Perché abbiamo bisogno di più docu-game
Oltre il Discovery Tour di Assassin’s Creed Origins: abbiamo dato un'occhiata ad alcuni tra i docu-game indipendenti più interessanti in circolazione
Già nel primo episodio, ma soprattutto a partire dal secondo ambientato in Italia, tra didascalie, immagini, foto, enigmi e menù, venivano messe a disposizione degli utenti tutta una serie di informazioni di taglio culturale a corredo della ricostruzione di questa o di quella città d’arte.
Con il Discovery Tour, Ubisoft ha semplicemente deciso di spendere qualche risorsa in più sulla faccenda e di sganciarla dagli obiettivi di gioco, e presumo lo abbia fatto principalmente per ragioni di marketing. In fondo, una trovata del genere funziona piuttosto bene in termini di comunicazione: è facile da raccontare attraverso le testate generaliste, innesca il passaparola, favorisce il dialogo tra giocatori e non, e magari pure quello tra genitori e figli.
Intendiamoci, non che sia un problema, anzi: se a prescindere dalle intenzioni una cosa del genere funziona, tanto meglio. Tuttavia, mi chiedo se sul piano puramente documentaristico i tripla A potranno mai effettivamente spingersi oltre la didattica classica. Fermo restando che sarei ben felice di essere smentito, non ce lo vedo un elefante come Ubisoft - o chi per - prendersi il rischio di raccontare sul serio il presente o il passato prossimo. Il mondo di oggi - o quello di ieri l’altro - non essendo ancora stato storicizzato a dovere è pieno di dubbi e contraddizioni irrisolte che potrebbero frammentare l’audience. Senza contare che, pure al netto di accelerate sulla spettacolarizzazione, uno sbocco commerciale per dei docu-game “grossi” e stand-alone lo vedo complicato a prescindere.
Non è un caso che alcuni tra i più interessanti docu-game degli ultimi tempi siano esperienze brevi e di facile approccio uscite dalla scena indipendente. Penso a Wheels of Aurelia, degli stessi Santa Ragione, che pur costeggiando la fiction, attraverso l’escamotage della road-story – tra le fonti del gioco si leggono Il sorpasso e Easy Rider – racconta la politica e i costumi dell’Italia degli settanta, quelli di piombo. Oppure penso a Venti Mesi, sviluppato da We Are Müesli e scaricabile gratuitamente dal sito ufficiale, che attraverso una selezione di storie interattive ambientate nel Nord Italia tra il 1943 e il 1945, si prende la responsabilità di parlare di Resistenza e della lotta contro il Nazifascismo.
Giusto qualche mese fa ho sperimentato l’ottimo Se mi ami, non morire, pensato per smartphone e basato completamente sui dialoghi. Si tratta del primo titolo curato dallo studio parigino The Pixel Hunt fondato dall’ex giornalista Florent Maurin, e prende in prestito l’estetica delle chat di WhatsApp per calare il giocatore nel rapporto “epistolare” tra la profuga siriana Nour, in viaggio verso l’Europa, e suo marito Majd.
E con gli esempi potrei andare avanti per ore: questi sono solo i titoli più recenti che mi sono passati davanti agli occhi, tra un feed, una recensione o una segnalazione via social. Volendo andare indietro di una manciata di anni, quasi tutti i titoli sviluppati da Paolo Pedercini, aka Molleindustria, hanno la stoffa dei docu-game (oltre alla piacevolezza di essere fruibili gratuitamente attraverso il sito dell’autore).
[caption id="attachment_182377" align="aligncenter" width="600"] La storia di Se mi ami, non morire viene proposta dal punto di vista di Majd, impegnato a supportare la moglie Nour lungo il suo viaggio verso l’Europa[/caption]
Desidero chiudere questa breve rassegna con 1977: Radio Aut, sviluppato dal game designer Alex Camilleri nel giro di una Game Jam, e dedicato - come le persone perbene dovrebbero avere già intuito dal titolo - a Peppino Impastato, assassinato il 9 maggio 1978 a causa delle sua attività di dissenso e lotta alla mafia.
Ora, mentre vi fate un giro sull’itch.io di Alex per scaricare gratuitamente il gioco, o per spararvelo via browser - ché dura una manciata di minuti - vi racconto un aneddoto. Qualche anno fa mi sono imbucato in una masterclass di Werner Herzog proprio mentre il cineasta divagava sulle opzioni etiche con cui deve confrontarsi un documentarista: è meglio limitarsi a registrare tutto come una mosca silenziosa e immobile piantata sulla parete, oppure partecipare emotivamente all’oggetto dell’indagine, filtrandolo attraverso il proprio sentire?
Alex, di origini palermitane (e appartenente al collettivo Contralto: lo stesso a cui afferiscono Santa Ragione e We Are Müesli), sceglie deliberatamente la seconda via, raccontando la vita e le battaglie di Peppino attraverso un percorso a bivi “truccato”. Il game designer gioca col linguaggio videoludico interferendo con le scelte proposte - à la Hideo Kojima, quasi - per dimostrare all’utente che l’unica opzione realmente condivisibile è quella della lotta alla mafia. Al di là di questo, le scelte obbligate alludono con delicatezza alla morte del ragazzo: inevitabile nel gioco, proprio perché non è stato possibile evitarla nella realtà.
Qualcuno potrebbe obiettare che “manca la sfida”. Tuttavia, sensatamente, in un docu-game la sfida non è importante, né dovrebbe esserlo. Come suggerisce sempre Righi Riva, la sfida non può essere l’unico modo di ingaggiare gli utenti: alle volte bisogna scommettere sulla motivazione.