Pee Wee's Big Adventure: 35 anni fa Tim Burton iniziava una carriera su commissione
35 anni dopo lo possiamo dire, quell'inizio di carriera ha segnato tutta la vita da regista di Tim Burton
Da noi Pee Wee Herman sostanzialmente è sconosciuto ma c’è stato un momento negli anni ‘80 in cui il suo show televisivo a cavallo tra adulti e bambini (si poneva come qualcosa per bambini ma questo adulto scemo faceva riferimenti ed aveva un umorismo che titillava e straniva gli adulti, divertendoli) faceva ascolti, piaceva ed era il programma da guardare del momento. Reubens arrivò anche a presentare una notte degli Oscar del 1988 nei panni di Pee Wee Herman. Per dire del successo.
In quegli stessi anni Tim Burton cercava di fare il salto. Aveva fatto i corti che doveva fare con la Disney e questi stavano piacendo, il suo agente era al lavoro per fargli avere un lungo e vagliava sceneggiature. Quando arrivò la possibilità di lavorare con Reubens vide in quel personaggio qualcosa di a lui vicino, un freak che a molti può suonare respingente ma in cui si nasconde una certa dolcezza. O almeno ce lo volle vedere. Qualcuno che non è come gli altri, ma dalla cui parte schierarsi.
Certo il film era quello che era.
La sceneggiatura non l’aveva nemmeno letta ma sapeva molto bene che non era il caso di fare lo schizzinoso e già avere un personaggio simile, uno così noto (leggi: un incasso agevolato), verso il quale sentiva un’affinità, sembrava più che sufficiente. La sceneggiatura sarebbe arrivata poi e sarebbe stata, nelle parole dello stesso Reubens “il manuale della scrittura per il cinema”. Erano 90 pagine che sono diventate 90 minuti di film, in cui c’è il MacGuffin richiesto (a Pee Wee Herman viene rubata la bicicletta e attraversa gli Stati Uniti per ritrovarla) che entra al minuto 30, dopo cioè esattamente un terzo di film e viene risolto al minuto 60, in tempo per il terzo atto conclusivo. Tutto era stato fatto secondo le regole per cercare di tradurre in box office un successo e un personaggio della televisione. Mancava solo di girarlo, cioè mancava solo Tim Burton.
E come sempre sarebbe successo di lì in poi questo cineasta in difficoltà con le politiche degli studios ma bravo a fare quello che loro gli chiedono, consegna in tempo, non sfora il budget, dà un bel ritmo e una bella patina al film e porta a casa l’incasso.
Sembra una storia di successo, anche perché poi questo successo e quello di Beetlejuice portarono la Warner a prendere la decisione di affidare a Burton il loro film su Batman. Invece è una storia abbastanza triste vista oggi, 35 anni dopo l’uscita. Perché è la storia di come Pee Wee’s Big Adventure abbia segnato l’intera carriera di Burton.
Il modello Pee Wee’s Big Adventure è diventata la sua croce. All’inizio non sembrava ma a quel film ne è seguito un altro sempre su commissione, ma ancora più perfetto per lui, cioè Beetlejuice, e poi per l’appunto un altro ancora, sempre più grande, Batman, che non era perfetto per lui ma che lui rese perfetto per sé. E solo a quel punto, finalmente qualcosa di suo, di cui avesse curato la sceneggiatura, ideato i personaggi e di cui controllasse completamente il look. Quello che tutti noi continuiamo (erroneamente) a considerare un autore americano, in virtù di una poetica e di un’estetica chiare e personali, è arrivato al suo primo film realmente personale dopo 3 lavori per gli studios, e a quel punto è tornato più e più volte agli studios, ai grandi film su commissione, ai compromessi per elemosinare fondi per qualcosa di proprio.
Per questo non è una storia di vero successo quella di Pee Wee’s Big Adventure, ma quella di come è stata forgiata una gabbia dorata. In quel momento più che nascere il Burton autore (che è nato con Edward Mani di Forbice) nasceva il “filtro Burton”, cioè quella patina che Tim Burton applica ai film degli studios per renderli un po’ più suoi senza davvero cambiare nulla, un velo di tristezza dietro le lucine che non basta mai e lascia solo l’amaro in bocca.