Oscar – Un fidanzato per due figlie: Sly e la commedia, parte 1

Oscar – Un fidanzato per due figlie fa parte del “periodo ah ah” di Stallone, nel quale tentò la fortuna con le commedie brillanti, con alterni risultati

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Questo speciale su Oscar – Un fidanzato per due figlie fa parte della rubrica Tutto quello che so sulla vita l’ho imparato da Sylvester Stallone.

Angelo Provolone. Leggete questo nome, ripetetelo ad alta voce, assaporatelo. Sylvester Stallone in carriera si è trovato spesso a fare l’italoamericano, e quindi si è visto spesso assegnare nomi che a noi italiani sembrano assurdi, o almeno fanno sorridere. Joe Machine Gun Viterbo. Cosmo Carboni. Gerald Cavallo. Angelo Provolone detto Snaps, però, potrebbe essere il migliore nonché il più buffo: il segreto è che è fatto apposta così, per fare ridere. Perché è vero che Sly è sinonimo di muscoli, sparatorie, sangue, violenza e cazzotti, e anche, come saprete se avete seguito il resto di questa rubrica, di dramma.

Ma c’è stato un periodo, un breve e non troppo glorioso periodo, nel quale Stallone ha provato un’altra strada: quella della commedia pura, della quale Oscar – Un fidanzato per due figlie è il primo rappresentante in ordine cronologico.

Non che fino a quel momento Stallone non si fosse mai cimentato con qualcosa di brillante, anzi: aveva già fatto un musical e una commedia sportiva familiare, e in generale aveva dimostrato di avere un registro ben più ampio di quello che gli viene attribuito quando lo si limita a Rambo e Rocky. Ma Oscar – Un fidanzato per due figlie è la sua prima, diciamo così, commedia pura, il primo film da lui girato il cui scopo principale è quello di fare ridere. Il film è il circa remake di una commedia francese degli anni Settanta, che però John Landis sposta in termini geografici e anche cronologici, trasformando quella che era una classica commedia degli errori con protagonista un ricco imprenditore in una commedia degli errori un po’ meno classica con protagonista un mafioso in cerca di redenzione.

Perché ovviamente se hai Stallone e gli stai facendo fare un italoamericano, la scelta migliore è quella di farlo anche mafioso, così da poter giocare ulteriormente con il suo accento e anche il suo aspetto. Angelo Provolone, però, vorrebbe smetterla con questa storia del crimine, e promette al padre morente che si troverà un lavoro onesto e metterà in soffitta l’attività di famiglia. Quando però arriva il giorno in cui dovrebbe firmare le carte che lo renderebbero socio della sua banca esaudendo così il desiderio del defunto genitore, al povero Angelo succede di tutto, come nelle migliori screwball comedy (perdonateci il forestierismo, ma non esiste un equivalente italiano) dell’epoca nella quale si svolge il film.

Oscar – Un fidanzato per due figlie è una classica commedia nella quale ogni scena è una rivelazione, più o meno assurda ma sempre imprevedibile, e che quindi cambia direzione alla trama e la porta in luoghi inaspettati fino a cinque minuti prima. In quanto tale, è anche un film impossibile da raccontare senza rovinare qualche sorpresa, ed è anche un film difficile da sintetizzare perché è fatto di decine di parti in movimento che si agitano in modo caotico e le cui traiettorie sono difficilmente prevedibili. Di base tutta la vicenda ruota attorno a un padre e una figlia, con la madre un po’ sullo sfondo: il primo è ovviamente Stallone, la seconda la praticamente esordiente Marisa Tomei, mentre la terza una sprecatissima Ornella Muti.

L’Oscar del titolo, invece, è l’uomo che la piccola Lisa vorrebbe sposare – o forse non è lui, e forse quello che è convinto di essere innamorato di lei in realtà si è innamorato di un’altra. C’entra magari il contabile di Angelo Provolone, che intanto lo ha anche truffato e ora lo sta ricattando? Ci fermiamo qui, ma dovremmo aver reso l’idea di come funzioni Oscar – Un fidanzato per due figlie, che come tutte le commedie del suo genere sembra un caos primordiale fino a che non ci si rende conto che è un meccanismo perfetto e complicatissimo.

Fin troppo, ed è qui il suo più grosso limite: Oscar è un film talmente concentrato a imitare i suoi idoli del passato da dimenticarsi la personalità, e il risultato è quindi formalmente inattaccabile ma fin troppo macchinoso e soprattutto meccanico, come se guardando con un po’ di attenzione si vedesse sullo sfondo la matrice, il diagramma di flusso che permette a questa storia di funzionare e che gli toglie parecchia spontaneità. E purtroppo qui è dove dobbiamo dire che Stallone non aiuta.

In mezzo a un cast di altissimo livello e con alcune prestazioni indimenticabili (Marisa Tomei su tutte), Sly propone invece un’interpretazione un po’ timida, quasi come se non fosse del tutto a suo agio sul set di una commedia e dovesse sforzarsi per restare nel mood. Non arriva a essere un pesce fuor d’acqua perché comunque ha il mestiere dalla sua parte e quando serve può sempre appoggiarsi allo stereotipo italoamericano per portare a casa una scena, ma è chiaro che non è in controllo della situazione, che è solo un altro attore che prende indicazioni dal regista, e non crediamo sia un caso che lo stesso John Landis abbia dichiarato candidamente che “con Al Pacino [la prima scelta di casting, che disse di no per girare Dick Tracy] Oscar sarebbe stato un film migliore”.

Detto tutto questo, Oscar – Un fidanzato per due figlie rimane un film di John Landis, cioè uno dei migliori autori di commedie della storia: non è un disastro perché era fisicamente impossibile che lo fosse, solo un film meno riuscito del previsto e più efficace sulla carta che su pellicola. Sarebbe bello poter dire che Sly imparò subito la lezione e tornò a fare quello che sapeva fare, ma l’episodio di settimana prossima ci dirà tutt’altro.

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