Old Boy di Park Chan-wook: la vendetta è una questione di tempo
Old Boy prosegue il discorso sulla vendetta parlando del tempo come una forza che spinge in avanti senza distinzione tra bene e male.
In occasione dell'uscita di Decision to Leave, al cinema dal 2 febbraio, ripercorriamo la filmografia di Park Chan-wook con alcuni approfondimenti
A differenza del primo capitolo della Trilogia della Vendetta, l’impostazione della messa in scena fugge da ogni realismo. L’intreccio è così sopra le righe che è un miracolo che tutto si regga insieme. Eppure lo fa.
Old Boy: la strada verso un cult
Old Boy è il film che ha portato al successo occidentale Park Chan-wook. Il capitolo più conosciuto e amato della trilogia non è per forza il migliore, ma ne è un tassello essenziale. Mr. Vendetta interpellava lo spettatore a livello morale, non ci faceva sentire tanto differenti dai protagonisti. Old Boy ci colloca invece in una posizione distante dai fatti e ci chiede di partecipare per risolvere il mistero, esattamente come deve fare Oh Dae-su.
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Gradualmente Park Chan-wook fa una metamorfosi nei generi: thriller con venature horror, action con del romanticismo e un surreale delirio onirico. Più il mistero si svela, più l’intera vicenda appare però lineare come una tragedia Greca. È l’enunciazione, semmai, che mischia le carte. La sostanza è invece chiarissima e riassumibile in poche righe: un triangolo di vite, un punto di collisione tragico, e la vendetta come voglia di far provare agli altri lo stesso dolore. Le scene d’azione sono dettate dalla legge del taglione: le mutilazioni avvengono sempre per una colpa dell’organo interessato (chi tocca ciò che non deve perde la mano, chi parla troppo si taglia la lingua). Sono gli uomini i protagonisti, e non si nascondono dal loro essere, in fondo, selvaggi, semplici nonostante gli articolati piani malvagi.
Fu la ricetta per un fenomeno globale. Old Boy parla un linguaggio semplicissimo su una struttura complicatissima. Eppure, a differenza di molti film-puzzle che cercano di sconcertare lo spettatore, l’opera di Park Chan-wook fa di tutto per farsi seguire. A volte anche sottolineando all’eccesso ciò che poteva non essere chiaro a tutti. Come un’inquadratura su due ali finte in un momento chiave per far sì che tutti abbiano chiaro il colpo di scena. Non lo sveleremo, invitandovi però a vedere il film, presto di ritorno in sala.
Tre scene pazzesche di Old Boy
Per spiegare cosa sia straordinario di Old Boy bisogna sommare tutti i livelli. Perché il film, da un punto di vista di puro intrattenimento, non ha eguali. Appassiona e si lascia vedere da tutti come se fosse un film dagli enormi incassi. Riesce a lavorare sul primo livello di fruizione, quello semplicemente di ascolto dei fatti, come un pop-corn movie.
Chi conosce il linguaggio cinematografico, chi cerca inventiva e significato avrà pane per i propri denti. Questo senza che il primo strato infici il secondo. Più di cosa mostra Park Chan-wook, conta come lo mostra. Non c’è un’inquadratura uguale all’altra e, quando accade, ha un ben preciso ruolo nell’intreccio. Guardate, ad esempio, come Oh Dae-su tiene per la cravatta il suicida all’inizio del film e come questo plongée dialoghi con il finale.
C’è una sapienza assoluta nell’uso dei colori e del digitale. Viola, verde e rosso sono tre significanti subliminali: il primo indica la vendetta, il secondo la costruzione dell’inganno e il terzo l’effettivo successo di questo. Tutto è osservato da specchi e schermi. La televisione è la migliore amica perché insegna e segna il tempo, insieme ai telefoni (non ancora smart) e gli schermi dei PC. Le registrazioni audio sono ancora su nastro e le fotografie su carta sono un importantissimo strumento per svelare la verità. Old Boy è un film consapevole di essere in un’epoca di trasformazione dei supporti, e usa questa molteplicità di strumenti proprio per non ripetersi. Con questa abbondanza di indizi non stupisce che sia il più rivedibile della trilogia.
Lo è nonostante la durezza delle sue scene. Infattibile oggi, la sequenza in cui un (vero) polpo viene mangiato vivo visualizza perfettamente la mostruosità del protagonista.
La scena di combattimento nel corridoio poi è stata la base su cui si è costruito il concetto di azione fatta bene per gli anni a seguire. Per citare solo uno dei molti emuli, la serie Daredevil ha ricreato un piano sequenza così ad ogni stagione.
L’intera spiegazione finale andrebbe vista ogni volta che uno sceneggiatore deve rivelare un qualcosa. Altro che “spiegone”: già da metà film sappiamo gran parte di quello che vogliamo sapere: chi, come, cosa. È il perché che ci tormenta. Così Park Chan-wook lo affida ad un oggetto (ovviamente in un pacco viola), che racconta tutto senza bisogno di parole.
La vendetta è un piatto che va servito in 15 anni
Ma il punto di tutto questo meccanismo è che la vita scorre su un tempo limitato, come un film. Sono moltissime le sequenze che lo ricordano: si sente un ticchettio di orologio in molti momenti importanti, lo scorrere degli anni è tatuato sul corpo, l’aspetto cambia (incredibile l’importanza dei capelli per segnare la prigionia), e nel momento in cui tutto è iniziato il protagonista stava trasportando, ovviamente, un orologio da parete.
La vendetta si compie negli anni, e solo grazie agli anni! È una ragione di vita. Spinge a fare cose incredibili: ad avere successo, a costruire un impero con tanti soldi e adepti, a pianificare tutto nei minimi dettagli. Dall’altra prospettiva il tempo è un qualcosa che tortura. Oh Dae-su si chiede se sapere quanto sarebbe durata la sua prigionia lo avrebbe aiutato a sopportarla. Ed è una sottrazione fondamentale perché tutto il piano funzioni. Il tempo è una colla per gli eventi: ci sono traumi che uno porterà sempre con sé, errori che il tempo non guarirà. Anzi, potrebbe peggiorarli sempre di più.
Così Old Boy è cinema allo stato puro, perché estende questo discorso sul tempo anche allo spettatore. Arriva in un momento in cui i film iniziavano a fruirsi oltre l’home video in fisico, anche tramite file. Park Chan-wook chiede di essere cannibali, di affondare i denti nella sua opera e smembrarla. Andarla cioè ad analizzarla in ogni sua parte, fruirla viaggiando in avanti e indietro nelle sue scene per dare significato allo shock visivo. Noi siamo come il protagonista: alla ricerca di un tempo perduto che si può riguadagnare solo ricordando. Per poi commettere, ad ogni visione, ad ogni ipnosi, lo stesso errore.
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