Oppenheimer: come si filma la bomba atomica? Parla il direttore della fotografia

Il direttore della fotografia di Oppenheimer, Hoyte van Hoytema, racconta come ha lavorato con Nolan per inventare un nuovo look per il film

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Pochi direttori della fotografia conoscono bene l’IMAX come Hoyte van Hoytema. Interstellar, Dunkirk, Tenet nati dalla collaborazione con Christopher Nolan, ma anche Nope di Jordan Peele sono state una grande esperienza sul campo con le cineprese di questo formato. Un tempo pesanti, quasi impossibili da muovere, oggi sono considerate l’espressione più pura del cinema spettacolare e immersivo, della ricerca di un’immagine cinematografica impossibile da riprodurre fuori da una sala. Anche Oppenheimer non è stato da meno. È girato interamente in IMAX con l’aggiunta di segmenti che utilizzano una particolare pellicola KODAK 65mm in bianco e nero creata apposta per le cineprese IMAX e usate per la prima volta nel film. 

Per sapere quali sale proietteranno il film in 70mm e come si distinguono i vari formati vi rimandiamo alla nostra guida per il film

Hoytema ha raccontato come ha dato vita alla visione di Christopher Nolan. Insieme hanno ricercato uno stile che fosse versatile sia per ritrarre della scala colossale del progetto Manhattan che la parte più privata del suo protagonista. L’ha fatto limitando al massimo l’uso di effetti speciali digitali, e giocando con l’immagine per poter dare l’idea di filmare realmente un’esplosione atomica. 

Come si fotografa una bomba atomica?

Per farlo ha studiato il libro di Peter Kuran “How to Photograph an Atomic Bomb” in cui si racconta come, in parallelo alle scoperte che hanno portato al Trinity test, furono sviluppate anche cineprese speciali, con ottiche e pellicole ultrasensibili ideate apposta per poter catturare le immagini della bomba.

Le persone che hanno assistito all’esplosione in prima persona l’hanno descritta nei modi più vari. Qualcuno si è soffermato sulla forma di fungo, altri su come tutto sembrasse una sorta di illusione, altri ancora hanno descritto i colori del cielo. Dalla tenue luce del mattino è stato illuminato da un forte bianco, poi diventato giallo, dorato, rosso e infine viola. Così la scena del test in Oppenheimer è fatta per contenere tutte queste soggettività. Per portare lo spettatore all’interno di questa esperienza Hoytema e Nolan hanno scelto l’altissima qualità “analogica” della pellicola. Così ha detto il direttore della fotografia:

La fotografia in grande formato conferisce chiarezza e immerge il pubblico nella realtà che stai creando per loro. Naturalmente, dato che il film ha dei panorami grandiosi e parla dell’esplosione della prima bomba atomica nel mondo, doveva essere uno spettacolo, e non c'è niente di meglio di IMAX per creare quell’incredibile esperienza cinematografica.

Oltre la bomba: la vita di Robert J. Oppenheimer 

Ci sono tante anime in Oppenheimer. Oltre a quella più travolgente visivamente c’è quella più riflessiva e contenuta. La vita del fisico statunitense, i suoi incontri e i suoi amori. Sempre alla ricerca del realismo, i set sono stati costruiti sulle location autentiche della sua esistenza, poste tra gli Stati Uniti e l’Europa. Sono entrati anche nelle università: l’Institute for Advanced Study di Princeton, l’Università della California, Cambridge e Berkeley, luoghi chiave per lo scienziato. Le riprese più difficili furono quelle nel deserto del New Mexico. Lì la scenografa Ruth De Jong ha ricostruito con precisione il campo del test, includendo l’originale casa di Oppenheimer a Los Alamos. 

Nei biopic serve trovare la giusta distanza, sia rispetto al proprio soggetto, che nelle lenti focali. Oppenheimer è un film di dialoghi, che si rimbalza su due soggettività, quella a colori dello scienziato e quella in bianco e nero di Lewis Strauss. Kodak ha creato apposta per il film una pellicola in bianco e nero 65mm. Un prodotto che non era mai stato testato nel flusso di lavoro IMAX e che per questo portava con se molte incognite. Per Nolan e Hoytema girare nativamente in bianco e nero presentava ulteriori sfide, accettate però con entusiasmo una volta visto l’effetto che si riusciva a ottenere. 

È stata una scelta coraggiosa. Una delle mie primissime telefonate è stata con Kodak, per chiedere se avessero della pellicola in bianco e nero di grande formato da 65mm. Ma non l’avevano mai prodotta prima e all’inizio non era certo che sarebbero riusciti a realizzarla in tempo per questo film. Ma si sono fatti avanti con il prototipo di pellicola DOUBLE-X 5222 da 65mm appena fabbricata, consegnata in barattoli con etichette scritte a mano all'esterno.

Inserita la pellicola nella cinepresa, si deve capire quale lente usare. 

Negli anni abbiamo scoperto che il punto ottimale per l’IMAX è il 50mm e l’80mm. Qualsiasi cosa oltre queste lenti focali inizia a diminuire la qualità immersiva dell’immagine. Se scegli una lente troppo lunga l’immagine appare compressa e appiattita come se si guardasse una sorta di schermo piatto. Qualsiasi lente troppo ampia creava l’effetto di una boccia di vetro, dove i bordi si piegano troppo. Perciò il 50mm è diventato il nostro grandangolo e l’80mm la lente più stretta. Nei primi piani ti danno la giusta vicinanza e ampiezza, e tutto intorno inizia ad agire come la visione periferica dei tuoi occhi.

Per ottenere questo aspetto il direttore della fotografia si è affidato a Dan Sasaki, esperto di lenti della Panavision. Ha modificato prodotti già esistenti e altri ne ha costruiti da zero per Oppenheimer. Ha costruito anche una lente impermeabile per le riprese macro sulle miniature e per le scene in cui si riproducono gli effetti microscopici degli esperimenti scientifici. 

Fonte: Kodak

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