“Ognuno di noi è fan di qualcosa”: il San Diego Comic-Con tra sogni, ricordi e cambiamenti

Nel nostro speciale interattivo celebriamo il San Diego Comic-Con nell'anno in cui, a causa della pandemia, il grande evento si svolge totalmente online

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“Ognuno di noi è fan di qualcosa”
il Comic-Con di San Diego tra sogni, ricordi e cambiamenti

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San Diego Comic Con

“Decisi che i fumettisti erano gli unici intrattenitori che non potevano sentire le risate e gli applausi del pubblico, così ho creato una convention pubblica dove i migliori potessero incontrare i fan e gli aspiranti potessero ricevere consigli sulla loro carriera”

- Shel Dorf

Quest'anno il Comic-Con di San Diego compie 50 anni.

Dal 2010 in poi, ogni anno noi di BadTaste.it abbiamo partecipato alla convention dedicata all'intrattenimento e alla cultura popolare californiana. Ma a causa dell'emergenza Coronavirus, per il 2020 gli organizzatori hanno deciso di realizzare una versione online della manifestazione, intitolata Comic-Con@Home, che come sempre seguiremo per voi qui sul sito. Nella speranza di poter tornare presto in California a vivere di persona queste emozioni, e in occasione dell'inaugurazione di BadTaste+, vi proponiamo un grande speciale interattivo in cui trovate tutto ciò che dovete sapere sul Comic-Con di San Diego.

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Storia del Comic-Con di San Diego dal 1970 al 2020

A cura di Gabriele Niola

Nel 2008 la corte di giustizia americana ha stabilito che Comic-Con (scritto con il trattino) è una locuzione di proprietà del Comic-Con di San Diego. Quella parola è loro e chiunque la voglia usare deve chiedere loro il permesso (o pagare). La causa era stata intentata contro il Salt Lake City Comic-Con (che ora si chiama Comic Convention) ma era un monito a tutti gli altri, una dimostrazione di potere. Esistono tanti Comic-Con in America e nel mondo, alcuni anche molto più frequentati di quello di San Diego, ma solo quello ha il trattino tra Comic e Con, gli altri possono chiamarsi tranquillamente “Comic Con” senza trattino.

La sentenza ha stabilito che è di loro proprietà perché nessuno come loro ha fatto quel che hanno fatto per promuovere quella locuzione e trasformarla in un brand. Ci sono tanti Comic con, ma c’è un solo Comic-Con. E non è un caso: viene dalla vera natura con cui è nata quella manifestazione.

Secondo tutti i resoconti più accreditati alla fine degli anni ‘60 a San Diego l’unico posto in cui poter trovare fumetti di catalogo era una libreria in centro, in cui molti di questi erano venduti senza copertina. Il business della rivendita non era certo quello di oggi da nessuna parte ma lo stesso era un fatto clamoroso.

Quando Shel Dorf, un appassionato di fumetti e illustratore freelance che conosceva un po’ di fumettisti (tra cui Jack Kirby) e aveva partecipato e gestito alcune fiere a Detroit e New York lungo gli anni ‘60, arriva in città per badare ai suoi anziani genitori, la prima cosa che nota è proprio questa mancanza. Ed essendo lui in prima istanza un appassionato prende contatti con tutti i rivenditori della zona, quelli cioè fuori San Diego e nei dintorni. Questo è il primo passo del Comic-Con.

Primo poster San Diego Comic Con

Flyer della prima edizione del Comic-Con di San Diego, la Golden State Comic-Con, dal 1 al 3 agosto 1970 presso l'U.S. Grant Hotel

Se il Comic-Con di San Diego di oggi non è solo un evento di fumetti è perché nemmeno ieri lo era, nemmeno nel giorno della sua fondazione.

Nonostante abbia nel nome il fatto che è una convention di fumetti, nasce da subito come un evento di convergenza. E questo è il tratto più importante di tutti che lo distingueva già all’epoca dal resto di eventi simili. Esistevano infatti già manifestazioni dedicate ai fumetti (la dicitura Comic-Con la inventano a New York qualche anno prima) ed esistevano già eventi di fantascienza, invece il Comic-Con di San Diego, per via delle inclinazioni del suo organizzatore, nasce ibrido.

Barry Alfonso, Bob Sourk, Richard Alf e Mike Towry, sono alcuni degli appassionati e rivenditori che Shel Dorf contatta per proprio interesse. Sono molto più giovani di lui (che aveva 35 anni all’epoca) e rivendevano e compravano fumetti a partire dalle loro immense collezioni. Insieme formarono quella che chiamarono con sprezzo del ridicolo San Diego Society for Creative Fantasy.

Con abile mossa misero sul piatto i loro contatti e i loro fumetti per organizzare un evento di un giorno, il Mini-con, con l’obiettivo di raccogliere soldi a sufficienza per organizzarne un altro, più serio, di 3 giorni e con ospiti di lì a qualche mese: il San Diego Golden State Comic-con.

Ma è importante il fatto che al primo Mini-con l’ospite d’onore era Forrest J. Ackerman, editor di una rivista horror (Famous Monsters of Filmland, anche lui con i nomi non andava fortissimo), grande organizzatore di fan della fantascienza, nonché co-creatore del personaggio Vampirella. Ackerman era cioè un fan che era diventato un professionista del settore e che stava all’incrocio tra horror, fumetti, film e fantascienza. Questa è la colonna da cui parte il Comic-con. La prima edizione vera, quella da tre giorni, avrà come ospite sia Jack Kirby (perché Dorf si gioca subito il contatto più grosso che ha), che Ray Bradbury e A.E. van Vogt, cioè due scrittori di fantascienza e un solo fumettista!

Dorf era sveglio e convinse Bradbury a rinunciare al cachet di 5.000$ che era solito richiedere per questi eventi millantando che l’evento fosse no-profit, finalizzato solo all’avanzamento dell’arte. La cosa sarebbe diventata vera solo nel 1975. Questo non significa che non ci siano soldi per chi ci lavora. Nel 2015 il conto in banca del Comic-Con riporta 28 milioni di dollari, la società ha 49 impiegati e 3.400 volontari. Inoltre gli stipendi del consiglio di amministrazione vanno dai 7.000 ai 200.000 dollari a seconda di quanto prendano parte attiva all’organizzazione.

Il San Diego Comic-Con nel 1982 (fonte Wikipedia)
Il San Diego Comic-Con nel 1982 (fonte Wikipedia)

Il Comic-Con di San Diego deve essere un evento per fan e per tutte le prime edizioni la ragione n.1 per andarci (almeno nella testa degli organizzatori) è il sogno dei fan di diventare professionisti in qualche maniera. Certo San Diego era storicamente un luogo d’aggregazione di fan della fantascienza e quello rimaneva un punto fondamentale dell’evento perché poteva attirare pubblico più dei fumetti (due dei gruppi di fan più accaniti erano l’Underground Film Society e la San Diego Science Fantasy Society) ma integrare i fan dei fumetti nella più corposa e all’epoca stabile comunità di fan della fantascienza fu vincente.

Almeno per i primi 10 anni l’evento cresce stabilmente sia in grandezza che biglietti venduti che nomi invitati tramite una promozione tutta volta all’aspirazione di fare il salto nel mondo dei professionisti grazie all’incontro con loro.

Jack Kirby è ospite fisso ma si alternano altrettante star di un’industria molto meno celebrata di oggi e quindi di certo meno “star”, ma comunque nomi incredibili: Carmine Infantino, Charles M. Schultz, Roy Thomas, Neal Adams, Will Eisner, Gil Kane, Stan Lee, Joe Shuster e Jerry Siegel, Carl Barks, Joe Kubert, Bob Kane, John Romita Sr, Marv Wolfman, John Byrne, Chris Claremont, John Buscema e nell’anno della Japan invasion (il 1980) Go Nagai, Monkey Punch e Osamu Tezuka.

Nel 1975 fu invitato anche Chuck Norris, fresco del successo di L'urlo di Chen terrorizza anche l'occidente per una dimostrazione di arti marziali e per svelare come sia morto Bruce Lee. Lo sappiamo perché in quell’anno i panel furono registrati, incisi su vinile (un numero limitato di 500 dischi) e venduti a 6 dollari l’uno. L’idea era di far arrivare il Comic-Con a chi non poteva venirci.

Ad ogni modo il punto era quello: attirare grandi nomi così che i fan possano apprendere, conoscere, presentarsi e chissà….

1976
L'anno del contatto

La forza del Comic-Con non sta nei numeri. Il suo omologo di New York non è solo più vecchio (nasce nel 1966) ma nel 2014 l’ha anche superato per numero di presenze. Sta nella concentrazione. Se prima la vastità di materie toccate faceva la differenza, dal 2000 è stata la profondità della maniera in cui è riuscito a coinvolgere Hollywood a creare una personalità. E tutto questo ha un nome: Charles Lippincott.

Lippincott ha di fatto creato l’idea che Hollywood possa usare il Comic-Con (e convention simili) come arma di marketing e megafono per le proprie produzioni a venire, quando nel 1976, impiegato come publicist alla Lucasfilm, ha pensato che un buon modo per creare una fanbase di un film che ancora non esisteva poteva essere andare al Comic-Con a fare promozione. Il modello ovviamente era Star Trek, in quella convention allora al sesto anno quella serie tv era continuamente proiettata, rievocata, discussa e quindi indirettamente promossa. Se questo accadeva per Star Trek forse c’era spazio e interesse per qualcosa di nuovo in materia.

Nell’edizione del 1976 del Comic-Con si tiene il panel “The Making of Star Wars”. Non ci sono talent ovviamente, è un’idea di Lippincott e ci pensa lui. Porta un po’ di footage, delle immagini da mostrare come slideshow e poi poster e materiale di marketing da vendere. In nuce è esattamente quel che accade oggi, solo ridotto all’essenziale.

A dire il vero Lippincott qualche mese prima era stato anche a Westercon, un’altra convention di fantascienza e fantasy, ma era stato accolto in maniera molto tiepida. Così al Comic-Con si era portato due fumettisti, gli stessi che avrebbero poi lavorato all’adattamento di Guerre stellari a fumetti (Roy Thomas e Howard Chakin). Con loro due aveva un grimaldello, poteva cioè sovrapporre gusti ed interessi, attirare i fan dei fumetti e usare i talent come “garanzia” per il suo di prodotto.

Roy Thomas e Howard Chakin parlano di Guerre Stellari nel 1976
Roy Thomas e Howard Chakin parlano di Guerre Stellari nel 1976

Quell’evento e il successivo grande successo di Star Wars apre una valvola e più di un publicist hollywoodiano comincia a pensare che non sia per niente un’idea sbagliata andare a presentare in anticipo un film a un pubblico molto interessato che forse potrà coinvolgere altri ancora e portarli poi al cinema.

Dopo Guerre Stellari viene portato anche Superman di Richard Donner, per ovvie ragioni un accoppiamento perfetto: la presentazione fu un grande successo nonostante a parlare ci fosse il capo del marketing della Warner Bros, una persona totalmente disinteressata ai fumetti che voleva solo vendere, che creò un certo tumulto dimostrando a un certo punto di non saper pronunciare il nome Kal-El e non sapere chi sia (è il nome vero di Superman, quello datogli dai genitori sul pianeta Krypton). Da quel momento la Warner affidò le successive presentazioni di Blade Runner, Atmosfera Zero e Uomini Veri (un capolavoro del cinema di corsa allo spazio oggi dimenticato ma fenomenale) a Jeff Walker, da lì in poi lo specialista delle presentazioni al Comic-Con per decenni tanto da essere insignito dell’Inkpot Award per il fan service nel 2011 (è un premio che esiste davvero) ed essere definito in quell’occasione “L’uomo che ha portato Hollywood al Comic-con”.

La frase è curiosa perché solo 8 anni prima qualcun altro la pronunciò in un altro contesto. Nel 2003 Avi Arad, produttore degli Spider-Man di Sam Raimi, si congratulò con il pubblico del Comic-Con perché, come riportava il numero del 21 luglio dell’Hollywood Reporter dell’epoca, disse che era accaduto qualcosa che non aveva precedenti: “Siete la prima comunità che sia mai riuscita a portare a sé Hollywood”.

Nonostante infatti il Comic-Con celebri il fandom in quanto tale questo non significa che davvero Hollywood si pieghi davanti a esso, anzi. Se c’è una cosa che i grandi panel di oggi e la cura con cui vengono organizzati dimostrano è che il Comic-Con è uno dei modi attraverso i quali Hollywood rafforza il proprio potere, facendo lavorare (gratis) fan e media alla promozione dei suoi film e delle sue serie tv. Non solo è un gigantesco focus group gratuito, ma anche una gigantesca agenzia stampa spontanea e piena di entusiasmo autentico, qualcosa che non si può comprare. La fan culture in fondo è la forma più sublime di coinvolgimento nella fruizione di opere intellettuali, siano fumetti, film, videogiochi, serie ecc. ecc.

l meccanismo con cui tutto questo funziona è lo stesso su cui puntava Lippincott nel 1976 e lo ha descritto bene Lisa Gregorian, vice presidente del marketing Warner Bros, sul Daily Variety del 24 Luglio 2008, ovvero che adesso il passaparola funziona così: una persona (dal palco) ha un impatto su qualche centinaio di persone (in platea) che possono avere un impatto a quel punto su migliaia di persone (il resto della popolazione di fan). Una macchina inesorabile che si ripete ogni anno in ogni panel.

La professionalizzazione

Nonostante la programmazione di film sia sempre esistita (nei giorni della convention venivano proprio proiettati regolarmente i classici della fantascienza e del fantasy ma a volte anche classici e basta come i noir o i drammoni), negli anni ‘80 l’aspirazione a far parte del mondo professionale rimane presente ma gradualmente marginalizzata. Esistono panel specifici con nomi come “Come lavorare in televisione” o “Come lavorare nell’industria dei fumetti” ma lo sbilanciamento è sempre più evidente. Da che autori e fan erano sullo stesso piano, la relazione è sempre più da studenti e professori, e chi è arrivato è sempre più distante.

A mantenere più che viva la convention in quegli anni e ad accrescerne la popolarità era allora la Dealer’s room, cioè lo spazio di compravendita di fumetti. Talmente erano affollate le stanze in cui si comprava e vendeva che gli organizzatori erano costretti a chiuderle durante i panel più importanti, altrimenti nessuno ci andava.

Il punto è che all’epoca era difficilissimo comprare vecchi numeri, le case editrici non li ristampavano e per via di un complicato sistema di rivendita al dettaglio, non erano in grado di avere la disponibilità dei resi. In buona sostanza solo alle convention era possibile acquistare vecchi fumetti, anche solo di un anno prima e solitamente era a prezzi terribili.

Perché questa preminenza fosse messa in crisi è servito che lungo tutti gli anni ‘80 venisse incrementata l’affluenza e che venisse diversificata. L’arrivo in massa degli editori che si recavano al Comic-Con per parlare con altri editori, per fare pubbliche relazioni, vedersi e discutere questioni di categoria, ha cominciato a riequilibrare tutto. Il cambio finale si  avuto con la nascita delle fumetterie, quando cioè il business dei fumetti di catalogo è tornato nelle mani degli editori. A quel punto i fumetti vecchi si potevano comprare ovunque, non solo alle convention.

Gli anni ‘90 poi sono stati quelli in cui timidamente la tv e il cinema hanno iniziato a premere l’acceleratore, non solo presentando i loro film a San Diego (nel ‘92 addirittura Coppola in persona andò a presentare Dracula) ma proprio pensando più film e serie tv per un pubblico che era quello del Comic-Con, da Batman fino a Buffy l’ammazzavampiri.

Sarà però a partire dal 2000 che l’industria del cinema andrà "all in" sul cinema di fumetti e quindi sul Comic-Con. E quando un’industria da 680 milioni di dollari di valore complessivo, come è quella del fumetto nordamericano (Stati Uniti + Canada) ne incontra una in cui un solo film, Avengers, incassa 611 milioni di dollari solo negli Stati Uniti, è chiaro chi è destinato a comandare

Gli organizzatori del San Diego Comic-con hanno dichiarato che se dovessero contare gli avventori come lo fanno “gli altri” allora ai loro 135.000 biglietti staccati andrebbero aggiunte anche le 200.000 persone senza biglietto che vengono a San Diego e girano per la città e per gli eventi collaterali legati al Comic-Con, per arrivare ad un totale di 335.000

2004-2008
La contaminazione

Nel 2004 il Comic-Con inizia ad usare la Hall H per i suoi panel. È una sala del San Diego Convention Center con 6.500 posti a sedere su 6.000 metri quadrati. È immensa. Nelle edizioni antecedenti al 2004 non veniva usata perché si riteneva essere troppo grande. Ma a quel punto è chiaro che gli studi Hollywoodiani sono un appuntamento annuale e non uno alla volta ma tutti tutti insieme. L’affluenza del Comic-Con sfiora le 100.000 presenze e tutto l’evento fa un clamoroso salto in avanti.

Sono gli anni della crescita furiosa e nel 2006 i biglietti vengono messi in vendita online con un tetto. Ma quel che non può più crescere in termini numerici è destinato a cambiare nella composizione. Quando nel 2008 esce la notizia che ci sarà un panel con le prime immagini del primo adattamento dei romanzi di Twilight una nuova categoria umana invade il Comic-Con. Non sono i soliti lettori di fumetti, non sono i soliti appassionati di fantascienza, né i soliti malati di franchise. Sono in gran parte ragazze e sono esterne al fandom che ha caratterizzato fino a quel momento il Comic-con. Appartengono ad un altro fandom, molto forte, quello dei romanzi e del soft gothic di Twilight.

Quei fan arrivano nel 2008 e rimangono ogni anno fino a che dura Twilight. Una buona parte poi rimarrà anche dopo, la composizione è cambiata per sempre. Nonostante 4 anni prima si sia toccata quota 100.000 presenze e nonostante nel 2006 sia stato messo un tetto alla vendita dei biglietti è quello il momento che viene indicato dai fan hardcore come la perdita dell’anima del Comic-con, quando l’evento è diventato mainstream e quindi si è irrimediabilmente rovinato. Una convention che nasce all’insegna della contaminazione tra tipi di fandom diversi, che ingloba il cinema e coltiva la diversità nel momento in cui diventa davvero grande comincia a pensare di essere troppo diversa al suo interno, e quella sia la fine. Nonostante film come Il Signore degli Anelli, Batman e Guerre Stellari siano il simbolo della promozione al Comic-Con e siano tra i più grandi incassi di sempre, lo stesso è Twilight nell’immaginario ad aver reso mainstream l’evento.

In realtà l’affermazione è in parte vera. Mentre tutti quei film hanno un fandom coerente e contiguo, Twilight ingloba altre tipologie umane, rende l’evento ancora più imprescindibile, porta gli studios a spendere anche 250.000$ in promozione solo al Comic-Con secondo i trade.

Nel 2013 The Atlantic scriveva che i nerd avevano perso il Comic-Con, e la ragione era l’invasione hollywoodiana, il fatto che l’iniezione massiccia di pubblico avesse marginalizzato i fan originali di fumetti, reso i biglietti inacquistabili e creato quella specie di culto della coda che dura ore che rende tutto più difficile da fruire.

Alcuni scatti realizzati da BadTaste.it a San Diego
Alcuni scatti realizzati da BadTaste.it a San Diego
  • 1970

    Nasce il MiniCon, un evento di un giorno a Marzo e in seguito ad Agosto il San Diego Golden State Comic-Con vero e proprio. Un biglietto costa 3,5$ (equivalente a 23$ odierni, un terzo del costo attuale di un biglietto), durava tre giorni e attirò 300 persone, circa 145 a giornata. Ospiti speciali: Jack Kirby, Ray Bradbury e A.E. van Vogt, grande scrittore di fantascienza degli anni ‘30, modello di riferimento per Philip Dick e ispiratore di Star Trek e Alien.

  • 1973

    L’eccesso di persone costringe a riorganizzare tutto. La parte di compravendita, con spazi per espositori ha la priorità su quella di intrattenimento degli avventori e di proiezione di film, Comic-Con fa un passo verso l’essere un grande mercato dei fumetti. La stanza dedicata alla compravendita è spostata in quella prima dedicata ai panel e ai film. Questi invece finiscono in un angolo della stanza che prima era riservata alla compravendita. L’evento dura 5 giorni e prende il nome definitivo di San Diego Comic-Con

  • 1974

    Per la prima volta si tiene una parata in maschera.

  • 1975

    Nel numero 72 di Iron Man Tony Stark va al Comic-Con dove verrà assalito da diversi nemici

  • 1976

    Charles Lippincott, publicist per Guerre Stellari (che non era ancora uscito) organizza un panel dal titolo “Making of Star Wars” con alcune immagini e qualche scena, in più si prese un tavolo e vendette poster di un film che sarebbe uscito l’anno dopo.

  • 1978

    Panel su Superman di Richard Donner

  • 1981

    Panel su Atmosfera Zero di Peter Hyams

  • 1982

    Il Comic-Con fino a quel momento tenuto in diversi Hotel di San Diego si sposta anche al Convention Center prendendo alcune sale. Quell’anno ci sarà un panel preview di Blade Runner

  • 1983

    Per la prima volta il Comic-Con offre l’ospitalità alle compagnie e società di fumetti o altro. Quell’anno 13 società di fumetti erano al Comic-Con a partire dalle più grandi Marvel, DC e World Color Press. Questo trasforma il Comic-Con in un evento anche di settore, in cui chi lavora nel mondo del fumetto va per fare pubbliche relazioni

  • 1984

    Nasce il Comic Book Expo una branca separata che si svolge due giorni prima della convention ed è dedicata esplicitamente a chi lavora nella rivendita di fumetti, ci sono presentazioni delle aziende di settore sui loro nuovi prodotti, panel su come aiutare i piccoli business, personal management, come gestire gli impiegati o ottimizzare il pagamento delle tasse.

  • 1988

    Nell’anno in cui esce Akira nasce una sezione dedicata agli anime. Matt Groening presenta la sua serie animata: I Simpsons

  • 1989

    Esce nelle sale Batman di Tim Burton, mettendo una nuova forma di cinecomic al centro dell’immaginario cinematografico. Inizia una nuova era.

  • 1992

    Francis Ford Coppola va al Comic-Con per parlare del suo prossimo film: Dracula di Bram Stoker. È la prima volta che un nome così grosso e tradizionale del cinema mette piede al Comic-Con.

  • 1996

    Il Convention Center diventa l’unica location del Comic-con

  • 1997

    La prima volta che il Comic-con viene nominato nelle testate dell’industria del cinema come Variety e Hollywood reporter, ed definito come un mezzo cruciale per raggiungere un pubblico determinante.

  • 1998

    Tre panel sul cinema iniziano a cambiare la percezione del marketing al Comic-Con: Star Wars La Minaccia Fantasma, Matrix, Blade

  • 1999

    Per la prima volta dopo 15 anni esce un nuovo film di Guerre Stellari: La Minaccia Fantasma

  • 2000

    Peter Jackson presenta piccole anteprime di La Compagnia Dell’Anello

  • 2001

    Esce nelle sale di tutto il mondo Spider-man di Sam Raimi

  • 2002

    Diversi studi hollywoodiani iniziano a mandare loro rappresentanti al Comic-Con in cerca di proprietà intellettuali da acquisire

  • 2003

    Esce in tutto il mondo Il Ritorno Del Re e dopo 3 mesi trionferà agli Oscar. Il cinema americano sancisce il dominio dei franchise

  • 2004

    Nasce la Hall H nell’anno che incrocia la consacrazione di Il Signore Degli Anelli, l’uscita di Spider-man 2 e il panel dell’ultimo film della seconda trilogia di Guerre Stellari

  • 2006

    Per la prima volta i biglietti vengono messi in vendita online ed è imposto un tetto al numero di biglietti che possono essere venduti

  • 2008

    Il panel preview di Twilight cambia radicalmente la composizione degli avventori

  • 2012

    In aggiunta al Convention Center tornano gli Hotel, ad ospitare alcuni eventi così che il numero di biglietti possa crescere di poco.

  • 2013

    The Atlantic pubblica un articolo dal titolo “Come i nerd hanno perso il Comic-Con” spiegando che la promozione hollywoodiana rende la vita dura ai fan duri e puri del fumetto che hanno ora difficoltà a trovare biglietti e sono tagliati fuori da folle oceaniche.

  • 2014

    I biglietti vengono assegnati tramite una lotteria (parteciparono in 900.000 quell’anno)

  • 2015

    La sezione anime si espande tornando dentro il Convention Center

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The Big Bang Comic-Con: il SDCC nella cultura pop

A cura di Andrea Bedeschi

Prima che il Comic-Con di San Diego cominciasse a venir trattato in maniera approfondita ed estesa inizialmente da siti come BadTaste.it, così intimamente legati per via della loro stessa natura alle tematiche della kermesse, e poi anche dalla stampa mainstream e dai quotidiani, il pubblico italiano ha cominciato ad avere consapevolezza di una generica “convention americana sul fumetto” grazie a The O.C.

Una scena tratta da The O.C.
Una scena tratta del The O.C.

La serie di Josh Schwartz era partita alla grande con una prima e una seconda stagione capaci di dare vita a un teen drama di tutto rispetto poi notoriamente naufragato negli abissi di una terza e quarta stagione in cui il “niente da dire” andava di pari passo con l'inevitabile calo degli ascolti scosso con il plot twist di una morte illustre, quella di Marissa Cooper. Nella 1x07 “La Fuga” (trasmessa per la prima volta il 13 settembre del 2003 negli USA e il 22 settembre del 2004 in Italia) veniva usato un particolare espediente narrativo: Seth riusciva a convincere Ryan ad andare a Tijuana per celebrare l'ultimo fine settimana delle vacanze estive, chiaramente all'insaputa dei genitori Sandy e Kirsten. Il loro alibi era inattaccabile: ufficialmente sarebbero partiti per la “convention del fumetto” dove Cohen Jr andava ogni anno.

Certo, su Italia 1 “Comic-Con” veniva, per praticità, adattato con il virgolettato di cui sopra perché erano anni in cui la stessa Lucca Comic & Games non aveva la riconoscibilità internazionale di oggi, e non veniva fornito lo straccio di un qualsiasi contesto, ma era comunque un inizio, un modo per cominciare ad avere dimestichezza con dei “raduni” che, dall'altra parte dell'Atlantico, avevano già uno storico di tutto rispetto alle spalle.

Nello stesso anno in cui “La Fuga” arrivava in prima TV sulle televisioni italiane decisamente meno piatte di quelle attuali, negli Stati Uniti, Mark Hamill usava il Comic-Con come sfondo del suo mockumentario Comic-Book: The Movie. Uscito direttamente in DVD, raccontava la battaglia di Don Swan contro lo studio cinematografico – di fantasia naturalmente – intenzionato ad adattare per il grande schermo il suo supereroe preferito, Commander Courage.

I Simpson e la bi-mon-sci-fi-con
Il Bi-Mon-Sci-Fi-Con dei Simpson

Il Comic-Con, dopo essere “quasi apparso” in The O.C., diventava lo scenario di un omicidio nella 4x09 di Numb3rs, la serie della CBS prodotta dai fratelli Scott, e nella 2x09 di Entourage, ambientata sempre in quel di San Diego (anche se del Comic-Con vedevamo sostanzialmente solo un... hotel) e focalizzata sull'esperienza, decisamente non piacevole, avuta da Vincent Chase con il blogger R.J. Spencer, modellato in modo alquanto esplicito sull'Harry Knowles di Ain't It Cool e interpretato da un Rainn Wilson pre-The Office.

empre Josh Schwartz avrebbe poi inserito il Comic-Con nella 1x06 di Chuck (“Chuck Vs. il verme della sabbia”), mostrandoci anche la classica situazione a base di “Slave Leia” in cui potevamo ammirare Sarah Walker (Yvonne Strahovski) agghindata come Carrie Fisher nel ben noto frangente iniziale de Il Ritorno dello Jedi.

Prima di tutti questi “cammei” diretti, il Comic-Con, ma sarebbe meglio dire il mondo delle convention in genere, era stato già preso in giro dalla serie TV che, da ben 31 stagioni, si diverte a fare della sana ironia su tutto e tutti: I Simpson. Nell'episodio 10x09 “Sindacato con la mafia” risalente al “remoto” 20 dicembre del 1998 (data della prima TV americana, ndr.), Homer and co partecipavano alla BI-MON-SCI-FI-CON, una convention che poteva vantare la presenza di Mark Hamill (vero trait d'union di questo mondo), Alf e “tante altre star”, con aggiunta di lotta libera di robot a squadre dove i robot di Battlestar Galactica se le sarebbero date di santa ragione contro i “robot mammoletta” di Guerre Stellari. Insomma, sembra la descrizione di una qualsiasi giornata tipo al SDCC. E sempre Matt Groening ci avrebbe proposto il Comic-Con, anzi il Comic-Con Intergalactic nella 6x11 di Futurama,Lrrreconcilable Ndndifferences: nella puntata è lo stesso papà dei Simpson, o meglio, la sua testa, a presentare in un panel la sua nuova, grande creazione animata: Futurella!

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Dopo il 2010 e con il sempre più drastico affermarsi dei tentpole cinefumettistici, diventati ormai un genere tanto variegato quanto popolare presso tutti i famosi “4 quadranti” croce e delizia dei reparti marketing delle major, e di serie TV che ormai non hanno più nulla da invidiare, dal punto di vista produttivo e narrativo, al suddetto cinema, è diventato più semplice affrontare certe tematiche in prodotti di largo consumo.

Comic-Con incluso.

Tanto che l'evento californiano è finito per avere un ruolo di primissimo piano in Paul, la commedia fantascientifica diretta da Greg Mottola scritta e interpretata da Simon Pegg e Nick Frost. I due attori inglesi interpretano Graeme e Clive, due classicissimi nerd peraltro fumettisti di professione, che intraprendono un viaggio attraverso gli Stati Uniti che parte proprio dal Comic-Con di San Diego. E che continuerà, poi, in compagnia dell'alieno che dà il titolo al film incontrato, in maniera fortuita, lungo la ben nota Extraterrestrial Highway. Il film ottenne un discreto riscontro di pubblico e recensioni mediamente positive.

Nick Frost e Simon Pegg in Paul
Nick Frost e Simon Pegg in Paul

Con l'esponenziale successo di pubblico ottenuto da The Big Bang Theory, la serie di Chuck Lorre e Bill Prady che, per 12 anni e altrettante stagioni, ci ha narrato le divertenti vite di Sheldon Cooper and co., l'universo nerd e le ossessioni geek sono state sdoganate definitivamente. Quelli che negli anni ottanta finivano inevitabilmente con la testa infilata nelle tazze dei WC nelle classiche commedie americane ambientate nelle high school sono diventati, alla fine, i veri trionfatori e dominatori della cultura pop. Perché, oggigiorno, tutti capiscono una battuta che prende di mira Jon Snow o l'Iron Man di Robert Downey Jr. Tanto che i primi detrattori di The Big Bang Theory sono, a volte, proprio quelli che hanno “lottato duramente” per tirare fuori i sacri manuali di D&D da scantinati e seminterrati più tetri e oscuri della tana di un Tarrasque.

Ma questa è un'altra storia.
The Big Bang Theory - L'Incognita della Convention

Tornando a noi, in quella festa di citazioni alla cultura popolare che è The Big Bang Theory, il San Diego Comic-Con è al centro della 7x14, L'Incognita della Convention, episodio in cui Sheldon, Leonard, Howard e Raji vogliono andare alla manifestazione senza riuscirsi, perché i biglietti online terminano subito. Tutti tentano la carta del bagarino, mossa che espone a possibile ban dal SDCC poiché i biglietti sono nominali. Anzi, tutti a eccezione di Sheldon che opta per l'organizzazione di una propria convention contattando, con esisti abbastanza disastrosi, svariate star. Tutti danno buca a eccezione di James Earl Jones, la voce di Darth Vader in Star Wars nonché interprete dello spietato Thulsa Doom in Conan Il Barbaro, che finisce per trascorrere più tempo del dovuto insieme a Sheldon.

Infine, nella 10x17 si torna a parlare del Comic-Con in riferimento alla disastrosa maniera in cui Raji è abituato a gestire le proprie finanze.

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Com’è cambiato negli ultimi dieci anni il SDCC

A cura di Teresa Soldani

La prima volta che un membro dell’attuale staff di Badtaste.it ha visitato il San Diego Comic-Con, era il lontano 2010, molto prima quindi che fosse cool e che questo evento avesse l’attenzione mediatica che ha oggi e quei 10 anni hanno davvero fatto la differenza da molti punti vista.

Alcune caratteristiche - dal momento in cui le grandi Major del cinema e della televisione sono state introdotte nell’evento (cosa che è considerata una disgrazia dai puristi del SDCC) - non sono mai davvero cambiate e costituiscono il cuore di ciò che ha reso questo appuntamento quello che è oggi: i panel e l’Exhibit Hall, dove si trovano tutti gli stand. Per tutto il resto, invece, in termini di cambiamento, si può parlare di un’evoluzione dalla curva esponenziale, a partire “dall’abito” del Comc-Con. Il 2010 è stato infatti il primo anno in cui i grandi alberghi che si affacciano sulla baia di San Diego, assieme al Convention Center, hanno cominciato ad essere rivestiti da quelle enormi decalcomanie visibili dagli aerei che atterrano da tutto il mondo per scaricare partecipanti su suolo americano. Ed il tutto cominciò con la pubblicità di Scott Pilgrim vs. The World sulla facciata dell’Hilton Bayfront. È sempre nel 2010, inoltre, che iniziò anche quella che è ormai la tradizione della distribuzione della guida dell’evento e dell’esclusivo “Souvenir Book” all’interno delle borse offerte dalla WARNER BROS, abbellite dalle immagini di eroi di fumetti, film e serie TV e divenute rara merce di scambio.

Ma per rendersi davvero conto di quanto le cose siano effettivamente variate, basta pensare a quanto facile fosse, allora, acquistare un pass o badge, che dir si voglia. A meno di un mese dalla kermesse, era infatti possibile aggiudicarsi senza sforzi un biglietto tra quelli dei rinunciatari rimessi in vendita dall’organizzazione. Allora non vigeva nemmeno la regola che, a tali biglietti, avessero accesso solo i cittadini americani, che cambiò poi l’anno successivo, né aggiudicarsi un posto in albergo - vicino al convention center o nella zona nota a San Diego come “hotel circle” - era l’impresa titanica che è oggi.






Dal punto di vista di qualcuno che non aveva mai partecipato ad un evento di tale portata, la folla del Comic-Con del 2010 era sicuramente notevole, ma nulla paragonata a quella che si è vista negli ultimi anni.

L’accesso alla Exhibit Hall, per esempio, era un’esperienza di sopravvivenza estrema: ci si metteva in fila qualche ora prima che le porte venissero aperte ma, a differenza di quanto accade oggi, allo scattare dell’ora X, tutti si precipitavano verso lo stand che avevano puntato, nel disperato tentativo di arrivare primi in fila per aggiudicarsi un’esclusiva, un biglietto che desse accesso alle sessioni di autografi che si tenevano nell’arco della giornata, nelle quali si potevano incontrare i propri beniamini, o magari una delle tante esclusive distribuite gratuitamente, chiamate S.W.A.G. (Stuff We All Get), come per esempio la quadruplice copia del TV Guide con le cover esclusiva del Comic-Con o uno dei tubi della Fox in cui riporre comodamente i poster per proteggerli dalla calca.

La folla al SDCC

Era una sorta di “ne resterà soltanto uno” versione pop, senza troppe regole, in cui i poveri addetti agli stand cercavano di distribuire materiale senza che le persone si uccidessero ed in cui, in generale, la fortuna giocava un ruolo importante. Grazie ad essa poteva per esempio capitare che, dopo essere stati completamente surclassati dalla folla di fronte allo stand della Fox ed aver rinunciato al tentativo di avvicinarsi, qualcuno ti facesse dono esattamente del biglietto che avresti voluto avere per una sessione di autografi, solo perché ti avevano sentito parlare in italiano in fila e vedere uno “straniero” al SDCC era ancora una cosa piuttosto rara. Già l’anno successivo, questo gioco al massacro venne abolito e si passò all’estrazione a sorte dei biglietti per l’accesso agli stand, che avveniva nel Sails Pavilion, un’attività meno pericolosa, quindi, ma nulla a che vedere con le attuali estrazioni on-line che non prevedono alcuno spargimento di sangue nerd.

Con la differenza non trascurabile che, allora, si poteva uscire e rientrare da una Ballroom 20 (dove si tengono i panel per le serie TV) o addirittura dalla Hall H (dove si tengono quelli del cinema) senza alcun problema e più volte nell’arco di una giornata, senza incappare in una marea umana, lo svolgimento dell’evento in sé era ancora quello che è oggi, caratterizzato cioè da una moltitudine di persone che si divideva tra coloro che erano interessati ai panel ed i fanatici dell’accaparramento di esclusive e di fumetti.

Lo store di t-shirt al SDCC

Sempre nel 2010 e fino ai due anni successivi, con l’eccezione di qualche mostra e qualche sala cinematografica nel Gaslamp Quarter, il quartiere di San Diego dove sorge il Convention Center, non esisteva nemmeno un vero e proprio “off-Comic-Con”, quelle strutture cioè che caratterizzano ormai l’evento e che intrattengono i fan con giochi, mostre e divertimenti che hanno man mano, negli anni, invaso a macchia d’olio tutto il quartiere e la città californiana. Ma quello che faceva davvero la differenza, è che a discapito della folla copiosa, le famigerate file del SDCC (creatura mitologica e spaventosa in grado di far desistere anche il più coraggioso degli appassionati), non erano nemmeno lontanamente paragonabili a ciò che sono diventate oggi.

Si dice che non si sperimenti davvero questo evento se non si abbia dormito almeno una volta all’aperto, accampati con sacco a pelo ed un materassino (quando si è organizzati!), nell’attesa di entrare il giorno dopo nel Convention Center ed accaparrarsi così i posti in prima fila nelle sale, per vedere più da vicino gli attori durante i panel e fare fotografie degne del miglior albo di ricordi. Nel 2011 questa cosa già accadeva, ma per scelta, non per necessità e nel decidere di fare parte di questi gruppi, poteva capitare di incappare in Joss Whedon e Nathan Fillion che alle 4 di mattina svegliavano una fila di fan dormienti per omaggiare i nostalgici di Firefly in attesa di partecipare al panel del decimo anniversario della serie (2012) o magari vedersi consegnare una pizza offerta dalle mani di Misha Collins (2015), il che è un gesto da non sottovalutare al Comic-Con, dove privazione di cibo e sonno sono mali all’ordine del giorno.

Poi sono cominciate le “epic registration”, le attese virtuali in una fila di aspiranti partecipanti al Comic-Con desiderosi di accaparrarsi uno dei pass, che spariva invece in meno di un’ora, e quelle reali per entrare nei luoghi più gettonati del Convention Center. Come non dimenticare, inoltre, nel 2012, l’arrivo dei talebani della religione che con i loro caratteristici cartelli dalle scritte nere su fondo giallo inneggiavano al Signore ed alla salvezza delle anime dei nerd condannati alla perdizione?




L’anno del cambiamento, a detta di molti, è stato proprio il 2012 e gran parte del merito (o della colpa, a seconda dei punti di vista) sarebbe da attribuire alla première di The Twilight Saga: Breaking Dawn Parte 2^. Non si era mai vista una simile folla di persone cominciare ad aggregarsi ed attendere in fila giorni prima dell’inizio di un previsto evento e quando l’organizzazione del SDCC cominciò a chiedere ai partecipanti di desistere dal creare code che non sarebbero state poi ritenute valide, facendo spostare le persone da un punto all’altro della zona antistante alla Hall H per scoraggiare questo precedente, un’imprudente fan fu disgraziatamente investita ed uccisa da un’auto, mentre attraversava di corsa la strada a scorrimento veloce di fronte al Convention Center per accaparrarsi un posto in una fila che non avrebbe nemmeno dovuto esistere.

Era il segnale che le regole dovevano chiaramente cambiare, l’aria che si respirava era diversa e così si è passati dal caos calmo del 2010 alle file di giorni e giorni di oggi, alla necessità di dormire fuori la notte sul duro marciapiede antistante il Convention Center, con i motori sempre accesi dei pullman che facevano la spola da lì all’hotel circle, a fare da noioso accompagnamento di sottofondo, le attese sotto il sole cocente, i braccialetti distribuiti per accaparrarsi l’agognato ingresso alla Hall H, l’accesso alla vendita delle esclusive ottenibile solo online, tramite una lotteria, l’obbligo di scansionare i badge in entrata ed uscita per motivi di sicurezza e le folle oceaniche al di fuori del Convention Center che ti investono come un fiume in piena: il Comic-Con 3.0, insomma. Perché il primo resta indubbiamente quello degli esordi, dei nostalgici amanti dei fumetti, il secondo è quello dell’era del cinema e della televisione, ma pre-caos ed infine l’ultimo è la versione che stiamo vivendo attualmente, quella probabilmente più popolare, magari caotica, soprattutto se si è alla prima esperienza, ma non per questo meno divertente.

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