Lee Quinzel interpretata da Lady Gaga è puramente temporaneo. Questa è la chiave di lettura di Joker: Foliè à Deux fino al finale magistrale e scioccante in cui qualcun altro diventerà il vero Joker.

Il primo film era un dramma sociale, questo è un processo mentale. Che vuol dire?


L'isola di Arthur

Giochiamo con il titolo del romanzo di Elsa Morante per evidenziare le differenze tra il primo capitolo del 2019 e questo secondo di oggi. In quel Joker del 2019 c'erano le fantasie di Arthur legate al suo mito Murray Franklyn (rielaborate dal capolavoro di Scorsese Re per una notte). Eravamo nella sua testa, ma non così spesso come in questo sequel. C'era molta più Gotham City, la metropoli che aveva 10 mila tonnellate di rifiuti per strada.

In Joker: Folie à Deux, Arthur fa solamente da spola dall'Arkham State Hospital al tribunale dove lo stanno processando. Fine del suo vivere la città. Si vede di sfuggita un cinema dove in cartellone c'è Un secchio di sangue (1959) di Roger Corman. Questo è un film meno sociale e più mentale. Siamo ben dentro la testa di Arthur e lì, improvvisamente, gli è venuta una gran voglia di cantare e ballare in un musical sulle note di Temptations, Pal Joey, Sweet Charity, Tony Bennet, Bee Gees, Burt Bacharach e Anthony Newley (ben due volte), per citare la maggior parte dei numeri canterini del film. Al suo fianco spesso ballerà e canterà l'enigmatica Lee Quinzel di Lady Gaga, sua grande fan o futura femme fatale. Si dovrà decidere se Arthur, insomma, è un futuro supercriminale o solo uno sfigato.

Conclusioni

La seconda. Ed è la salvezza nonché il gesto politico. Egli è un clown non divertente e un uomo poco intelligente. Manna dal cielo rispetto a quei registi insopportabili che glorificano maschi imbecilli in film di più di tre ore narrandoli come indistruttibili. Ogni riferimento all'ultimo Martin Scorsese di The Irishman e Killers of the Flower Moon non è casuale.

Arthur è un idiota. Ma contemporaneamente è mite, altruista ed empatico perché creatura bullizzata e abusata praticamente dalla culla che non ha perso la capacità di entrare in contatto con gli altri. Ci innamorammo di lui appena lo vedemmo dimenarsi in modo silly per le stradacce di NewYork con quel cartello tra le mani. Arthur è dolce. Sia quando si innamora di una donna, sia quando accarezza un secondino (che in risposta lo picchierà), sia quando smette di giocare ad essere Joker perché Mr.Puddles, davanti a lui, gli ricorda che gli voleva bene mentre ora ha paura di quello che è diventato o potrebbe definitivamente diventare.

Quando il mondo lo vuole Joker, lui sceglie di tornare Arthur. Quando tutti lo vogliono vincitore dell'antagonismo, lui sceglie di perdere abbracciando l'autocritica. Quando tutta Gotham lo brama leader bandito per diventare UN Joker del campionario elencato a inizio articolo, Silver e Phillips scelgono la strada del grande cinema hollywoodiano dei “loosers”. Quello di Oltre il giardino (1979) di Hal Ashby, La conversazione (1974) di Coppola, The Wrestler (2008) di Aronofsky, The Holdovers - Lezioni di vita (2023) di Payne o proprio quel Fronte del porto (1954) di Kazan in cui Brando poteva essere un “contender” ma non c'è riuscito.

Di tutte le persone che in questo geniale sequel autolesionista divorano con gli occhi Arthur e sognano per lui migliaia di followers (chi è oggi che non li vorrebbe?) ci sono due personaggi chiave. Una donna che lo ama solo se sarà Joker cioè una signora dell'Upper West Side molto più ricca, schizzata e sociopatica di lui. C'è poi un ragazzetto residente dentro l'Arkham State Hospital. Brevemente durante il film Phillips lo inquadra “sbavare” contorcendosi mentre fissa Arthur o dal vivo o in televisione. Di tutti è colui che forse aspetta di più la trasformazione definitiva del Fleck in Joker. Tra tutti sarà colui che prenderà peggio il rifiuto della maschera da parte del nostro tragico e struggente protagonista.


E quindi deciderà lui di essere Joker. 
Quello vero.

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