P.T. | Giochi del Decennio #9

Per capire la grandezza di P.T. basterebbe accorgersi di quanto e di come questo gioco faccia ancora parlare di sé a tanti anni dalla sua cancellazione.

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Prosegue la nostra selezione di Giochi del Decennio: oggi è il turno di P.T., e fino a lunedì 23 dicembre, qui su BadTaste, vi racconteremo i migliori giochi usciti dal 2010 al 2019, al ritmo di uno al giorno.

Può una semplice demo ambire al titolo di gioco del decennio? Può misurarsi con killer application dai valori produttivi esponenzialmente maggiori? Ha il diritto di ergersi tra le produzioni più influenti degli Anni ’10?
La grandezza di Hideo Kojima non si riduce nella pretesa di essere un grande scrittore di storie interattive, anche perché non sempre riesce a trovare il giusto equilibrio, come ben testimonia Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots. Il game designer nipponico, semmai, sa eccellere proprio nell’inventare nuove meccaniche ludiche e nel fonderle credibilmente con il contesto narrativo che anima i mondi digitali che crea.

Basterebbe citare Boktai: The Sun is in Your Hand, per dare un chiaro esempio di quanto appena sostenuto, ma lo stesso Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, open-world in un modo così inusuale, sostiene piuttosto bene la causa.

Eppure, per capire la grandezza di P.T. basterebbe accorgersi di quanto questo gioco faccia ancora parlare di sé, a più di cinque anni dalla sua release, a più di quattro anni da quel 29 aprile 2015, quando il gioco, fu tristemente rimosso dallo store digitale di Sony.

Tra smanettoni che sono riusciti a scoprire che l’inquietante Lisa fosse in realtà costantemente alle spalle del videogiocatore, modder che sono riusciti ad esplorare la Silent Hill che si estendeva attorno alla casa che fungeva da unica ambientazione dell’esperienza e collezionisti che conservano ancora gelosamente la propria PlayStation 4 su cui è tutt’ora installato l’esercizio di stile di Kojima, P.T. è diventato in fretta un piccolo fenomeno culturale.

Del resto, stiamo pur sempre parlando di un horror semplicemente perfetto nella sua capacità di spaventare ed inquietare, imperniato su un’interattività a suo modo unica e tremendamente sagace.

Chiariamolo subito: di livelli che si richiudono in sé stessi, sempre identici e virtualmente infiniti fino a quando non si compie un’azione in particolare, ne abbiamo affrontati a bizzeffe fin dai tempi di Super Mario Bros., quando in uno dei tanti castelli di Bowser bisognava seguire un sentiero specifico per raggiungere il classico scontro sul ponte sospeso.

Ciononostante P.T. ha entusiasmato chiunque abbia avuto il piacere di giocarlo per la complessità degli enigmi proposti, spesso e volentieri disciolti e diluiti talmente tanto tra le stanze della casa, da rendere la risoluzione casuale o frutto di pura fortuna. Secondo alcuni ciò avrebbe reso il completamento della demo fin troppo difficile, eppure stiamo pur sempre parlando di un qualcosa che non doveva, né voleva essere forzatamente completato, quanto di un’avventura protesa a terrorizzare e a lasciar presagire un ulteriore sviluppo, nel gioco vero e proprio, che sfortunatamente non vedremo mai.

Nonostante la delusione per la cancellazione del progetto, a distanza di anni ci restano le ipotesi, gli indizi, gli innumerevoli video di gameplay che ci raccontano di un titolo assolutamente unico nel suo genere, capace di generare cloni e di ispirare numerosi altri survival horror.

Brillante, complesso, dall’art design riuscitissimo, P.T. è tra gli horror più terrificanti degli Anni ’10, la lampante dimostrazione che la qualità può battere in qualsiasi caso la quantità.

Il vero rammarico è che solo in pochissimi fortunati possono ancora giocarlo, tesoro di pixel e poligoni che al contrario andrebbe preservato e mostrato anche alle generazioni future.

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