Norman Jewison: la risposta di Hollywood alla Nuova Hollywood

All'interno del decennio della grande trasformazione di Hollywood Norman Jewison è stato il cineasta classico al servizio delle nuove istanze

Critico e giornalista cinematografico


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Arrivato al cinema dopo più di un decennio nella televisione, Norman Jewison era il tipo di cineasta capace di girare di tutto in anni in cui Hollywood sterzava verso il cinema personale

Esiste tutta una categoria di registi hollywoodiani (Arthur Penn, Robert Altman, William Friedkin) che si sono formati nella televisione degli anni ‘50 e ‘60, sia dirigendo episodi di telefilm, sia proprio con la live tv, cioè gli show. Non era la televisione di oggi, che in fondo somiglia al cinema, era un altro mondo con altri tempi, altri committenti, un’altra missione e un’altra pressione. La televisione degli anni ‘50 e ‘60 aveva molti meno mezzi e doveva rispondere a esigenze molto più popolari. La tolleranza per velleità autoriali era ridotta al minimo. Era una scuola, ovviamente, una che ha insegnato a molti di quei registi non tanto quel che può essere utile per fare un film ma quello che può essere utile per muoversi in un sistema, per far passare quello che preme loro di nascosto, per non agire allo scoperto ma contrabbandare.Norman Jewison è stato uno di questi cineasti. Prima di arrivare al suo primo film di rilievo, Cincinnati Kid, ci sono 14 anni di episodi di serie televisive e cose come il Judy Garland Show. È lì che si matura una capacità di andare all’essenza, stare nei tempi, ridurre al minimo ogni florilegio e usare le inquadrature, il montaggio e la colonna sonora per essere chiari.

Tra il 1965 di Cincinnati Kid e il 1979 di …e giustizia per tutti, Norman Jewison ha tra i 40 e 50 anni, è vecchio per un sistema che in quel momento si rinnova profondamente, è investito da un’ondata di ragazzi terribili con idee diverse, che ambiscono a fare film diversamente. Non sono puliti, non sono sempre presentabili e parlano di antieroi in storie che non hanno una grande fiducia nell’America. Jewison in un certo senso è la controriforma, è l’altro lato della barricata, fa film con tutto un altro stile e tutto un altro piglio, e quando serve si adatta ai temi che vanno di più (come la ribellione, la sfiducia nel governo o la controcultura). È il cocco delle major che per loro può anche adattare Jesus Christ Superstar in una veste che strizza l’occhio agli hippie, ribaltando il ruolo di Giuda. È il cineasta che come l’acqua si adatta ai tempi.

Lungo gli anni ‘70 delle proteste, del Watergate e dell’attacco al sistema, Jewison gira film bellissimi pensati per intercettare quelle istanze, sempre di traverso. Tra questi due ancora oggi sottovalutati sono F.I.S.T., in cui ci furono una lunga serie di problemi dovuti alle intemperanze di Stallone che non riusciva a trovare una dimensione per sé a Hollywood dopo Rocky, e Rollerball, una storia di fantascienza molto avanti al suo tempo, in cui un atleta di un violentissimo sport del futuro che vive di diritti televisivi, si rende conto che la società è marcia, il sistema è corrotto e usa proprio la televisione, la presa che ha sul pubblico e il suo sport mortale per fomentare una rivoluzione. La cosa forte di Rollerball è che la rivoluzione non la vediamo mai, vediamo la maniera in cui un’icona che fa promozione al sistema, capisce il potere dell'immagine e di essere uno strumento, così cambia se stesso e la percezione che tutti hanno di lui. È la storia di Hunger Games, 30 anni prima.

Quello di Jewison è stato chiaramente cinema muscolare. Anche i film sul razzismo (forse l’unico tema realmente ricorrente in una filmografia eterogenea) sono uno spettacolo di personaggi maschili e questioni maschili, in cui la maniera di essere uomo è ciò che tiene insieme tutti, a prescindere dal colore. In La calda notte dell’ispettore Tibbs la storia di un poliziotto afroamericano in provincia e di quello bianco che lo affianca con molto scetticismo, è la storia di come un maschio dimostra a un altro maschio di essere un uomo vero, di possedere i valori, la struttura e la statura che servono per potersi dire “uomini” nella società americana, e per questo conquista il suo rispetto, superando il razzismo. E così anni dopo con Hurricane è l’atteggiamento di fronte a una lotta, la determinazione adorata dalla cultura americana a legittimare la statura dei personaggi.

Ma Jewison è stato anche quello di Stregato dalla Luna o di Amici come prima e Only You - Amore a prima vista. Cineasta di mestiere, bravo a fare tutto, dotato di quel tipo di formazione che consente di fare quello che oggi, per cultura, evoluzione del linguaggio e del ruolo del filmmaker, è molto raro: adattarsi anche a storie che non gli appartengono. Nonostante avesse le sue ossessioni personali, come tutti, per quelli come Jewison dirigere film vuol dire dirigere storie di altri con cui, magari, non si ha niente in comune, riguardo mondi che non si conoscono e personaggi come non se ne sono mai conosciuti. Di nuovo: era l’esatto contrario di Coppola, Scorsese, Bogdanovich e Spielberg che facevano film spesso sui mondi che conoscevano meglio e in tutti gli altri casi trasformando qualsiasi universo narrativo, anche quelli di fantasia, in uno a loro vicini. 

Jewison invece era semplicemente uno che il cinema lo sapeva fare, che padroneggiava una tecnica ad alti livelli, che aveva una maniera tutta sua di veicolare le proprie idee e dare corpo ai temi delle storie che leggeva, senza bisogno di scriverle. Regista classico nelle tempesta dei grandi cambiamenti autoriali hollywoodiani, uomo degli studios negli anni dei cineasti indipendenti, l’ultimo di un’era che ha cominciato a morire quando lui aveva solo 40 anni.

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