Overwatch ha raccolto quasi 13 milioni di dollari per la ricerca, alla faccia di quelli che “i videogiochi fanno male”

L’iniziativa benefica di Overwatch legata a Mercy Rosa è stata un grande successo

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I videogiocatori sono, tendenzialmente, gente strana. Iperattivi, furiosi nei social network, nevrotici nelle lobby online, nonché spesso assassini, psicopatici e tanti altri aggettivi poco lusinghieri. Ma, allo stesso tempo, sono anche persone in grado di donare 13 milioni (tredici, milioni) di dollari per una iniziativa benefica legata ad un contenuto estetico di un videogioco, ovvero la skin Mercy Rosa di Overwatch.

Un passo indietro. L’8 maggio scorso, senza nessun teasing o campagna promozionale preventiva di alcun tipo, nella home di Overwatch è apparsa una nuova schermata dedicata a Mercy, l’angelo della salvezza del roster dello shooter di Blizzard. L’evento è legato ad una campagna di beneficienza promossa in favore della Breast Cancer Research Foundation, la fondazione dedicata alla ricerca contro il cancro al seno.

Mercy Rosa è stata acquistabile dal 8 al 21 maggio, esclusivamente con valuta reale, per 15€, e al termine di quella data è scomparsa per sempre. Niente lootbox o premi di alcun tipo, solo acquisto diretto. Parallelamente ad una linea di t-shirt dedicate alla stessa iniziativa, Blizzard ha diffuso i dati ufficiali dell’esito dell’iniziativa: quasi tredici milioni di dollari raccolti tra acquisti ed eventi streaming di beneficienza ad esso collegati, supportati direttamente dalla software house stessa.

Quasi tredici milioni di dollari non sono esattamente pochi. Diciamo pure con tranquillità che sono cifre che raramente si riescono a raccogliere in così poco tempo in iniziative benefiche, figuriamoci nel mondo dei videogiochi.

[caption id="attachment_187411" align="aligncenter" width="1024"]Overwatch Mercy Rosa L'iniziativa di Blizzard è stata preziosa, e la speranza è di vederne sempre più spesso anche dalla concorrenza[/caption]

Il successo dell’iniziativa, oltre all’ovvia motivazione benefica, è insito nella sua stessa natura. Ai videogiocatori piacciono i contenuti esclusivi, comprano collector’s edition, armi e vestiario aggiuntivi per giochi single player in cui, tendenzialmente, dopo i primi 20 minuti di gioco ne trovano di migliori, figuriamoci una skin che si ottiene solo in quel modo. Una skin che, peraltro, è anche oggettivamente ben realizzata, a prescindere da cosa rappresenti.

"Il videogiocatore è, in generale, un utente disposto a spendere soldi, e quindi perfetto per questo tipo di campagne"Il videogiocatore è, in generale, un utente disposto a spendere soldi, e quindi perfetto per questo tipo di campagne. Spendere denaro in lootbox è una cosa che qualcuno non farebbe a cuor leggero, ma una cifra magari più alta per una cosa del genere è più accettabile (oltre che socialmente utile, si intende).

Non è ovviamente la prima volta che l’industria dei videogiochi si prodiga in iniziative del genere, ma è senz’altro uno degli eventi più reboanti degli ultimi tempi. Basti pensare al Celebrity Pro Am, un torneo di Fortnite svoltosi durante l’E3 2018, seguito da più di un milione e mezzo di persone (tra streaming e presenti allo stadio), che ha raccolto tre milioni di dollari. In generale capita spesso anche di vedere streaming di beneficienza su Twitch o YouTube che sia per iniziative spontanee o globali, come anche portali che raccolgono fondi nelle maniere più particolari.

[caption id="attachment_187409" align="aligncenter" width="1600"]Twitch beneficienza Tutti i numeri delle iniziative benefiche di Twitch[/caption]

Humble Bundle raccoglie in continuazione fondi per iniziative ed associazioni benefiche, offrendo pacchetti di videogiochi (ma non solo) a volte davvero imperdibili. Per non parlare dell’Humble Bundle Monthly, un servizio in abbonamento che, nei mesi scorsi, ha offerto addirittura Destiny 2 al suo interno, arrivando a raccogliere anche quasi 7 milioni di dollari con singoli bundle. Gli streamer di Twitch che si sono prodigati per la beneficienza hanno collezionato più di 75 milioni di dollari in totale dal 2012, di cui 9,1 nel corso del 2017.

Sono eventi che, indubbiamente, funzionano. È giusto ricordare anche iniziative come Extra Life, che si occupa di raccogliere soldi per gli ospedali, Games Done Quick, che sfrutta l’incredibile talento degli speedrunner per fare beneficienza, l’istituto medico di St. Jude che sponsorizza direttamente Play Live, uno streaming in cui i partecipanti stessi mettono soldi per poter giocare ai titoli preferiti, da soli o in compagnia di altri.

L’immediatezza di un versamento con PayPal batte qualsiasi SMS e telefonata e sicuramente, per un pubblico giovane e pronto a mettere mano al portafogli come quello videoludico, uno stream di videogiochi è senz’altro più allettante di una pur lodevole serata intera con Carlo Conti e una serie di personaggi televisivi imbolsiti e con poca voglia di vivere.

Peccato che, però, queste iniziative vengano difficilmente messe in risalto dalla stampa generalista, da quegli stessi organi di informazione che parlano di malattia mentale (con poca o nessuna cognizione di causa, spesso), e non perdono tempo a mettere in risalto i più risibili collegamenti tra lo stragista di turno ed un videogioco sullo scaffale trovato da una foto su Facebook sfocata.

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