Ode agli abitanti del mondo di Black Mirror: salvano la serie dai ragionamenti banali
Black Mirror dimostra che una conoscenza reale della tecnologia porta qualsiasi critica a non essere passatista
Nonostante la critica alle nuove tecnologie sia all’ordine del giorno nei film e nelle serie mainstream, nonostante vediamo continuamente personaggi deprecare il continuo uso del cellulare, genitori proibirne la consultazione ai figli, nonni dolci ricordare i bei tempi in cui non c’erano e tutto era più sano e via dicendo… Nonostante tutto questo una serie come Black Mirror non sembra mai passatista, non sembra mai rimpiangere la deriva tecnologica del nostro presente.
Una prima ragione potrebbe essere il fatto che nelle storie di Charlie Brooker ci sono tutte le tecnologie che già conosciamo portate alle loro estreme conseguenze, e solo in una minoranza di casi si svolgono effettivamente nel nostro presente. Questo inevitabilmente sposta in avanti il problema ed evita facilmente la sensazione di repulsione per il contemporaneo, poiché ad essere un problema è l’evoluzione di quel viviamo. Oggi siamo ancora al sicuro, domani magari no.
Sembra che più in profondità la ragione non stia tanto nelle trame, ma nell’atteggiamento dei personaggi. Ci si trovasse a dover raccontare le storie di Black Mirror a persone che non l’hanno visto sarebbe facile convincerli che si tratti di una critica alla tecnologia, invece vedendo quegli stessi episodi è sempre evidente che i personaggi non la pensano così. E se non lo pensano i personaggi anche noi tendiamo a non pensarlo. Benché molte delle tecnologie immaginate mettano paura (basti pensare a quella vista in Bianco Natale con la quale è possibile oscurare qualcuno a tutti gli altri), non ci sono mai tirate antitecnologiche, non c’è mai nessuno che deprechi gli strumenti utilizzati e dia a loro la colpa. Esiste una rassegnazione alla presenza della tecnologia che sposta l’asse da questa al suo uso.
Al contrario di quel che accade in altri film, gli abitanti del mondo di Black Mirror sono più avanti degli spettatori stessi, hanno già capito che la tecnologia è il problema e la soluzione al tempo stesso e che il rifiuto non è una possibile risposta.
Al contrario il vero cinema luddista, quello che realmente critica la tecnologia di consumo e i cambiamenti che sta portando nella società, è quello in cui questa è sminuita e messa ai margini del racconto, quello in cui è negata (molti i film ambientati oggi potrebbero essere ambientati 30 anni fa senza cambiare niente) o ancora quello in cui c’è qualcuno che fa una tirata contro i social network per le ragioni più banali.
Dando profondità e complessità alla questione, Black Mirror non la banalizza. Questa serie non si sognerebbe mai di deprecare i social network perché le persone non si parlano più, perché sa che non è vero e che comunque non è quello il punto. Black Mirror dimostra che una conoscenza reale della tecnologia porta qualsiasi critica a non essere passatista, donando complessità ai problemi inevitabilmente ne eleva lo stato e svicola la possibilità che la più retrograda delle idee si insinui nel ragionamento dello spettatore.
Il problema del passatismo, la gioia del desiderio di tornare indietro e l’imputare tutto il male proprio alla tecnologia, capace di corrompere l’uomo e far emergere in lui il peggio se non è così savio, forte e acculturato da saperla evitare o domare come una bestia feroce tenuta al proprio fianco senza che faccia del male a nessuno, sono tutti esiti scampati non dalle trame ma dall’atteggiamento dei personaggi. Sono loro in Black Mirror i modelli che dettano il ragionamento, è la maniera matura in cui la tecnologia è descritta, spiegata, conosciuta, mostrata ma più di tutti vissuta dai personaggi a stimolare il ragionamento più sano.