Paolo Villaggio: con Fantozzi creò la maschera comica più tragica del '900

Paolo Villaggio ha creato la maschera comica più tragica del '900. Si chiama Ugo Fantozzi, diventato addirittura aggettivo della lingua italiana. Oggi Fantozzi sarebbe un vincente.

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Fantozziano

"Fantozzi è il personaggio più tragico della letteratura italiana".
E Paolo Villaggio, autore di questa apparentemente bizzarra affermazione virgolettata, è uno dei pochissimi cinematografari italiani, insieme a Federico Fellini ed Enrico Lucherini, ad essere entrato dentro la dizionaristica italiana con il termine "fantozziano". Per Treccani.it vuol dire: "Di persona, impacciato e servile con i superiori: quel collaboratore è proprio una figura fantozziana. Anche, di accadimento, penoso e ridicolo: una situazione fantozziana". Per Garzanti: "si dice di persona talmente ossequiosa nei confronti dei superiori da dar luogo a situazioni grottesche / si dice di situazione di questo tipo. Etimologia: dal nome del personaggio del ragionier Fantozzi, creato dall’attore Paolo Villaggio nel 1975".
È molto importante quando un artista diventa aggettivo. È significativo quando un creativo entra dentro la lingua del suo paese diventando una parola come capitò ai Monty Python (amatissimi e ben conosciuti da Paolo Villaggio) con "pythonesque" dentro l'Oxford Dictionary.

Dalla scrittura

Uomo di lettere più che di immediata visione (scontava, come Marty Feldman in Uk, il pregiudizio di chi non lo considerava abbastanza telegenico), il genovese Villaggio si divertiva un mondo a raccontare sulle pagine dell'Europeo le avventure di questo buffo travet figlio a sua volta di un nome diventato aggettivo dopo il successo incredibile de Le Miserie D’Monsù Travet di Vittorio Bersezio a teatro nel 1863 dove in un'Italia appena unita esplode questa commedia in cinque atti sulle avventure di un misero impiegato vessato e sfortunato di nome Ignazio Travet. L'Ugo Fantozzi protagonista dei raccontini di Villaggio su l'Europeo, poi raccolti nel best-seller Fantozzi del 1971 (il primo film è del 1975), è "figlio" di Ignazio Travet ma anche delle esperienze di lavoro all'Italsider del giovane Paolo quando una solida carriera nel mondo dello spettacolo da star pareva per lui ancora un miraggio. La maschera non è mai un exploit comico casuale. La maschera racconta un paese, diventa simbolo, ingrandisce le caratteristiche del comico che la indossa e descrive un'epoca. È sempre emblema di mito (infatti sulle origini anagrafiche di Fantozzi Villaggio diventerà più epico e fantasy di Tolkien), immortalità (il ragioniere lo si può clonare, infatti, in Fantozzi 2000 - La Clonazione), indistruttibilità (Fantozzi è come Willy il Coyote: si piega ma non si spezza mai; può essere venduto al bancone del pesce mentre il corpo si allunga, si fonde, esplode) e soprattutto metafora. Di ieri, però.

Da perdente a malinconico ricordo

Oggi Ugo Fantozzi non esiste più perché non esiste più il posto fisso e l'impiegato di medio livello. Se prima Fantozzi era uno sfigato, oggi Fantozzi siamo tutti perché devi far parte di un paese vincente per essere un perdente. Ugo è il lato oscuro dell'Italia del boom ed è la congiunzione dolorosa che atterriva Pasolini e Calvino tra Italia contadina e aggressiva società dei consumi del nostro dopoguerra. Oggi ci sarebbero dei giovani italiani, o anche meno giovani, che darebbero la vita... per avere la vita di Ugo Fantozzi. E infatti non ci sembra un caso che il suo unico vero erede come maschera del cinema italiano, Checco Zalone, costruisca tutto il suo ultimo film sull'importanza fondamentale di conservare nell'Italia di oggi l'ormai sempre più raro e prezioso "posto fisso".
In quel tipo di limbo professionale e castello kafkiano viveva e soffriva, invece, il nostro povero (oggi ricco) Ugo Fantozzi. Lo ha fatto per ben dieci film dal 1975 al 1999 (altra non coincidenza: Fantozzi ci lascia con l'ultimo film pochi anni dopo la codificazione del precariato attraverso i contratti di lavoro coordinati e continuativi).

Conclusioni

In principio dunque ci fu Petrolini, con il cocainomane attore "senza orrore di sé stesso" Gastone e le maschere minori Amleto e Fortunello, poi irruppe Totò con la fame, la furbizia partenopea e la voglia di mordere della secolarizzazione di un Pulcinella più individualista, poi Alberto Sordi (il cinismo del boom) e i giovani del post-68 Massimo Troisi (il giovane napoletano si fa esistenzialista), Nanni Moretti (il suo Michele Apicella, maniacale e assassino, è una delle maschere più interessanti, più vicine al lavoro di Villaggio e in fondo poco esplorate del dopoguerra), Carlo Verdone, Roberto Benigni (ma l'io dell'autore, in questi casi, è sempre più pronto ad uccidere la maschera) e per ultimo lui: Checco Zalone (una vera maschera che al terzo film entra in crisi con sé stessa, fa autocritica e prende un'altra direzione).
Padre di Zalone (più vicino a lui che non ai più sereni e "trombanti" Troisi, Benigni, Nuti, Pozzetto, Abatantuono & Co. fino a Pieraccioni) e figlio della letteratura russa e del teatro in anticipo sui temi del Bersezio, Villaggio con Fantozzi creò una maschera molto intellettuale con la quale stabilì un rapporto dialettico spesso frainteso (l'autore ha sempre disprezzato Fantozzi, considerandolo un piccolo uomo sempre pronto ad appoggiare il più forte in società e quindi incline a meschinità, ingiustizia e cattiveria).
Salutiamo dunque un grande artista e creatore di uno dei personaggi più efficaci e potenti del '900 italiano.

CORELLATO

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