Oppenheimer: la storia delle vere immagini da Hiroshima e Nagasaki

In Oppenheimer le immagini vere di Hiroshima e Nagasaki sono fuori campo. Questa è la loro storia. Prima celate, poi recuperate dal cinema

Condividi

Una delle frasi più efficaci pronunciate da Oppenheimer nel film di Christopher Nolan è: “Non la temeranno finché non la capiranno e non la capiranno finché non l'avranno usata”. Per capirla, la bomba atomica, bisogna anche vederla. Il tema del mostrare le conseguenze, la visione impossibile da sostenere, è presente all’interno del film come uno dei punti più controversi. Nolan imposta il biopic stesso come uno scontro tra visioni. Il suo cinema è un dispositivo che amplifica e permette di filmare, senza effetti speciali, anche l’evento più mostruoso come la detonazione della bomba, o la più poetica danza delle particelle subatomiche. 

È quello che non si vede in Oppenheimer a generare dibattito. Nolan rende conto delle conseguenze della bomba portandoci dentro gli incubi dello scienziato. Noi spettatori vediamo il volto teso di Cillian Murphy mentre guarda un filmato fuori campo in cui sono descritte le conseguenze dell’attacco americano sui civili. Non ci sono immagini di repertorio nel film, la distruzione portata non viene mai mostrata esplicitamente, ma solo suggerita. Una rimozione solo nelle immagini, ma assai presente come sottotesto psicologico nel biopic, o una scelta eccessivamente cauta, o addirittura scorretta, da parte del regista? Una delle voci che hanno portato l’attenzione su questo punto è quella di Brandon Shimoda, curatore della biblioteca di Hiroshima. Sostiene di aver trovato demoralizzante l’assenza di queste immagini dal momento che crea una distanza tra gli eventi e le vittime. Una rimozione che focalizza la storia su Oppenheimer e meno sulla bomba. 

L’importante discussione è legata all’azione di vedere. Al coraggio di farlo. Come Oppenheimer stesso che si toglie gli occhiali per guardare la potenza che ha scatenato, anche le scelte del film interrogano lo spettatore sull’importanza del mostrare. Un importante articolo di Hollywood Reporter affronta la questione dal punto di vista storico. Le immagini vere di Hiroshima e Nagasaki furono oggetto di rimozione da parte degli Stati Uniti, al pubblico vennero dati fotogrammi controllati, che impressionassero, ma non a tal punto da ritirare il sostegno alla dotazione di un arsenale atomico. Il cinema riuscì comunque a farsi specchio di autenticità, uno strumento fondamentale, entrò nella storia grazie alle sue immagini, contenute nei cinegiornali, e contribuì a rompere il silenzio sulle conseguenze umane della detonazione. Le immagini fecero diventare i crudi numeri delle vittime delle persone con corpi e volti.

Le immagini che nessuno poteva vedere

Il 6 agosto del 1945 le redazioni americane furono colti di sorpresa. La detonazione della bomba atomica sopra Hiroshima era stata un’azione senza preavviso. La difesa aveva però avuto tempo per preparare un accurato piano di comunicazione per controllare l’arrivo della notizia alla stampa e alla radio. 

Una fonte di informazione molto efficace erano i cinegiornali, parte integrante della “programmazione bilanciata”. Ovvero un’offerta equamente distribuita tra intrattenimento e informazione che precedeva il lungometraggio in sala. I 5 studi principali producevano due cinegiornali a settimana della lunghezza di dieci minuti. Una programmazione con una rapida turnazione. Il notiziario della bomba arrivò il 21 agosto. In un minuto di pellicola è contenuta l’esplosione del test Trinity. L’accento è sulla spettacolarità. Le immagini furono definite come “La più grande esplosione della storia creata dall’umanità. Una delle scene più spettacolari mai riprese”. Nessuna immagine dal Giappone. 

Quelle arrivarono il 15 settembre in maniera molto cauta. Nel filmato del “News of the Day” della MGM si mostra la desolazione di Hiroshima prima dalla prospettiva aerea poi dal terreno. Si vedono solo pochi civili, tutti vivi. Il cinegiornale Universal parla delle vittime, solo da un punto di vista numerico. “Secondo il Giappone sono morte 126 mila persone per la bomba. Quattro giorni dopo in centinaia sono continuati a morire per le ustioni e lo shock”.

La morte era un numero, mai un’immagine. Eppure di filmati il governo degli Stati Uniti ne aveva confiscati in numero sufficiente per poter raccontare con precisione la devastazione lasciata. Due ore e 40 minuti di girato effettuato sul posto poche ore dopo la detonazione dai cameraman giapponesi. Furono così descritte: “Immagini di corpi smembrati, pile di animali morti, e un uomo il cui corpo era stato scaraventato su una strada di cemento dove era rimasto sepolto dall’esplosione”.

Il cinema come fonte storica

La paura del governo era che, a fronte delle immagini dure, l’opinione pubblica si schierasse convintamente contro i test per continuare lo sviluppo atomico. Nonostante questo, in occasione del primo anniversario di Hiroshima, furono fornite alle redazioni di cinegiornali alcune delle immagini sequestrate. Delle cinque solo Universal Newsreel e Paramount News decisero di usarle. Gli altri le ritennero troppo crude. Il montaggio univa le riprese del test nell’Atollo di Bikini del 25 luglio del ’46 (documentato da 300 videocamere) con gli effetti della bomba sulle persone a Hiroshima. Paramount dedicò la metà del segmento di 9 minuti alle vittime. Un reportage scioccante che si conclude con la domanda: “Possiamo controllare il potere atomico?” seguita dalla constatazione che, se non si riuscisse a trovare un accordo globale sulla bomba, l’umanità potrebbe solo costruire le città sotto terra e prepararsi all’armageddon. 

Il cinegiornale fu di grande impatto. Sul Time ne scrissero come di uno dei migliori notiziari mai proiettati. Il cinema iniziava a diventare una fonte importante per mostrare i fatti nella loro piena drammaticità. Il suo pubblico era comunque limitato a chi frequentava le sale Paramount e di qualche esercente indipendente che, attratto dal clamore delle immagini, aveva accettato di proiettarle nelle proprie sale. Talvolta quelle immagini furono riprese in programmazioni di un’ora, proposte nelle grandi città, in cui si mostravano insieme brevi documentari e reportage sulla bomba. I filmati fecero scalpore per l’orrore che suscitarono nel pubblico. Le varie riviste di cinema ne scrissero ponendo l’accento sulla durezza delle immagini e su come fossero una chiara indicazione contro l’uso della bomba. 

Così ne parlò Film Daily: 

Queste clip appartengono ad ogni schermo, non solo degli Stati Uniti, ma in tutto il mondo come un solenne avvertimento a tutti i popoli che è davvero più tardi di quanto credano.

Oppenheimer nei filmati e un lungo oblio

Sempre in occasione dell’anniversario, i cinegiornali di The March of Time portarono Albert Einstein e J. Robert Oppenheimer di fronte alle cineprese per ricreare gli eventi del Progetto Manhattan. Si può sentire Oppenheimer dire: “Sapremo tra 40 secondi!” mentre si rimette in scena il conto alla rovescia. 

I filmati autentici mostrati dalla Paramount per qualche giorno nel 1946 rimasero poi nascosti negli archivi fino a che il cinema di finzione non tornò a impadronirsene, a farsi fonte, testimonianza e riflessione. A sbloccare un lungo “silenzio visivo” fu Hiroshima Mon Amour di Alain Resnais del 1959. Il capolavoro della nouvelle vague segue due innamorati all’interno del museo di Hiroshima. Lo spazio del film di finzione si contamina con le immagini reali del girato dei giapponesi, quello che faceva così fatica a circolare. 

Erik Barnouw, professore della Columbia University, fu il primo a operare una ricerca sistematica su questi filmati scomparsi. Nel 1968 lavorò sulle riprese giapponesi facendo un montaggio di 16 minuti intitolato Hiroshima Nagasaki August, 1945. La prima proiezione fu in un museo. I maggiori network televisivi si rifiutarono però di programmarlo adducendo varie scuse, tra cui quella di non avere un segmento adatto. Fu solo dopo molti tentativi, a due anni di distanza, che National Educational Television (NET) si convinse a trasmettere il documentario. La messa in onda fu un momento decisivo per la preservazione di queste immagini così fondamentali per la storia, ma così difficili da pensare, guardare, trasmettere. 

La difficoltà dello sguardo di Oppenheimer, la scelta di Nolan e il dibattito che ne è seguito, dimostrano ancora quanto queste pellicole siano un documento prezioso e così difficile da gestire. Una testimonianza più volte messa a tacere e più volte riemersa. Il cinema, i cinegiornali, furono una voce che faticò ad arrivare in tutta la più cruda realtà. Ma quando accadde fu impossibile voltare lo sguardo. Per questo è fondamentale preservare queste pellicole. Solo così si potrà avere la scelta di non guardare, di lasciare fuori campo, o di togliersi gli occhiali e vedere. 

Fonte: Hollywood Reporter

Continua a leggere su BadTaste