Pearl: quando la casa diventa una prigione
Il mostro della pandemia si nasconde dentro a Pearl, il prequel di X - A sexy horror story parla di casa e di reclusione
Chi è Pearl? È una ragazza che si nutre di cinema e che crede di vivere in un film. Forse perché la vita nella fattoria insieme al padre infermo e alla madre frustrata è opprimente come una prigione. Oppure perché l’attesa del marito di ritorno dalla guerra è una continua frustrazione dei suoi desideri, soprattutto quelli sessuali. Serve l’immaginazione, quindi, per evadere da un 1918 segnato dal terrore dell’influenza spagnola. Lo stile di Ti West nel dirigere questo prequel è radicalmente diverso, ma la sostanza è la stessa di X - A sexy horror story. C’è sempre Mia Goth al centro di tutto. Una nuova Shelley Duvall, contemporaneamente infantile, fragile e pericolosissima. Qui si dedica a monologhi non scritti benissimo, ma recitati con precisione, e a sorrisi perfetti nella loro disperazione.
Una trilogia rapidissima
X - A sexy horror story, Pearl e Maxxxine sono arrivati in sala dal 2022 al 2024. Pochissimo tempo. La ragione di questa rapidità si può scoprire, anche non conoscendo la storia produttiva, guardando i primi due film. X è ambientato in gran parte in due ambienti: la fattoria e la strada che porta verso di essa. Pearl ha più set: il cinema della città, i campi intorno, la sede delle audizioni per diventare ballerina e, ovviamente, la casa della ragazza. Nelle limitazioni del primo e nei temi del secondo c’è tanto del contesto industriale in cui Ti West è riuscito a realizzare i due film.
Pearl è un film pandemico
Si vede che Pearl è stato scritto in pandemia. Riflette su concetti diventati presto abusati, ma molto forti nell’anno di uscita del film. Se in X il turbamento veniva dall’occhio che guarda indiscreto, qui la fonte della sofferenza è la casa. Ti West, costretto al tavolo della scrittura, sceneggia un'anti eroina a sua volta costretta a una vita da reclusa. Il suo desiderio di fuga nella fantasia, è la classica evasione, un po’ allucinata, del rifugio nella propria testa.
L’intrattenimento a Pearl non basta più, vuole diventare protagonista del suo film. Così ha anche la stessa tensione verso la morte che si spiegava bene in X. Il cinema che lei ama altro non è che la vita rinchiusa in istanti. Quindi in un certo senso è fatto proprio dall’opposto, dalla sua assenza. Morte 24 fotogrammi al secondo che sembra però vita. Pearl ha bisogno di uccidere e di amare. Entrambi gli istinti repressi si rafforzano a vicenda. Tutto ciò descrive la fama e il cinema stesso.
Oltre alla paura delle altre persone, tutte dotate di mascherina, a generare turbamento nella ragazza è un film proibito: A Free Ride, del 1915, una delle prime riprese pornografiche della storia del cinema. Il proiezionista che gliela mostra per sedurla (?) e preannuncia che quelle immagini illegali sono destinate a diventare un giorno libere.
Pearl invece libera non è proprio. Deve tornare a casa a confrontarsi con il corpo del padre. Fermo, paralizzato, come in un fotogramma incastrato. Qui il film inizia a spostarsi verso la fattoria che diventa la sua prigione e il vero mostro nascosto nel film. L’esterno è per la giovane una recita. Lì ci si mostra presentabili, equilibrati, quando visti. La privacy dell’interno permette il fluire degli istinti assassini.
Così nella depravazione della protagonista si trova poco della psicopatia del serial killer e molto della disperazione di una persona in attesa di un futuro che non arriva. Ovvero dell’occasione di diventare una star come ancora di salvezza. È qui la forza di un prequel migliore del film da cui prende origine: perché è una storia che nel chiedersi chi sia Pearl si ritrova anche a chiedersi chi sia lo spettatore che guarda il film. Quali desideri indicibili genera in noi quello schermo? Quali promesse ci fa nel silenzio di un ricordo?
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