Ocean’s 8 ha il problema di non avere problemi

Ocean’s 8 è uno heist movie sopra le righe nel quale il piano e la sua esecuzione sono talmente perfetti da diventare noiosi

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Ocean’s 8, arrivato su Netflix due anni dopo la sua uscita al cinema (qui la nostra recensione), è un buon film con un problema enorme: la sua incapacità di presentare problemi, che lo rendono uno heist movie competente, ben girato, scritto decentemente ma in ultima analisi troppo innocuo per restare davvero nella memoria. Se non l’avete ancora visto vi intratterrà per un paio d’ore e poi ve ne dimenticherete, e vi resterà solo un po’ di amaro in bocca per un’occasione forse non sprecata, ma non sfruttata a dovere.

Ocean’s 8 e le aspettative

In produzione dal 2015 e concretizzatosi solo tre anni dopo, Ocean’s 8 ha avuto la sfortuna di venire concepito come “spin-off al femminile di Ocean’s 11”, uno stigma tremendo, a quanto pare, in un’epoca di Ghostbusters con Melissa McCarthy, un insulto a tutti quei maschi che si sentono defraudati dell’infanzia se uno dei loro eroi viene ripensato di un altro genere. Per cui fin dai primi giorni Ocean’s 8, in termini di promozione, copertura stampa, discussioni suscitate, è stato presentato come un film con un’agenda, creativa e anche politica, e tutta la conversazione (legittima, per quanto portata avanti spesso con toni e argomentazioni demenziali) ha distratto dalla lettera del film, che è prima di tutto uno heist movie.

E non uno a caso: è il quarto capitolo di una saga cominciata nel 2001 con un remake di Colpo grosso e cresciuta in assurdità capitolo dopo capitolo, per concludersi con l’opulento e inutilmente intricato Ocean’s Thirteen. Ocean’s 8, quindi, oltre a essere la versione femminile di Ocean’s 11 doveva anche essere un aggiornamento della saga; si confrontava con tre precedenti illustri e per spiccare avrebbe dovuto non solo rifare le stesse cose con altre protagoniste, ma farle meglio, più grosse, più moderne, per lo meno con un approccio nuovo e fresco alla materia “film di rapina”.

Bullock Blanchett

Ocean’s 8 e i diamanti

E invece, forse nella paura di scontentare il fandom della trilogia oiginale, Ocean’s 8 (guarda il trailer) è un ricalco dei tre film precedenti, dei quali rubacchia la struttura, la coolness, la tendenza a buttarla sul ridere e ad assecondare tutti i tempi comici anche a scapito dell’immersività e persino il DNA della protagonista. Perché ovviamente “la versione al femminile di Ocean’s 11” ha come protagonista “la sorella del protagonista maschio di Ocean’s 11”: è Sandra Bullock, che più passano gli anni più diventa capace di mettersi sulle spalle un intero film e portarlo a casa senza neanche sudare. Debbie, questo il nome della sorella di Danny, è appena uscita di galera dopo essere stata tradita dal suo partner (nella vita e nel crimine), e dopo aver passato cinque anni a elaborare il piano perfetto decide di riunire la vecchia squadra e metterlo in atto.

La squadra che compirà la rapina è composta, all’inizio, dalla sola Cate Blanchett, radiosa pure quando è vestita da harleysta e chiaramente vogliosa di fare qualcosa di più con il suo personaggio di quanto la sceneggiatura le permetta; ma ovviamente si allarga, fino a comprendere (usiamo direttamente i nomi delle attrici) Sarah Paulson, Mindy Kaling, Awkwafina, Helena Bonham Carter e Rihanna. Ciascuna ha un ruolo nell’imminente piano, che per la cronaca prevede di rubare, durante il MET Gala, una collana di diamanti di Cartier da 150 milioni di dollari dal collo della persona che la starà indossando, l’attrice Daphne Kluger (Anne Hathaway, la vera trionfatrice del film).

Ocean's 8 Kaling Bonham Carter

“Spin-off al femminile”

Quello che succede in Ocean’s 8 è quindi quello che succedeva nei tre Ocean’s precedenti, solo con facce nuove: c’è la fase in cui viene riunita la squadra, quella dove si provano i primi dettagli, c’è un momento di crisi pre-rapina, e poi ovviamente c’è l’esecuzione del piano, e lo champagne da stappare quando (se!) va tutto bene. È tutto al posto giusto, ed è scritto con la giusta attenzione al genere dei personaggi: il rischio quando si va uno spin-off al femminile è quello di scrivere un film al maschile e poi sistemare la grammatica, ma le ladre di Ocean’s 8 sono donne non per necessità di marketing ma perché è essenziale al loro lavoro.

Non solo per quello che dice Sandra Bullock durante le prime fasi del piano, e cioè “gli uomini si fanno notare, le donne passano inosservate, e per una volta noi vogliamo essere ignorate”. Molti dei meccanismi che permettono al piano di funzionare sono basati sul fatto che è una donna a farli scattare – per esempio la sequenza nella quale Anne Hathaway vomita (quando vedrete il film capirete) è basata sull’accordo non scritto per cui i maschi non entrano nel bagno delle donne, nemmeno se sono guardie di sicurezza che stanno vigilando su un gioiello da 150 milioni di dollari. E le sette della banda riescono a mettere in atto il loro piano non perché sono dei guasconi pieni di buona volontà che se la cavano sempre grazie al loro fascino, ma perché sanno perfettamente quello che stanno facendo: per esempio Tammy, il personaggio di Sarah Paulson, riesce a infiltrarsi al MET come esperta di catering perché lo è davvero, non perché ha un bel sorriso.

Ocean's 8 altro gruppo

Il problema dell’assenza di problemi

Da un lato quindi l’aver spostato il focus dell’attenzione sul genere delle protagoniste (Ocean’s 8 non è “uno heist movie”, è “Ocean’s 11 con le femmine”) è servito per scrivere un film dove essere donne ha effettivamente un senso narrativo e non sembra una scelta fatta perché dal marketing ti hanno detto che tira e ti fa passare per uno dei buoni. Dall’altro Gary Ross, che oltre a dirigere scrive anche, si è dimenticato che tra le cose belle di uno heist movie c’è anche la rapina che dà il nome a tutto il genere, e che in Ocean’s 8 sembra esserci solo perché per contratto non può mancare.

Il bello di uno heist movie è godersi l’ingegno con il quale il colpo viene preparato, e provare a indovinare quali siano i pezzi del puzzle che mancano per capire davvero tutto (una rapina di qualità è quella che sembra impossibile fino a che non ti spiegano perché è possibile, vedasi Inside Man di Spike Lee). Il grande colpo di Ocean’s 8, invece, semplicemente... funziona, senza troppi fuochi d’artificio ma soprattutto senza bastoni fra le ruote di alcun tipo, con l’eccezione di un paio di inciampi che vengono risolti magicamente con l’utilizzo di, tra le altre cose, la sorella di Rihanna. Ocean’s 8 e tutto preparazione e zero esecuzione, è un film senza imprevisti che scorre liscio come l’olio e nel quale anche l’inevitabile sorpresa finale, il colpo di coda, sembra appiccicato con lo scotch per dare una soddisfazione a Debbie, che a quel punto aveva già vinto.

È difficile farsi coinvolgere fino in fondo da un thriller senza alcuna tensione, non importa quanto sia ben eseguito. Per cui forse il modo migliore per valutare a Ocean’s 8 è vederlo non come uno heist movie con toni da commedia, ma come una commedia al femminile che incidentalmente comprende anche una rapina, sorretto da qualche ottima battuta e soprattutto dal talento delle sue protagoniste. Che non è un bocciatura, ma è un peccato, perché senza l’ombra dei tre film di Soderbergh sarebbe potuto essere molto di più.

Ocean's 8 gruppo

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