Perché Frankenstein Junior è ancora un capolavoro

Frankenstein Junior torna in sala, e noi ne approfittiamo per omaggiare uno dei più grandi (e divertenti) omaggi della storia del cinema

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In un certo senso questo potrebbe sembrare il pezzo più inutile dell’anno: chi è che non ama Frankenstein Junior? Chi è che non ha mai visto Frankenstein Junior? E anche tra questi ultimi, chi può in tutta onestà affermare di non conoscerne neanche una scena, una battuta, un’immagine? Il suo stesso autore, uno che in carriera ha girato alcune delle migliori commedie della storia del cinema americano, lo considera il suo capolavoro. Sostanzialmente metà delle sue scene sono diventate in un modo o nell’altro un meme, e alcune sono riuscite persino a filtrare in altri ambiti. Per noi che parliamo italiano, poi, c’è l’ulteriore strato di un doppiaggio e soprattutto di una localizzazione di livello assoluto, che in un paio di casi riesce addirittura a migliorare le battute dell’originale (“Quando la sorte ti è contraria e mancato ti è il successo…”). Insomma, serve davvero questo pezzo, o basterebbe scrivere “Andate al cinema a vederlo, finché siete in tempo”?

Secondo noi sì: il rischio più grosso con un film come Frankenstein Junior è quello di darlo per scontato. Di sapere che è un capolavoro, ma di dimenticarsi del perché, o di non pensarci abbastanza. Certo, perché fa ridere: è probabilmente la miglior parodia di sempre, sia all’interno della carriera quasi interamente parodistica di Mel Brooks, sia allargando il campo ad altri progetti simili. Ma perché è la miglior parodia di sempre?

Il primo segreto di Frankenstein Junior è che è un progetto che nasce da un profondo amore per il materiale di partenza, inteso come il romanzo di Mary Shelley ma anche e soprattutto per il film di James Whale del 1931 con Boris Karloff nei panni della Creatura – che di tutti gli adattamenti del libro è il più famoso e anche il più bello, al netto di alcune curiose e inspiegabili differenze con la fonte. L’idea di Frankenstein Junior è di Gene Wilder, partorita durante le riprese di Mezzogiorno e mezzo di fuoco: Mel Brooks era contrario, almeno finché Wilder non gli spiegò la sua idea, e cioè “e se raccontassimo la storia del nipote di Frankenstein, che non vuole avere nulla a che fare con quel pazzo del nonno?”.

L’amore per la storia di Frankenstein e della sua creatura e per il film di Whale in particolare gronda da ogni inquadratura. Ci sono sequenze che sono rifatte frame per frame, e tutto l’equipaggiamento del laboratorio del dottore è preso di peso dal set del film del 1931. Ci sono riferimenti diretti all’intera saga Universal (uno degli abitanti del villaggio dice di avere già avuto esperienze con la famiglia Frankenstein, cinque per la precisione, come i cinque film usciti tra il 1931 e il 1942). Soprattutto, c’è in tutta la sceneggiatura una straordinaria capacità di individuare quei momenti drammatici o comunque intensi nei quali buttarla sul ridere stonerebbe: è qui, quando Frankenstein Junior mantiene anche solo per pochi minuti una faccia serissima, che si nota la grandezza dell’opera.

E la grandezza degli attori coinvolti, Gene Wilder su tutti. L’idea è sua, il progetto è suo, il cuore è suo e lui ce la mette tutta per omaggiare il Colin Clive del film del ’31, senza però limitarsi alla semplice imitazione. Siamo abituati, soprattutto chi è cresciuto con un altro genere di parodia tipo Scary Movie, ad associare questi film a una certa sciatteria, come se recitare male o sotto standard contribuisse all’atmosfera comica. Gene Wilder in Frankenstein Junior dimostra il contrario, e siamo convinti che non sia stato candidato all’Oscar per una pura questione di pregiudizio.

Il film però sa anche quando è permesso prendere in giro la propria fonte d’ispirazione, perché sa che non c’è nulla di sacro. Sa per esempio che stiamo parlando di un film del 1931, con tutte le ingenuità di messa in scena che ne conseguono, e si diverte a riderne: l’esempio più clamoroso è forse la scena in cui Frederick e Igor sono appostati fuori dal cancello del cimitero in attesa di poter recuperare il corpo. Nel film di Mel Brooks, Gene Wilder affossa la testa di Marty Feldman dicendogli “stai giù!”, e subito dopo si erge per vedere meglio. Nell’originale… la scena è identica, solo che l’assurdità non è usata come gag, semplicemente esiste e nessuno ha pensato di correggerla.

Ogni singolo elemento della parodia potrebbe essere preso, smontato, analizzato e paragonato all’originale. I modi affettati e anni Trenta di Elizabeth diventano, nella versione di Mel Brooks, questo incredibile scambio tra Gene Wilder e Madeline Kahn. Fritz, l’assistente di Henry von Frankenstein nel film di Whale, diventa Igor, ma entrambi camminano con un bastone da passeggio ed entrambi a un certo punto sembrano suggerire che il modo migliore per scendere le scale sia farlo piegati quasi a novanta gradi – solo che uno dei due lo fa consapevole di voler fare ridere. Come in tutti i film di Mel Brooks, poi, non mancano i riferimenti a cose che non c’entrano nulla, e che spesso sono disseminati a mo’ di Easter egg per tutto il film: quanti, durante la scena dell’arrivo alla stazione della Transilvania, penserebbero immediatamente a questa canzone? Eppure viene citata nello scambio di battute tra Frankenstein e il bambino.

Ci sono due passaggi di questa intervista del 2012 che sono rivelatori sul film. Il primo riguarda una richiesta precisa di Gene Wilder a Mel Brooks: “Il film lo faccio” gli disse “se tu non ci compari”. Mel Brooks ha sempre fatto cameo piccoli o grandi nei suoi film, ma per Wilder era fondamentale che questo non accadesse in Frankenstein Junior: “Hai il vizio di rompere la quarta parete. Non voglio che questo succeda, non voglio strizzate d’occhio al pubblico. Mi piace questa sceneggiatura”. Il secondo passaggio è l’aneddoto sui fazzoletti bianchi: siccome durante le riprese dei suoi film capitava che non si riuscisse a girare perché alla crew veniva troppo da ridere, Mel Brooks forniva sempre, fin dai tempi di Il mistero delle dodici sedie, una serie di fazzoletti bianchi a chi doveva stare sul set senza partecipare alla scena – per soffocare le risate. A quanto pare, Frankenstein Junior è il set sul quale Brooks ha dovuto portare più fazzoletti. Fateci caso, in particolare quando in scena c’è Cloris Leachman: ci sono diversi momenti nei quali Gene Wilder sta tendendo a dismisura tutti i suoi muscoli facciali pur di non scoppiare a ridere. Oppure guardate questa scena, e ascoltate la sua voce quando dice “Stop that!”: è letteralmente a un passo dal rompersi (a quanto pare solo Feldman e Brooks conoscevano la battuta prima di girare la scena).

Per riassumere tutto quanto: Frankenstein Junior è un capolavoro perché non è solo una grandissima parodia, ma prima di tutto un gran film – lo stesso discorso che si può fare per gli altri capisaldi della filmografia di Mel Brooks, Mezzogiorno e mezzo di fuoco su tutti, ma amplificato dal rigore filologico e da cinefili con i fiocchi della ricostruzione storica, dell’omaggio a un altro riconosciuto capolavoro. Se non l’avete mai visto, o anche solo se non l’avete mai visto in sala, fatevi un favore e regalatevelo. Se invece l’avete già visto, be’, sappiamo che avete già i biglietti, e che questo pezzo non serve a nulla.

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