Oscar 2025: candidiamo il bellissimo Vermiglio o il potente Parthenope?

Il futuro è donna, anche al cinema. Lo penserà anche la commissione che sceglierà il film che rappresenterà l'Italia agli Oscar?

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Premessa

Martedì 24 settembre l'Italia decide quale nostra opera candidare per Miglior film internazionale alla 97ª edizione degli Oscar. La commissione designata dall'Anica negli scorsi anni ha ricevuto tali e tante pressioni che non si conosce un solo singolo nome di chi ne faccia parte. Ci crediamo? Insomma. Dubitiamo profondamente che a Rai Cinema, Piper Film, Lucky Red o altrove non si conoscano i nominativi dei signori e delle signore che il 24 settembre faranno una scelta importante che vale strategie e anni di lavoro. Ci permettiamo un forte scetticismo al riguardo.

Ufficialmente in corsa ci sono 19 pellicole tutte distribuite, anche con poche copie, nel periodo tra il 1° novembre 2023 e il 30 settembre 2024. Si va, in ordine alfabetico, da Accattaroma di Daniele Costantini a Zamora di Neri Marcorè. Questo sulla carta. Ufficiosamente sono solo due i film che se la stanno giocando realmente: Parthenope di Paolo Sorrentino e Vermiglio di Maura Delpero. Il primo è stato presentato in concorso a Cannes 2024 senza vincere niente, anzi pare che la Presidente di Giuria Greta Gerwig l'abbia abbastanza detestato. Il secondo ha recentemente trionfato in competizione a Venezia 2024 ottenendo la seconda onorificenza più importante della Mostra, ovvero il Gran Premio della Giuria.

Ora smettiamo i panni del giornalista e mettiamo quelli del critico. Per scrivere qualcosa del film più bello dei due, uscito il 19 settembre nei nostri cinema.

Una scena di Vermiglio di Maura Delpero

Vermiglio

Siamo con la famiglia Graziadei, in un paesino della Val di Sole addosso al Passo del Tonale, nel 1944. I colti del villaggio pregano in latino. La Guerra sta finendo e qualche soldato torna a casa più afasico degli zombi di George Romero. Infatti dirà della sua condizione: “È come se sei vivo ma non proprio”. In paese c'è fermento, le giovani donne osservano un nuovo maschio scuro di carnagione (“È siciliano!” come dire marziano) denominato eroe e che già pare avere quasi un epiteto. Lo chiamano “Il Pietro che ha portato l'Attilio sulle spalle”. I bimbi fantasticano sulla sua forza e altruismo mentre la regista è bravissima a farci sentire le diete familiari frutto dell'economia domestica (un bicchiere di latte a testa alla mattina), il lavoro in fattoria, i lettoni sovraffollati per scaldarsi intrecciandosi l'un l'altro, il raduno in chiesa.

Si parla un dialetto grazioso all'udito dove anche una malattia terminale per neonati come lo “strangolin” suona quasi simpatica. Poi c'è il “masetto” (casupola arrangiata) e se qualcuno vuole fumare in compagnia propone: “Pippamo enseme?”. Il padre Graziadei pare un maestro bonario che tutti rispettano. Ovviamente timorato di Dio (Chiesa e Cultura vanno a braccetto), decide chi studia e chi no in famiglia, insegna a scuola, impone cordialmente l'italiano nelle conversazioni tra i banchi e in taverna, si permette qualche spesa extra (non sia mai che non possa ascoltare musica classica anche se la moglie è incavolata perché a casa manca il cibo) ed ha pure un angolo tutto suo di erotismo nello studiolo, dove conserva gelosamente piccanti dagherrotipi di signore svestite.

Siamo in pieno patriarcato di montagna dalla facciata perbene. Poi, con il passare dei minuti, i visi si deformano e le parole diventano cattive. Lui (Tommaso Ragno, ma potreste non riconoscerlo) ascolta Chopin, sua moglie invece presta l'orecchio a desideri e afflizioni dei figli. Lui può eccitarsi quanto, quando e come vuole, mentre la primogenita Ada, quella sporcacciona, deve sentirsi sempre zozza quando si tocca dietro l'armadio o si passa una piuma sul corpo prima di dormire. Delpero è una regista apparentemente sottovoce che con il passare dei minuti aumenta la tensione tra le mura dei Graziadei. È un'artista gentilmente feroce. Diciamo dallo stile pacato ma implacabile.

Accanto alla magnifica Ada, sconfitta perché voluttuosa e probabilmente anche lesbica, brilla sia in famiglia che in paese la sorella vincente Lucia. Sarà lei la fortunata a intercettare gli sguardi dell'eroico Pietro e, dopo aver incarnato l'omonima Santa Lucia a una festa dicembrina (prima di Babbo Natale, da quelle parti c'era la santa cieca di provenienza sicula a dettare legge a Natale), si sposerà con l'eroe di guerra. Nel frattempo le stagioni passano a Vermiglio e la fotografia vermeeriana del russo Mikhail Krichman dall'inverno livido passa a una maggiore luminosità con l'approssimarsi di primavera ed estate. Il 1944 ha lasciato il posto a un 1945 che entrerà nei libri di Storia per la fine di un conflitto mondiale che a Vermiglio nessuno ha mai visto. La Guerra sta terminando ma la modernità è appena cominciata. Le stanze si svuotano, la disgregazione è in atto, il patriarca comincia finalmente ad essere contestato (lì si vedrà il suo vero volto?), mentre Lucia andrà in Sicilia per capire chi sia realmente suo marito Pietro.

Questa gita in Trinacria è l'unica pecca del film, per come viene montata bruscamente dentro 119 minuti quasi perfetti. Perché? Quando tu sei così convincente come regista a esaltare con immagini e dialoghi un microcosmo geografico, devi stare molto attento se, con uno stacco al montaggio, proponi all'improvviso allo spettatore una brutale gita fuori porta. C'è poi una ragione socioeconomica in questo rimprovero: se il maestro padrone è così platealmente in controllo delle non ingenti risorse economiche dei Graziadei (ricordiamoci il bicchiere di latte a testa e la disputa sul vinile di Chopin), come ha fatto Lucia a fare armi e bagagli e partire così tranquillamente? Prima di ciò non l'abbiamo mai vista allontanarsi da Vermiglio più di cinque metri.

Sembra che in tutta la sequenza riguardante la Sicilia, che vede anche l'ingresso dell'altro nome di punta del cast accanto a Ragno e Carlotta Gamba (l'amante latente di Ada), ovvero Sara Serraiocco, ci siano stati dei tagli al montaggio. Manca qualcosa e per la prima volta il film è precipitoso. Ma è l'unico appunto a una delle opere più belle del Concorso della da poco conclusasi 81ª Mostra del Cinema di Venezia. La regista bolzanina Maura Delpero diventa una stella del nostro cinema con appena due film. Dopo l'esordio Maternal (2019), in gara a Locarno (occhio che Vermiglio ha una chiusa legata ad Ada che ricorda quel bel battesimo), ora il suo nome può essere importante anche in ottica Oscar. E questo ci obbliga a rimetterci le vesti da giornalista.

Una scena di Parthenope di Paolo Sorrentino

Conclusioni

Che fai cara commissione Anica? Mandi verso i votanti dell'Academy Vermiglio, ovvero un'opera seconda splendida, diretta da una sconosciuta in America, che ha vinto grosso a Venezia ma che ha i piccoli Sideshow e Janus Films come distributori in USA? Oppure opti per il nettamente inferiore Parthenope, bocciato a Cannes, per la regia di un artista amatissimo e conosciuto dall'Academy perché vincitore dell'Oscar nel 2013 (La grande bellezza) ed entrato in cinquina nel 2022 (È stata la mano di Dio), con in più la corazzata A24 come distributore statunitense? Noi da critici non staremmo a riflettere un attimo: si scelga Vermiglio. Però poi, da giornalisti, pure patrioti, entreremmo più in crisi perché superare la shortlist e andare avanti dentro la campagna Academy richiede sforzi economici ingenti che A24, abituata a vincere Oscar a bizzeffe, affronterebbe sicuramente meglio di Sideshow e Janus Films.

Bel dilemma. Può aiutare forse a scegliere la quasi certezza, ad oggi, che l'Oscar 2025 per Best International Feature Film noi italiani comunque ce lo possiamo sognare. I concorrenti sono i giganteschi Emilia Pérez di Audiard, Il seme del fico sacro di Rasoulof, All We Imagine As Light della eccezionale Payal Kapadia, I'm Still Here di Salles, che questo Oscar specifico lo vinse già 24 anni fa con Central do Brasil. Allora, perso per perso, che si vada con Delpero. Almeno possiamo cominciare a far conoscere a quel “club” di votanti illustri una cineasta che speriamo segni i prossimi 20 anni di cinema italiano. Perché il futuro è donna, anche al cinema. E quindi il futuro è Delpero.

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