Park Chan-wook oltre la Trilogia della Vendetta: (ri)scopriamo tre titoli meno noti del regista

Riscopriamo tre titoli meno noti di Park Chan-wook: JSA - Joint Secutity Area, Cut e Sono un cyborg, ma va bene

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In occasione dell’uscita di Decision to Leave, al cinema dal 2 febbraio, ripercorriamo la filmografia di Park Chan-wook con alcuni approfondimenti

Non della sola Trilogia della Vendetta brilla la carriera di Park Chan-wook, che, come gli appassionati sapranno bene, ha realizzato (quasi) tutte opere degne di nota. Se i primi titoli che vi possono venire in mente sono Thirst, Stoker o Mademoiselle, vogliamo invece qui parlarvi di altri tre che sono rimasti pressoché invisibili nel nostro Paese e che alla pari degli altri meritano una (ri)scoperta.

JSA - Joint Security Area

Quando nel 1999 gli viene proposta la regia dell'adattamento di DMZ, romanzo di Park Sang-yun, per Park Chan-wook è la tipica offerta a cui non può rifiutare: i suoi primi due film, The Moon is… The Sun's Dream e Trio, non erano stati un grande successo, ma l'importante casa di produzione Myung Films era rimasta colpita dal suo stile. Il risultato è JSA - Joint Security Area, un grandissimo successo che, se da una parte si colloca nel clima sudcoreano dell'epoca, dall'altra contiene già alcuni tratti del grande cineasta che (da lì a poco) verrà alla luce.

Alla fine del millennio si stava infatti verificando l'esplosione del "nuovo" cinema coreano: i film nazionali avevano conquistato una buona fetta di mercato e l'aumento dei finanziamenti aveva permesso di realizzare dei veri e propri Blockbuster. Di questo ne è un esempio Shiri, uscito nel 1999, la cui spettacolarità si inseriva in una visione del rapporto tra le due Coree non più conflittuale, ma di distensione, sentimento prevalente in quel periodo. L'anno dopo arriva appunto JSA, che ripropone questo orizzonte in una vicenda molto intricata.

Il maggiore dell'esercito svizzero Sophie Jean è incaricata dalla Commissione di supervisione delle nazioni neutrali (NNSC) di indagare su un incidente avvenuto nella cosiddetta Joint Security Area della zona demilitarizzata coreana. Due soldati nordcoreani sono stati infatti uccisi e un terzo è rimasto ferito in una sparatoria. Il responsabile è già stato individuato: si tratta del sergente sudcoreano Lee Soo-hyeok; il compito di Jean è dunque quello di riscostruire la dinamica e il movente dell'accaduto. Questo però si rivela più arduo del previsto: Lee e il soldato nordcoreano sopravvissuto, il sergente Oh Kyeong-pil, forniscono infatti due versioni differenti.

La storia del film si pone dunque lo scopo di raccontare la possibilità amicizia tra i due Stati attraverso le vicende dei suoi protagonisti. Svelarvi il perché, dal punto di vista narrativo, significherebbe cadere in qualche spoiler: possiamo allora spiegare come il film rappresenti questo concetto visivamente. La regia di Park cerca infatti sovente di richiamare l'idea di specularità e di "doppio", in diverse modalità. Ad esempio, Nella composizione di alcune inquadrature chiave, quello che sta alla sua sinistra è richiamato da ciò che sta a destra. Il montaggio unisce scene diverse accomunate però da evidenti assonanze visive o narrative.

JSA inoltre è anche importante per come ibrida due diversi generi: la cornice della storia è infatti quella di una detective story in contesto militare, ma il suo cuore sta soprattutto nella componente melodrammatica. Partendo da un tema e da una costruzione visiva "forte" quello che rimane alla fine del film sono soprattutto i personaggi e le loro relazioni, elemento sempre fondamentale nelle opere di Park.

Cut

Cut è uno degli episodi presente all'interno del film collettivo Three… Extremes, uscito nel 2005. L'idea dell'operazione era unire tre registi di tre differenti Stati asiatici classificati come "estremi": oltre a Park, troviamo Takashi Miike (Giappone) e Fruit Chan (Hong Kong). All'interno della filmografia di Park, Cut si colloca nel bel mezzo della Trilogia della Vendetta, arrivando un anno prima dell'ultimo capitolo, Lady Vendetta.

Quando torna a casa, un regista di successo viene preso in ostaggio insieme alla moglie da un uomo che ha fatto la comparsa in cinque dei suoi film. La donna, una pianista, è imbavagliata e legata al suo pianoforte con un meccanismo di fili taglienti, mentre al protagonista il maniaco ordina di strangolare una bambina: in alternativa ogni cinque minuti taglierà un dito della sua consorte. Alla radice di questo gioco mortale c'è il sentimento di invidia dell'uomo, povero e violento, nei confronti del regista, ricco ma sempre integerrimo e di buon cuore.

Il mediometraggio ripropone dunque il tema della vendetta, senza la complessità presente nei film della Trilogia. Allo stesso tempo, in Cut questo viene sviluppato raccontando il conflitto di classe e lo svelamento delle bugie e dell'ipocrisia dei membri dei ceti benestanti, motivi caro al regista, come dimostra soprattutto Mademoiselle. Con scarso minutaggio a disposizione, per Park la sfida è però soprattutto a livello tecnico: mantenere alta la tensione fino alla fine di una storia collocata in un'unità di tempo, luogo e azione. La regia, ancora una volta molto ricercata ed esplicita, sembra qui omaggiare i maestri del thriller italiano degli anni '60 e '70. Richiamando alla memoria il Mario Bava di 6 donne per l'assassino, la macchina da presa si sofferma sulla lussuosa casa del protagonista e sulla sua geometria, richiamata dai pavimenti a scacchi bianchi e neri e dalla disposizione degli arredi. Le diverse stanze vengono percorse da lunghe panoramiche mentre l'inquadratura gioca sulla profondità di campo, che rileva l'ampiezza dell'abitazione. La crudeltà della tortura inflitta alla moglie e l'enfasi sui dettagli richiamano invece esplicitamente Dario Argento.

Sono un cyborg, ma va bene

Sono un cyborg, ma va bene potrebbe rappresentare un perfetta esempio di risposta di chi, una volta raggiunta la notorietà a livello mondiale, non vuole restare imprigionato dagli stilemi che lo hanno reso celebre. Il film arriva appena un anno dopo la conclusione della Trilogia della Vendetta e ne segna un distanziamento sostanziale: è infatti una commedia sentimentale, dove la violenza è quasi del tutto assente e anche lo stile di regia è molto più controllato.

La giovane Young-goon crede di essere un cyborg e di poter parlare con diversi apparecchi elettrici, come la radio, i neon e i distributori automatici. Quando un giorno si taglia le vene di un polso e si infila alcuni fili elettrici nella carne, viene ricoverata in un manicomio in cui vivono soggetti che soffrono delle patologie mentali più disparate. Qui la ragazza si convince che mangiare cibo può in qualche modo danneggiare i suoi sistemi cibernetici e da quel momento comincia a nutrirsi soltanto leccando delle batterie. In questo luogo incontra Park Il-sun, un ragazzo che ha paura di svanire e per questo ruba in continuazione: i due diventeranno amici sempre più intimi.

Sono un cyborg ma va bene è pervaso da una dimensione fiabesca e surreale: i vari ospiti del manicomio sono una galleria di personaggi stravaganti, che il regista-sceneggiatore si diverte a mettere in relazione. Evidente la simpatia che Park prova per loro, a cui fa da contraltare nuovamente la sua visione della famiglia non certo edificante. Tutti i "malati" sono lasciati al loro destino e spesso è quest'ultima la causa della loro presunta "pazzia". La messa in scena gioca sulla profondità di campo e su inquadrature con inclinazione obliqua, richiamando l'effetto di distacco dalla realtà di chi sta all'interno dell'istituto. Il cuore del film è però soprattutto nella componente sentimentale, presente nella nascente relazione tra Young-goon e Park Il-sun. Soli e senza punti di riferimento, i due giovani diventeranno ciascuno l'ancora di salvezza per l'altro. Tramite loro, il film racconta dunque anche cosa significa essere veramente un "essere umano", cosa significa veramente essere "malato".

Cosa ne pensate di questi tre film di Park Chan-wook? Lasciate un commento!

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