Oscar 2009: un commento

Tutto come previsto, in una cerimonia interessante ma diseguale. The Millionaire fa praticamente lo sweep, Benjamin Button si accontenta delle briciole, attori scontati. Ci voleva Mickey Rourke sul podio...

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Rubrica a cura di ColinMckenzie

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Prima di iniziare, vi invito a fare un gioco. Prendete Il curioso caso di Benjamin Button e The Millionaire e invertite i registi. Fate finta, insomma, che la pellicola epica su un uomo che ringiovanisce l'abbia diretta Danny Boyle, mentre la fiaba nell'India moderna in cui tutti vedono Chi vuole essere milionario? l'abbia realizzata David Fincher, fermo restando che i due film rimangono uguali a come li avete visti sullo schermo (insomma, pellicola uguale, registi scambiati per gioco, spero sia chiaro). Quali pensate che sarebbero state le reazioni negli Stati Uniti? La mia impressione è che Benjamin Button avrebbe fatto incetta di Oscar (magari insidiando il record di 11 vittorie di Ben Hur, Titanic e Il ritorno del re), supportato da una critica che elogiava la "sensibilità europea del regista" in una pellicola di "grande profondità". Penso invece che un The Millionaire firmato da Fincher sarebbe stato attaccato perché "falso, ipocrita e decisamente pubblicitario" (su quest'ultimo aspetto, ovviamente, si sarebbe ricordato il settore in cui Fincher ha incominciato la sua carriera) e magari qualcuno avrebbe anche parlato di "sguardo razzista su un Paese che non si conosce". Ecco, una delle cose che non capirò mai della critica americana è un evidente senso di inferiorità verso gli europei. Ora, parlassimo del cinema classico di Federico Fellini, François Truffaut, Werner Herzog (per la prima volta nominato quest'anno) e Lindsay Anderson potrei anche capire. Ma no, questi stravedono per Danny Boyle e Tom Tykwer, neanche fossero dei geni indiscutibili, e poi magari scartano a priori (come avvenuto negli ultimi due anni) pellicole americane straordinarie come Into the Wild di Sean Penn e Changeling di Clint Eastwood.

Detto questo, l'Academy viene spesso accusata di essere troppo tradizionalista e di favorire sempre un certo tipo di film. Ma ne siamo proprio sicuri? L'idea della tradizione degli Oscar è generalmente quella di un film imponente (magari epico e/o un musical), con un lavoro evidente da parte dei vari settori tecnici e (non guasta mai) anche un po' di messaggio. Eppure, andando a vedere certe vittorie recenti, qualche dubbio ti viene. L'anno scorso, un titolo come Espiazione ha perso contro i Coen di Non è un paese per vecchi. Qualche anno fa, Million Dollar Baby ha sconfitto The Aviator, che sembrava un prodotto perfetto (visto che parlava di storia americana mista a quella di Hollywood). Quest'anno, è impossibile dire che Il curioso caso di Benjamin Button non sia una pellicola 'più da Oscar' (qualsiasi cosa voglia dire questa definizione) di The Millionaire. Eppure...

Non vi aspettate però da parte mia un attacco contro Danny Boyle e la pellicola, anche perché ho già dato, ma soprattutto perché alla fin fine siamo nel campo dei gusti personali e probabilmente questa favola esotica aveva qualcosa che ha toccato nel profondo la maggioranza dei giurati.
Mi sconvolgono di più altri premi per The Millionaire. Possibile che un montaggio videoclipparo debba essere premiato? E la fotografia scintillante (ma il lavoro di integrazione con gli effetti speciali di Benjamin Button non era preferibile?)? Per quanto riguarda la colonna sonora, veramente, tra tutte quelle canzoni, qualcuno si ricorda le musiche vere e proprie? Detto questo, dopo che il sindacato degli attori ha conferito il premio per il Miglior cast a The Millionaire ('superiore' a Il dubbio, Milk, Il cavaliere oscuro e Frost/Nixon) non posso più sconvolgermi di nulla, perché quello è stato veramente il punto più basso di questa stagione dei premi. Chissà invece come si sente Tom Sayers, che ha realizzato il montaggio degli effetti sonori del film e che è stato l'unico a non vincere per questo titolo nella serata (considerando anche le due candidature per la canzone, praticamente è stato uno sweep)

Per quanto riguarda gli interpreti, tutto prevedibile e anche l'unica categoria incerta è andata a chi (Sean Penn) forse viene considerato attore "più serio" e premiabile di Mickey Rourke (ma sarebbe venuta giù la sala per la sua vittoria). Diciamo che è avvenuta una situazione simile a quando nel 1995 Tom Hanks di Forrest Gump sconfisse (vincendo il suo secondo Oscar) il redivivo John Travolta di Pulp Fiction. Da un certo punto di vista, dispiace ovviamente che la migliore attrice della sua generazione, Kate Winslet, vinca per uno dei suoi titoli meno convincenti, anche se ovviamente, visto come un premio alla sua (finora) luminosa carriera (come spesso è questo riconoscimento), ci sta bene. Speriamo solo che questo non la convinca di dover fare ancora titoli come The Reader e magari per le prossime occasioni si prepari un discorso un po' meno rozzetto e banalotto. Comunque, vedremo adesso cosa diranno i soloni della polemica sull'antisemitismo che le doveva far perdere l'Oscar.

Penelope Cruz dimostra ancora una volta che è un'altra attrice se recita in spagnolo (e se si può permettere di parlare con un accento inglese traballante come fa in Vicky Cristina Barcellona, problema linguistico che dal suo discorso di ringraziamento non sembra molto migliorato). Lo scontatissimo Oscar a Heath Ledger forse avrebbe dovuto essere consegnato a qualcuno che ha lavorato a Il cavaliere oscuro (Nolan o Bale magari), piuttosto che alla famiglia, ma se questo è stato il modo per ricordarlo da parte dei suoi cari bene così.

Il problema è che le sorprese sono state quasi nulle (chi scrive ha azzeccato 17 pronostici su 24 e non è neanche stato troppo bravo, considerando che c'è chi ne ha beccati 21) e questo in una cerimonia di premiazione non è mai positivo (perché vedere una cosa scontata?). Forse l'Oscar più strano è stato quello per il sonoro di The Millionaire, ma certo non è una categoria che stimola l'immaginario popolare. Per quanto riguarda il miglior film straniero, il ristretto ramo dell'Academy che se ne occupa ci ha abituato a scelte strane, ma essendo Departures l'unico film della cinquina che non ho visto, impossibile giudicare. Intanto, complimenti a Kris Tapley che aveva previsto questa scelta.

La cerimonia. Hugh Jackman è bravo, bravissimo. E il numero iniziale era fantastico, anche grazie a una Anne Hathaway in stato di grazia. L'idea di mettere diversi premi importanti (sceneggiature, Oscar per la miglior non protagonista, pellicola d'animazione) all'inizio è buona per non costringere il pubblico a due ore di categorie tecniche. Ma la formula sembra sempre troppo lunga e con diversi momenti inutili, tra cui i superflui (e quest'anno anche bruttini) montaggi per l'azione e l'amore. Non è stata una bell'idea neanche quella di mettere una cantante durante il ricordo degli artisti che ci hanno lasciato nell'ultimo anno, quantomeno perché talvolta impediva di leggere il nome di chi non c'era più sullo schermo a fianco. Anche l'idea di avere cinque attori vincitori del passato per presentare i nominati del presente rischia di essere retorica. Ma, forse, il vero, grande problema è che finché il 90% dei vincitori leggerà un elenco del telefono di persone da ringraziare, la noia regnerà sovrana (e non basterà il commovente discorso di Dustin Lance Black, sceneggiatore di Milk). D'altronde, se non si vuole neanche premiare Mickey Rourke (Sean Penn è bravissimo, per carità, ma questo era l'anno del comeback kid) l'unica cosa è consolarsi con quel simpatico folle di Philippe Petit, protagonista del miglior documentario Man on Wire (di cui vi avevamo parlato, tra i pochi in Italia, in tempi non sospetti).
Anche sui presentatori si poteva far meglio. A parte la battuta di Jack Black sulle sue scommesse, pessima la parodia di Joaquin Phoenix fatta da Ben Stiller (non per altro, ma considerando che viene dopo decine di altre simili...). E non ha neanche funzionato bene la coppia di Strafumati Seth Rogen / James Franco. Da leggenda (ma per i motivi sbagliati) il labbro della Loren e il modo in cui si muoveva, che all'inizio le conferiva un lieve accento tedesco. Mettiamoci anche le tantissime pause (sarà un'impressione mia, ma mai tante come quest'anno) e francamente non capisco la grande eccitazione di tanti commentatori.

Spendiamo due parole anche sui mezzi di informazione italiani. E' difficile capire esattamente quale sia l'idea di Sky nell'organizzare lo studio per la cerimonia degli Oscar. Va dato atto all'emittente di aver evitato (chissà se per la crisi o altro) il salottone dell'anno scorso, con decine di ospiti poco competenti e che sembravano essere utili solo per invitare una ventina di persone più o meno importanti del cinema italiano (e non si sa mai, qualche buona conoscenza in futuro può essere utile). Però ritengo che gli abbonati meritino di più di chi tira fuori teorie complottiste su "un'esclulsione di Gomorra fraudolenta perché era un concorrente forte" e parla di Joaquin Phoenix senza citare le probabili ragioni delle sue bizzarre scelte. L'impressione è che certi giornalisti non si vogliano preoccupare di informarsi in materia Oscar e premi e alla fine la buttino in caciara.

D'altra parte, ancora peggio ci sembrano messi certi commentatori, che ovviamente non si informano, perché tanto sanno che non c'è nessuno che li potrà contraddire. Ieri a una trasmissione di Radio24 (emittente peraltro solitamente seria e precisa), con un presentatore francamente non eccezionale, c'era ospite Mauro Gervasini di Film TV che sosteneva che la corsa agli Oscar era apertissima, che non "c'è il filmone che mette tutti d'accordo" (già, The Millionaire che ha vinto tutti i premi possibili non lo era) e che una pellicola come Frost/Nixon potesse essere l'outsider (peccato che non avesse speranze, cosa che tutti sapevamo). Pronostico per il miglior attore? Richard Jenkins (veniva dato a quote tra i 33 e i 159, insomma è più probabile uno scudetto quest'anno per il Genoa). E il fatto che Wall-E non fosse candidato come miglior film assoluto "era una scelta politica" (ossia, Obama non l'ha voluto e l'ha fatto presente ai membri dell'Academy?). Ancora peggio ha fatto nella stessa trasmissione Daniele Luchetti, regista de Il portaborse e di Mio fratello è figlio unico, che, dall'alto della sua 'straordinaria' filmografia (come no...), ci ha spiegato che Oscar come quelli a Titanic e Il Ritorno del Re dimostrano che il cinema americano è fatto solo per adolescenti e che "a Cannes un film come Il Signore degli Anelli non va" (peccato che siano stati presentati 25 minuti proprio lì e che ovviamente una pellicola così importante che esce a dicembre non può essere presentata a un Festival a maggio, per il semplice fatto che NON è PRONTA). Ora, fermo restando che a mio avviso Luchetti non ha mai girato nulla in vita sua degna di un minuto qualsiasi della trilogia di Peter Jackson, è bello sapere che recenti vincitori come i fratelli Coen (Non è un Paese per vecchi), Martin Scorsese (The Departed) e Clint Eastwood (Million Dollar Baby) siano dei realizzatori che fanno "cinema per adolescenti", ossia quello che a parere di Luchetti ormai è il panorama americano. Non si capisce, a questo punto, perché Il cavaliere oscuro non abbia vinto quindici Oscar, considerando che è stato un successo enorme, anche e soprattutto grazie ai più giovani. Comunque, si ha la solita sensazione di un realizzatore italiano che se ne frega del mercato (se al cinema vanno veramente solo gli adolescenti, forse non è proprio una grande idea prenderli per il culo e trattarli come imbecilli). E, francamente, quando si analizza il background di 'intellettuale di sinistra' (definizione che ormai rischia di essere un insulto e non a torto) di Luchetti, si capiscono anche certi risultati elettorali italiani...

Per quanto riguarda i pronostici sul Discutiamone nel Forum Cinema  

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