Operazione sottoveste e il fascino immortale dei film di sottomarini

Operazione sottoveste non è solo un capolavoro comico, ma anche un grandissimo film di sottomarini; ma perché ci piacciono così tanto?

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Operazione sottoveste va in onda su La7 questa sera alle 21:30

Nel 1943, Tony Curtis vide al cinema il suo idolo Cary Grant in Destinazione Tokyo, un film di Delmer Daves che catalogheremo sotto la generica definizione di “film di sottomarini” – un film, cioè, ambientato interamente o quasi all’interno di un sottomarino, appunto, generalmente mentre si trova in mare e dunque isolato dal resto del mondo comunicazioni radio a parte. In particolare questa inquadratura – Cary Grant che guarda da un periscopio – gli rimase impressa al punto che, tramite una serie di passaggi esoterici che lo stesso Curtis racconta dicendo semplicemente “suggerii di scrivere un film basato su quell’immagine", venne trasformata in Operazione sottoveste, una delle commedie di maggior successo degli ultimi sessant’anni. È vero che Curtis voleva prima di tutto lavorare con Grant, e che il film si regge soprattutto su loro due e sulla brillante sceneggiatura a otto mani firmata da Paul King, Joseph Stone, Stanley Shapiro e Maurice Richlin, ma qui vogliamo lodare l’altro grande protagonista di Operazione sottoveste, interpretato dai sottomarini USS Queenfish, Archerfish e Balao.

Diretto da Blake Edwards, il genio dietro a Colazione da Tiffany e Victor/Victoria ma anche ad alcune delle migliori commedie di sempre, La pantera rosa in primis, Operazione sottoveste è un film estremamente buffo, basato su un’idea sessista e vecchia come la navigazione (quella che le donne a bordo distraggono e portano sfortuna e non dovrebbero salire), ma è anche un film di guerra, e questa caratteristica ha altrettanto peso sulla storia raccontata e anche sull’atmosfera generale. L’approccio al racconto bellico è simile a quello che due anni dopo arriverà in libreria grazie a Joseph Heller e al suo Comma 22, nonché a quello di uno storico film italiano come Mediterraneo: parlare di guerra senza parlare di conflitto, tenere la violenza e l’azione sullo sfondo e concentrarsi sul tedio che riempie ogni giorno nel quale non ci si sta sparando (che sono comunque giorni migliori di quelli nei quali ci si sta sparando).

Operazione sottoveste Gallardo

La storia è quella di un sottomarino appena inaugurato a Manila e subito bombardato dalle forze aeree giapponesi. Al comandante Matt Sherman vengono concesse due settimane per provare a rimetterlo in piedi (o sott’acqua), dopodiché lo USS Sea Tiger verrà distrutto e l’area abbandonata e lasciata al nemico. Ad aiutarlo nel miracolo arriva una nuova recluta, Nick Holden (Tony Curtis), il quale viene immediatamente nominato Supply Officer e che si scopre presto essere un semidelinquente pieno di risorse che con le sue magate permette al sottomarino di ripartire, diretto verso Darwin, in Australia, dove potrà venire riparato a dovere.

Fin qui verrebbe da chiedersi cosa c’entri la sottoveste del titolo (anche originale). Ci arriviamo subito: durante il viaggio, lo USS Sea Tiger fa tappa a Marinduque, e qui la ciurma accoglie a bordo cinque infermiere americane dell’ANC che sono rimaste incastrate sull’isola senza possibilità di tornare in patria. Per cui, con l’arrivo a bordo delle cinque e in particolare delle due (interpretate da Joan O’Brien e Dina Merrill) che fungeranno da doppio love interest per la coppia Grant-Curtis. Gran parte del secondo atto è dedicato a questa situazione incresciosa ma stuzzicante, e gran parte dell’umorismo di Operazione sottoveste deriva dal fatto di essere un film di sottomarini nel cui sottomarino si trovano cinque donne: storicamente accurato, senza dubbio, ma non invecchiato benissimo, soprattutto in certe gag più fisiche e meno raffinate.

Upskirt

Il bello di Operazione sottoveste, però, è che anche tutto il resto, tutto ciò che non ha nulla a che vedere direttamente con le infermiere e gli ormoni dei marinai, ha un fascino incredibile. È il fascino del sottomarino e quindi del film di sottomarini: uno spazio chiuso, claustrofobico, dove un numero relativamente ristretto di persone si trovano a condividere tutto per giorni se non settimane, e devono imparare a coesistere per non farsi a pezzi a vicenda; e anche uno spazio tutto sommato fragile, uno strato relativamente sottile di metallo che separa l’equipaggio dalla morte per annegamento o per schiacciamento. La vita in un sottomarino è la cosa più vicina alla vita nello spazio che si possa simulare sulla Terra, e lo USS Sea Tiger – come tutti i grandi sottomarini della storia del cinema, dall’Ottobre rosso all’U-96 di Das Boot – è come un’astronave circondata da pesci invece che da stelle (e a volte anche da stelle, in effetti).

E quindi anche le dinamiche interne all’equipaggio sono più o meno le stesse che si ritrovano in certi film di fantascienza; con la differenza che in Operazione sottoveste è tutto virato all’assurdo o al ridicolo, per cui, per esempio, nei corridoi del sottomarino risuonano le malinconiche note delle canzoni del Profeta, un tizio che ha fatto del fatalismo e del nichilismo una ragione di vita e che canta brani dai titoli strabordanti di allegria tipo “You Can’t Win”. Ma a parte il tono, gli elementi tipici del film di sottomarini, o del film di astronavi in un contesto militare, ci sono tutti: l’importanza della gerarchia e della forma, per esempio, che trasforma ogni momento di rottura degli schemi in un momento di comicità prorompente; la rassicurante sensazione che solo una precisa catena di comando può trasmettere.

Tony Curtis

E anche l’amore per la scatoletta subacquea alla quale questa gente sta per affidare la propria vita: lo USS Sea Tiger ci viene mostrato da ogni angolo possibile, viene esplorato in ogni anfratto, diventa un personaggio per cui tifare e non solo un set semovente. Soprattutto quando cambia colore: è il momento inaspettatamente queer del film e anche il più sorprendente, e non vi diremo di più per non rovinarvi la sorpresa.

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