Perché amiamo il Grinch e odiamo il Natale

Il Natale 2020 è, probabilmente, per la maggior parte delle persone, il più grinchiano di sempre. Perché se già prima della pandemia quel mostro verde, peloso, dispettoso e isolato in una caverna era impresso indelebilmente nel nostro immaginario natalizio come il “cattivo” ferito, ma estremamente umano, con cui poterci empaticamente identificare, da quest’anno il Grinch è diventato un vero e proprio specchio di ciò che stiamo vivendo

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Perché amiamo il Grinch e odiamo il Natale

Il Natale 2020 è, probabilmente, per la maggior parte delle persone, il più grinchiano di sempre. Perché se già prima della pandemia quel mostro verde, peloso, dispettoso e isolato in una caverna era impresso indelebilmente nel nostro immaginario natalizio (e sì, nel nostro cuore di pietra) come il “cattivo” ferito, ma estremamente umano, con cui poterci empaticamente identificare, da quest’anno il Grinch è diventato un vero e proprio specchio di ciò che stiamo vivendo (anche se, sul lieto fine, non ci possiamo ancora pronunciare). La negazione della socialità, l’isolamento, il mettersi a una certa distanza dalle emozioni, la lotta al dolore attraverso l’ironia, il ricorso al cibo contro la noia: siamo forse noi questi, o si tratta del Grinch?

“Io odio il Natale!” e la nascita del Grinch

Sì, diciamolo: tra DPCM, divieti e distanziamento, è inevitabile non vedere queste festività in modo diverso. Per chi ha sempre odiato il Natale forse cambierà poco, ma per chi lo ha sempre amato (o per chi ha fatto finta di odiarlo, in realtà apprezzandolo) la sindrome del Grinch - un’espressione diventata ormai di uso comune, tanto per far capire l’influenza di questa figura - sta probabilmente bussando alla porta, pronta a farci odiare qualsiasi cosa possa lontanamente ricordarci la festività, ciò che non c’è e che vorremo ci fosse. Quale miglior modo per esorcizzare i cattivi sentimenti ci può allora essere, se non rivedere per l’ennesima volta (o vederlo per la prima) quel film indimenticabile del 2000 che è Il Grinch di Ron Howard?

Ma partiamo dall’inizio. Il Grinch nasce dalla penna e dall’immaginazione di Dr. Seuss (pseudonimo di Theodor Seuss Geisel), scrittore e fumettista statunitense di origine tedesca, autore di numerosi e fortunatissimi libri per bambini tra cui Il gatto col cappello, Ortone e i piccoli Chi!, Il Lorax, Prosciutto e uova verdi (molti di questi adattati anche al cinema). È però sicuramente il diabolico Grinch il suo personaggio più conosciuto. Data alle stampe nel 1957 con il titolo originale How the Grinch Stole Christmas!, la storia del mostriciattolo verde, narrata in rima e disegnata dallo stesso Dr. Seuss, era uno smascheramento dei pregiudizi, delle ipocrisie e del capitalismo del Natale (fatto di doni materiali e poco di veri sentimenti). Il libro è stato adattato per la prima volta nel 1966 con il film televisivo d’animazione Il Grinch e la favola di Natale! diretto da Chuck Jones (regista degli storici cartoon della Warner) e Ben Washam (suo storico assistente); ma il primo adattamento in lungometraggio è stato il film del 2000 da Ron Howard, che trovò in Jim Carrey il suo Grinch perfetto e con questo la consacrazione eterna, per il grande pubblico, dell’icona natalizia. Il libro è stato adattato nuovamente nel 2018, questa volta in computer-grafica, nel film omonimo diretto da Yarrow Cheney e Scott Mosier; ma è sicuramente la versione del 2000 quella che più di tutte rimarrà impressa nella storia. Ecco allora perché amiamo il Grinch (di Ron Howard) e “odiamo il Natale”.

Il Grinch Jim Carrey

Il Grinch è Jim Carrey

C’è forse qualche dubbio sul fatto che grazie alla straordinaria interpretazione di Carrey il film di Ron Howard è stato il successo che è stato? A posteriori è infatti impossibile immaginare un Grinch diverso da lui. Vera e propria icona di un’intera generazione di spettatori cresciuti con il suo volto e corpo di gomma (nel solo 1994 Carrey è stato infatti anche Ace Ventura, The Mask, Scemo & più scemo), Carrey è riuscito a regalare al Grinch una indelebile tridimensionalità, una corporeità spastica e unica, sempre volta all’esagerazione e allo svelamento cinico-ironico del dolore fisico e della scorrettezza verbale. Il Grinch infatti insulta tutti, fa i dispetti, l’unica cosa che ama regalare sono dolore e caos; ma è anche come se, grazie al suo stesso corpo, fosse immune al dolore fisico: picchia la testa ovunque, si cuce per sbaglio le dita, mangia vetri rotti… Come in una catarsi, Carrey porta lo spettatore a una divertita consapevolezza di tutto il possibile sporco, il brutto e l’osceno che può contenere una persona messa ai margini, ma che grazie a un cenno di altruismo (quello della piccola Cindy Chi Lou) può essere compresa e re-integrata. Non c’è nel Grinch nessun dolore fisico, ma un grande, grandissimo, dolore emotivo.

Il Grinch è una vittima della discriminazione

Una persona messa ai margini, si diceva. Ciò che infatti fa scattare immediatamente il meccanismo di empatia verso il Grinch non è subito soltanto il suo cinismo esagerato, il suo rifiuto per i buoni sentimenti, ma è la sua storia passata. Attraverso le parole e i ricordi dei suo ex-concittadini e compagni di classe, la piccola Cindy Chi Lou scopre infatti, e noi con lei, il motivo dolorosamente vero dell’emarginazione del Grinch: preso in giro a 8 anni per il suo aspetto e la sua diversità, coperto di ridicolo davanti a tutti i compagni e alla sua prima cotta, è infatti impossibile non commuoversi di fronte a una tanto semplice quanto universale crudeltà, ancor più dolorosa in quanto poi seguita da un auto-esilio del discriminato in una caverna su una montagna. Una distanza geografica grande quanto il suo trauma, una cima di solitudine da cui può ossessivamente osservare in lontananza il ricordo di ciò di cui si è a lungo privato: il suo luogo di provenienza, la socialità.

Il Grinch Jim Carrey 2

Il Grinch è lo specchio della cultura antisociale ai tempi dei social (e del Covid-19)

Ma veniamo alla parte più divertente, e forse al motivo più mainstream (e di maggior potenziale di diffusione mediatica) attraverso cui la figura del Grinch è riuscita a perpetuare la sua fortuna e la sua trasmissibilità: la sua assoluta antisocialità. Può sembrare un paradosso, ma in tempi di social e di spontanea e istantanea diffusione della cultura tramite meccanismi bottom-up (generati dagli utenti stessi) il Grinch ha potuto perpetuarsi in modo inedito. È infatti ormai un trend comunicativo, veicolato da meme e a suon di riappropriazioni e riusi di immediato riciclo, quello di auto-definirsi come animali antisociali: e se prima della pandemia la “moda” era già corrente, in tempi di Covid-19 questa ha cambiato i suoi connotati, rimanendo però l’asocialità un termine assolutamente preponderante nel nostro vissuto quotidiano. Ecco allora che l’ironia sullo stare a casa da soli, in pigiama, il sabato sera, poi trasformatasi durante il covid nella battuta sul non avere per niente cambiato le proprie abitudini sociali dopo le restrizioni, nella sua declinazione natalizia non può che vedere il Grinch come suo paladino dell’isolamento, del rifiuto ironico (ma forse non troppo) verso i buoni sentimenti, verso l’ottimismo, verso la il perpetuarsi della tradizione.

È poi incredibilmente divertente - e sorprendente - vedere come anche i singoli dettagli della vita del Grinch sembrino parlare di noi, del nostro oggi: oltre al vivere da solo con il suo cane, il Grinch è estremamente annoiato (il passaggio in cui legge la sua agenda fatta di autocommiserazione e infelicità è esilarante), ha sempre fame (“continuo a mangiare perché mi annoio”), non sa mai come vestirsi (si cambia mille volte per rimanere comunque insoddisfatto), dice di essere ingrassato per i troppi dolci. Tutte cose con cui abbiamo ben familiarizzato, soprattutto negli ultimi mesi.

meme Grinch

Ma oltre all’aspetto “di colore”, perfettamente rappresentativo e subito condivisibile con un meme o una gif, c’è un aspetto più profondo che va oltre l’esilarante cinismo del Grinch di superficie. È la sua profonda incapacità di avere un contatto umano reale e sincero, che lo metta a nudo totalmente nelle sua fragilità; la sua fobia verso i sentimenti forti, verso il ricordo. Il Grinch non odia davvero il Natale: lui odia le persone, odia, e quindi teme di affrontare, coloro che gli ricordano il suo trauma, chi gli ha causato dolore. Un sentimento, a prescindere dalle sue declinazioni o dalla sua più o meno forte intensità, con cui ognuno di noi ha avuto a che fare.

Questo Natale, allora, ci piace più che mai definirci come il Grinch: non perché vogliamo odiare ma perché, come lui, forse anche noi ci difenderemo con del sano cinismo. Intanto ci possiamo divertire a imitarlo mentre giriamo in vestaglia per casa.

Il Grinch è disponibile su Netflix

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